A
proposito della famigerata legge sulle tecniche di riproduzione assistita
Procreazione
medicalmente assistita e interessi di classe
Un
attacco alle donne trasversale a Centro-Destra e Centro-Sinistra
di
Maria Pia Gigli ed Eleonora Mazzucco
Una
legge contro le donne che nasconde interessi di classe
Il
tentativo di normare la procreazione medicalmente assistita (p.m.a.) fin dagli
anni ‘80 e l’iter parlamentare della legge approvata in Senato lo scorso
dicembre mostrano che le questioni legate alla riproduzione, dietro il paravento
dell’etica e della morale, in realtà nascondono il dipanarsi di interessi di
classe giocati sul corpo delle donne e in particolare delle donne proletarie.
La
legge approvata è una legge reazionaria e clericale, fortemente richiesta dal
Forum delle famiglie, dal Movimento per la vita e dalle gerarchie cattoliche
che, con il pretesto di voler regolamentare la p.m.a., hanno potuto introdurre
nella norma elementi di carattere ideologico. Infatti, questa legge sancisce il
riconoscimento dell’ovulo fecondato come soggetto giuridico mettendo in
discussione la legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza; impone
il sacro concetto di famiglia permettendo soltanto alle coppie sposate o
stabilmente conviventi l’accesso alla p.m.a; sancisce il sacro legame di
sangue tra genitori e figli impedendo la fecondazione con gameti forniti da un
donatore (fecondazione “eterologa”).
Inoltre,
si vuole esercitare un controllo sul corpo della donna, stabilendo che dovranno
essere prodotti soltanto tre embrioni alla volta, da impiantare
contemporaneamente, con conseguente aumento dei rischi per la salute della
donna. Ulteriori rischi deriveranno dall’obbligo di impianto di embrioni anche
se affetti da malattie genetiche o malformazioni, salvo poi, una volta
effettuato l’impianto stesso, ricorrere all’interruzione di gravidanza. La
legge non prevede tra l’altro l’onere delle spese a carico del Servizio
Sanitario Nazionale: ciò significa che continuerà a fiorire il mercato privato
il cui controllo verrà affidato alle Regioni (con il rischio di forti
differenziazioni territoriali), segnando un forte discrimine di classe, dato che
si tratta di tecniche molto costose (a cui richiedono di accedere, come la
pratica ha dimostrato in questi anni, anche donne proletarie).
Un
progetto trasversale ai due poli
La
p.m.a. è stata effettuata in Italia per più di 25 anni e regolamentata
attraverso circolari ministeriali -anche con ministri alla sanità
democristiani- che hanno permesso fino ad oggi il proliferare di un mercato
fiorente intorno a circa 300 centri privati, dove erano consentite
l’inseminazione artificiale omologa ed eterologa (fatta appunto con gameti di
un donatore o di una donatrice) e la crioconservazione degli ovuli fecondati. Al
contrario, all’interno dei centri pubblici la fecondazione eterologa veniva
proibita. Le caratteristiche restrittive della nuova legge in materia di
fecondazione eterologa e crioconservazione degli embrioni hanno suscitato
l’opposizione di centri, fondazioni e società scientifiche per i quali si era
creato un vero e proprio mercato che oggi viene impedito nella sua espansione ed
è costretto così a trovare nuovi sbocchi all’estero dove la legislazione è
meno vincolante.
L’intreccio
di queste spinte e di questi interessi ha prodotto, tra alterne vicende
parlamentari, testi di legge inaccettabili e dibattiti da cui sono stati esclusi
i soggetti maggiormente interessati: il movimento delle donne e dei lavoratori.
Nella scorsa legislatura durante il governo D’Alema, il progetto di legge
emerso dalla commissione della Camera, di cui era relatrice Marida Bolognesi (Ds),
era già il frutto di mediazioni con i settori cattolici e si presentava
contraddittorio a causa della posizione dei Popolari schierati per una legge più
rigida con An, Ccd, Lega, Udr e gran parte di Fi. Era comunque appoggiato da Ds,
Verdi e Prc. Nel gennaio ‘98 il testo andò alla Camera, fu stravolto in senso
restrittivo (no all’eterologa, limite di tre embrioni, divieto di
crioconservazione degli embrioni) tanto che Ds, Verdi e Prc non lo votarono,
mentre fu votato e approvato da Popolari, An, Ccd, Lega, Udr e parte di Fi. Nel
‘99 il testo non passò al Senato dove furono approvati
emendamenti talmente contraddittori da indurre il Presidente del Senato Mancino
a sospendere la discussione.
Nel
luglio 2001 il ministro Sirchia volle riproporre il testo approvato alla camera
nel 1998. A febbraio 2002 la legge era in commissione e a fine marzo fu riaperto
il dibattito alla Camera. I Ds annunciarono che avrebbero riproposto
l’originario testo Bolognesi e puntarono su principi quali la “libertà di
scelta per la coppia”, la “libertà di ricerca”, auspicando la “libera
convergenza delle coscienze dei parlamentari capace di produrre sintesi
feconde”. Continuarono a prodursi in tentativi di mediazione, ma nel dibattito
alla Camera emersero ancora una volta schieramenti trasversali, con posizioni
comuni tra cattolici del Centro-Destra e del Centro-Sinistra e spaccature
all’interno della Margherita e dei Ds; a giugno 2002 la legge venne approvata
alla Camera senza sostanziali modifiche rispetto a quella approvato nel 1998.
Ma,
in previsione del passaggio al Senato, l’opposizione sociale si concretizzò
in una manifestazione nazionale delle donne che si svolse a luglio 2002, nella
quale collettivi, partiti dell’opposizione, sindacati, giovani ragazze dei
movimenti ribadirono non soltanto il no
alla legge, ma prefigurarono un possibile risveglio del movimento delle donne,
coscienti di dover difendere diritti in pericolo (come il diritto d’aborto) e
di dover riconquistare uno spazio politico dimenticato. La maggioranza dirigente
del Prc ha mostrato tutta la sua inadeguatezza a cogliere questa opportunità e
a mettere in campo una forte e diffusa mobilitazione nel partito e nel paese,
che era necessario sostenere perlomeno fino alla successiva discussione al
Senato. Ma ciò aveva una sua ragion d’essere: proprio nel 2002 e poi nel 2003
è stato messo a punto, da parte degli apparati dirigenti di maggioranza del
partito, il progetto di “svolta” di governo, realizzato da subito nei
numerosi accordi col Centro-Sinistra alle elezioni amministrative e perseguito
oggi nella prospettiva di un nuovo governo Prodi.
A
dicembre 2003 il Senato ha approvato la legge già licenziata alla Camera a
giugno 2002, senza neanche un’ombra di opposizione di massa. Questo “regalo
al Papa per Natale” (D’Onofrio), anche stavolta vedeva un voto trasversale a
Centro-Destra e Centro-Sinistra con una spaccatura nell’Ulivo. Nell’aula del
Senato, infatti, si è verificato quanto di più vergognoso possa essere fatto
sulla pelle delle donne: il Centro-Destra ha proposto un testo blindato
(identico alla versione approvata alla Camera nel 2002) con l’intento di
arrivare subito all’approvazione, sapendo che il quanto già si verificò nel
1998 e poi nel 2002 poteva ripetersi. Il Governo ha ufficializzato la sua
posizione favorevole al testo (cosa che non era mai accaduta ) e Schifani ha
precettato i suoi ad allinearsi alle posizioni del Governo. Dietro a ipocrite
questioni di “coscienza” è emerso il più bieco calcolo politico che ha
visto Rutelli dichiarare che avrebbe votato il testo e il gruppo della
Margherita prendere posizione a maggioranza a favore della legge (salvo
mantenere uno spiraglio coi Ds su ipotesi di modifica, ma nei fatti la
Margherita ha rifiutato tutti gli emendamenti “migliorativi”). I Ds, da
parte loro, hanno portato aventi una pervicace politica di mediazione nel nome
di un “superamento delle contraddizioni frontali” e nella ricerca di
“soluzioni largamente condivise perché rispettose del pluralismo etico che
contraddistingue positivamente la società italiana” (Fassino). È certo che
la riduzione della vicenda ad una questione etica serviva a scongiurare le
conseguenze negative che una rottura fra Ds e Margherita produrrebbe sul
progetto di lista unica. A questo si riferisce anche l’estrema cautela
manifestata dalla maggioranza Ds nei confronti di un possibile referendum già
proposto da Del Pennino (tra i pochi dissidenti di Fi) e appoggiato, oltre che
da Radicali, dai Verdi, Pdci, Sinistra Ds e Prc.
Nel
frattempo, attraverso Andreotti, D’Onofrio e il cardinale Ersilio Tonini, si
apriva il fronte per la revisione della legge sull’aborto. Aver ottenuto il
riconoscimento che l’embrione è un essere umano obbligherà a una profonda
revisione della legge 194/78 per non incorrere in una clamorosa contraddizione.
E si può star certi che il governo di Centro-Destra ci proverà di qui al 2006.
La
prospettiva dell’accordo tra Prc e Ulivo: una rinuncia alla mobilitazione di
massa
Il
Prc ha condotto una battaglia esclusivamente parlamentare che, pur registrando
l’ovvio voto negativo, ha evidenziato una subalternità al Centro-Sinistra e
alle sue dinamiche, che lo ha costretto a non “disturbare più di tanto il
manovratore” e che si può riassumere essenzialmente così: rinuncia a
condurre una battaglia di massa e nei movimenti e rinuncia a qualificare il
proprio intervento con connotati di classe, riducendo la critica alla legge ad
un ambito puramente liberal-borghese.
Circolano
in questi giorni nelle federazioni due documenti: un documento-appello,
quantomeno tardivo, firmato da parlamentari di Ds, Prc, Verdi e Comunisti
Italiani, che propone la “cancellazione” della legge (senza fare proposte
chiare in tal senso) mantenendo viva “una rete di mobilitazione nella società,
con il mondo della cultura e della scienza, per far vincere i valori di laicità
e di responsabilità individuale”; un documento del Forum delle donne del Prc
che, a cose ormai fatte, vuole lanciare una “campagna di lungo periodo di
informazione e mobilitazione per arrivare all’abrogazione della legge
attraverso… le forme che saranno praticabili”. Entrambi i documenti invitano
ad un’iniziativa che si terrà in un teatro romano il 24 gennaio.
“Purtroppo”, per quella data la legge sarà approvata anche nell’ulteriore
esame della Camera per le questioni tecniche relative alla copertura
finanziaria. Promuovere oggi, a legge ormai approvata, una mobilitazione “di
lungo periodo” -da condurre con Ds, Verdi, Comunisti Italiani- ha solo il
senso di camuffare con un’opposizione di facciata la volontà di rendere
“accettabile” il percorso di costruzione programmatica col Centro-Sinistra
per le prossime elezioni.
Al
contrario, questa vicenda rende evidente che la costruzione di un accordo del
Prc con il centro liberale dell’Ulivo, in totale subalternità alla
prospettiva di un nuovo governo Prodi, contrasta con la necessità, per il
movimento operaio e per tutti i movimenti di emancipazione sociale e di lotta al
capitalismo, di rompere con il centro liberale dell’Ulivo e di costruire una
propria autonomia programmatica e di classe.
La
tardiva mobilitazione del Forum delle donne e delle parlamentari del Prc e la
“disobbedienza” del mondo medico e scientifico a cui si affidava Gigi
Malabarba nel suo intervento al Senato non riusciranno a contrastare gli effetti
di questa legge. È necessaria, invece, la costruzione di un movimento di massa
che metta in discussione dalle fondamenta la
privatizzazione della sanità e le occasioni di profitto sui corpi delle donne,
che rivendichi il controllo da parte delle donne e della classe operaia
sull’intera salute riproduttiva -quindi su p.m.a., interruzione volontaria di
gravidanza, contraccezione e parto, tecnologie mediche.
Contemporaneamente
non deve cessare la lotta per il mantenimento e la riqualificazione di tutti i
servizi pubblici che supportano la vita delle donne, quali asili nido e
strutture per l’infanzia, assistenza domiciliare agli anziani e ai disabili,
centri di aggregazione femminili per donne italiane ed extracomunitarie. Va
recuperato il ruolo sociale della procreazione, affinché i figli non siano
considerati proprietà della coppia e soddisfazione di un bisogno individuale ed
eterodiretto. Va scardinato questo modello di famiglia che riproduce al suo
interno disagi, violenze, ingiustizie, che spesso si concretizza nel dominio di
un sesso sull’altro o di una generazione sull’altra, in maniera del tutto
funzionale alla conservazione del dominio capitalistico.