O con gli scioperi operai
o con i banchieri amici di Parmalat

 

 


di Marco Ferrando

 

L'autunno del 2003 -dalle lotte degli autoferrotranvieri, al Manifesto di Romano Prodi, sino alla vicenda Parmalat- ha chiarito una volta di più i diversi versanti sociali dell'opposizione a Berlusconi: da un lato quello dei lavoratori e delle loro lotte; dall'altro quello delle grandi imprese, dei loro programmi e dei loro affari.
E ancora una volta tutte le forze politiche e sindacali del movimento operaio (Prc incluso) sono chiamate ad una scelta di fondo: o di qua o di là. O unire e sviluppare sino in fondo le potenzialità di un'esplosione sociale, o sorreggere le operazioni politiche della borghesia tese a disinnescare la miccia. In mezzo non si può stare. E questa scelta investe l'intero scenario politico, il suo presente, il suo futuro.


Scioperi spontanei: un fatto esemplare, un potenziale di rivolta

La ribellione di Scanzano, la rivolta degli autoferrotranvieri, la lotta dura dei lavoratori Alitalia (le stesse lotte dei metalmeccanici in Emilia) rappresentano nel loro insieme un segnale prezioso. Ad oltre un anno dall'esaurimento del ciclo di mobilitazioni ad egemonia cofferatiana, si manifesta un nuovo potenziale di ripresa della lotta di classe, su un terreno e in forme ben più radicali e con un livello di controllo burocratico obiettivamente più debole. Cos'è che accomuna infatti esperienze di lotta così diverse? La rottura delle regole, il rifiuto della vecchia tradizione burocratica degli scioperi rituali e simbolici di calendario, l'uso della forza di massa come leva centrale dello scontro. Di più: in tutti questi casi, seppur in forme diverse, proprio la svolta delle forme di lotta ha strappato primi risultati e ha costituito fattore di contagio. Tra gli autoferrotranvieri si è detto "facciamo come a Scanzano", tra i lavoratori Alitalia si è detto "facciamo come gli autoferrotranvieri". E', nel suo piccolo, una lezione preziosa che può incidere sulla psicologia di massa e la memoria della classe. E', in ultima analisi, il potenziale d'innesco di una rivolta sociale in Italia.


Polo e Ulivo di fronte agli scioperi

Che questo sia il potenziale di svolta, lo rivela l'intero commentario della borghesia italiana. Tutte le forze della classe dominante e la loro stampa si interrogano preoccupate su come scongiurare il rischio di un "effetto domino".
Il governo Berlusconi, clamorosamente sconfitto dalla rivolta di Basilicata, cerca di arginare le nuove lotte, in parte affidandosi alla "mediazione sindacale", in parte impugnando la minaccia repressiva delle "sanzioni". Ma l'arma della repressione è a doppio taglio perché rischia di radicalizzare lo scontro, e la mediazione sindacale è già bersaglio delle lotte in corso come si è visto con gli autoferrotranvieri. La verità è che il governo è in difficoltà profonda di consenso sociale ed è privo, dopo la crisi del "Patto per l'Italia", di un quadro di concertazione stabile e complessivo su cui appoggiarsi.
Il centro liberale dell'Ulivo, dal canto suo, approfitta delle difficoltà di Berlusconi per riverniciare agli occhi della borghesia la carta di ricambio della propria alternanza di governo.
Da dove nascono "le gravi e illegittime lotte selvagge" come le ha definite (letteralmente) Tiziano Treu? Da dove nascono "le spinte anarcoidi e populiste" come recitava il quotidiano dalemiano Il Riformista del 24 dicembre? "Dalla volontà di Berlusconi di marginalizzare ruolo e peso delle Confederazioni, garanti insostituibili della pace sociale" dichiara D'Alema. Dall'incapacità del governo di "fare concertazione" dicono all'unisono tutti i dirigenti del centro ulivista. E non è un caso che proprio la proposta strategica della concertazione dei sacrifici ("occupazione flessibile", nuovi "interventi strutturali sulla previdenza", rilancio delle "liberalizzazioni e privatizzazioni") sia al centro del Manifesto programmatico di Romano Prodi: in continuità -come dichiara lo stesso autore nella lettera di accompagnamento del Manifesto- "con la stagione di governo dell'Ulivo".


Centro ulivista e apparati sindacali lavorano per disinnescare la miccia

Ma proprio per rendere credibile il proprio messaggio di alternanza agli occhi dei poteri forti, il centro liberale ha bisogno, a sua volta, di apparati sindacali "credibili" come controllori degli scioperi. Come fare quando quegli scioperi scavalcano l'apparato sindacale o addirittura contestano frontalmente le sue scelte? Qui sta la difficoltà reale dell'Ulivo, ma anche la ragione della sua ostilità profonda verso qualsiasi radicalizzazione reale dello scontro sociale. Non si tratta solo della naturale ostilità di classe di un personale politico borghese verso le ragioni e le lotte di un'altra classe. Si tratta anche di una precisa preoccupazione politica. Prodi e D'Alema sanno bene che qualsiasi esplosione sociale dal basso dissesterebbe lo stesso terreno di costruzione dell'alternanza borghese liberale; che qualsiasi caduta di Berlusconi dal versante di una lotta di massa "ingovernabile" indebolirebbe le basi della concertazione futura, muterebbe gli equilibri di classe, rischierebbe di logorare quella tela sapiente di relazioni col grande capitale (grandi imprese, grandi banche del nord e del centro, alta tecnocrazia europea, principali gruppi editoriali) su cui Prodi e D'Alema giocano la loro intera partita politica.
Per questo il centro dell'Ulivo scomunica le lotte dure, chiede a Cgil e Cisl di fare argine, si oppone ad ogni referendum sugli accordi sindacali contestati.
"Vinca pure Berlusconi lo scontro sociale (a vantaggio dell'intera borghesia), l'essenziale è la governabilità del conflitto (a vantaggio del nostro futuro governo borghese)": questa è la naturale collocazione di classe del centro ulivista di fronte al rischio di una generalizzazione delle lotte. Con un risvolto paradossale: proteggere di fatto Berlusconi dall'unica forza capace di precipitarne la crisi, la forza del movimento operaio. E così regalargli, nel momento della sua massima difficoltà, uno spazio insperato di sopravvivenza e persino di possibile (e temibile) recupero.


Per uno sciopero generale prolungato che cacci il governo Berlusconi

Qui sta allora tutta la necessità di una svolta d'indirizzo del movimento operaio e, a questo fine, di una battaglia di fondo dei comunisti e dell'insieme dell'avanguardia di classe.
Se tutte le forze della borghesia italiana lavorano per scongiurare un'esplosione sociale, il movimento operaio ha un'esigenza esattamente opposta: quella di unire le proprie forze nell'azione, definire una propria piattaforma di mobilitazione generale, affrontare una vera prova di forza col padronato e col governo, con l'obiettivo esplicito della sua cacciata.
La parola d'ordine della vertenza generale e dello sciopero prolungato risponde più che mai a questa esigenza. La rivolta di Scanzano e le lotte degli autoferrotranvieri hanno ridicolizzato tutte le obiezioni ideologiche: la lotta prolungata è possibile, può attirare solidarietà, può vincere. Ed anzi è l'unica lotta capace oggi di vincere. Si tratta ora di generalizzare quella lezione. Di portare in ogni lotta parziale la prospettiva di questo sbocco generale. Di sfidare su questo terreno tutte le rappresentanze politiche e sindacali del movimento operaio, chiamandole pubblicamente ad un'assunzione di responsabilità agli occhi della loro base.


Il capitale finanziario è associazione a delinquere. "Se ne vadano tutti": per un governo dei lavoratori

Ma al tempo stesso va posta, nelle lotte, l'esigenza di una prospettiva politica di classe: di un'alternativa di società e di potere.
Cos'è il caso Parmalat se non la confessione pubblica del capitalismo italiano? Grandi gruppi industriali, l'insieme delle grandi banche, l'insieme delle cosiddette strutture di vigilanza (da Consob a Bankitalia) -che per vent'anni hanno chiesto e imposto ai lavoratori sacrifici, rigore, "rispetto delle leggi", a partire da quelle antisciopero- hanno vissuto non solo di rapina, ma di frode: l'unica legge che hanno conosciuto e conoscono è la legge del profitto. Che in ogni società borghese ignora ogni altra legge.
Hanno potuto fare questo grazie all'insieme delle rappresentanze politiche e coperture istituzionali di cui godono. Non solo e non tanto del parvenu Berlusconi che, per interesse proprio, ha depenalizzato il falso in bilancio. Ma soprattutto di quell'ambiente politico ulivista che ha governato l'Italia per dieci anni. Che per dieci anni ha fatto da santuario e protettorato delle grandi famiglie, dei loro affari, dello loro scalate, delle loro avventure nel mondo. Si potrà dire che Callisto Tanzi è stato uno dei grandi elettori di Prodi nel '96? Che Padoa Schioppa e Spaventa erano i presidenti della Consob negli anni d'oro delle truffe Parmalat? Che il ministro del commercio con l'estero Fassino fu commesso e curatore degli interessi Parmalat in Argentina negli anni del famigerato De la Rua?
I lavoratori possono e debbono dire"basta".
Le classi dirigenti del Paese, i loro portavoce di ogni colore e di ogni tacca, se ne devono andare. E' il caso di dire: "se ne vadano tutti".
Solo la classe operaia può rifondare l'economia e la società italiana su basi interamente nuove, facendola finita col capitalismo e le sue leggi. Solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza, può liberare il mondo del lavoro, i consumatori, i piccoli risparmiatori dall'associazione a delinquere del capitale finanziario.
L'alternativa o è questo o non è.


La battaglia per l'autonomia di classe: nella Cgil e nelle lotte

Ma proprio l'intreccio tra generalizzazione delle lotte e alternativa politica di classe ripropone il nodo decisivo dell'autonomia del movimento operaio. E chiama in causa le politiche delle sue attuali direzioni.
Non si può parlare a nome dei lavoratori, del movimento, della lotta, e al tempo stesso allearsi con i loro avversari di classe e i paladini della pace sociale. Non si può invocare formalmente l'"alternativa" e "la critica del capitalismo", e poi puntare al blocco di governo con i salotti buoni dei banchieri ulivisti amici di Parmalat.
Lo ribadiamo: o di qua o di là.
Per questo la battaglia per la rottura del movimento operaio col centro borghese liberale è più che mai all'ordine del giorno: nella Cgil, nel Prc, in ogni dinamica di lotta.
Progetto Comunista si impegna in questa battaglia con tutte le proprie energie.


14/01/04