Finanziaria
di guerra e riforma Moratti: come smantellare la scuola pubblica (col
contributo del centrosinistra)
Fabiana
Stefanoni (*)
Non
si può certo dire che il governo Berlusconi abbia trovato, nei precedenti
assetti dati dalla legislatura di centrosinistra all’organizzazione della
scuola pubblica, un grosso ostacolo ai propri progetti di destrutturazione
del sistema formativo. Al contrario, proprio le politiche dell’Ulivo hanno
spianato la strada all’odierna manovra reazionaria del centrodestra, ben
lieto di portare a compimento – estendendolo e radicalizzandolo – il
progetto di parificazione tra scuola pubblica e scuola privata già avviato
dai ministri ulivisti Berlinguer e De Mauro.
Basta
dare un’occhiata al testo della Riforma Berlinguer, (difesa a spada tratta
dalla Cgil) per rendersi conto del fatto che la riforma Moratti non segna un
salto qualitativo rispetto all’immediato passato ma, piuttosto,
rappresenta un’accelerazione di processi già perfettamente delineati nei
loro caratteri essenziali dalle politiche dell’Ulivo.
Fu
proprio la Riforma del centrosinistra a dare il via alla famigerata
“autonomia didattica e organizzativa” delle istituzioni scolastiche, in
“una prospettiva di forte decentramento”: una manovra che non solo ha
permesso ai singoli istituti di auto-regolarsi in materia di finanziamento
– con la conseguente gerarchizzazione delle strutture in base alle
disponibilità economiche – ma che, soprattutto, si è dimostrata
funzionale all’ingerenza della imprese private nell’ambito formativo.
Benché l’allora ministro della pubblica istruzione abbia goffamente
tentato di giustificare quella scelta con improbabili (e populistiche...)
“esigenze di sburocratizzazione”, le reali ragioni, più forti
dell’inventiva dialettica del ministro, trasparivano dal testo stesso:
“si delinea una prospettiva di forte decentramento in favore di
istituzioni scolastiche autonome, che acquisteranno (...) capacità reali di collegamento col territorio e con le altre agenzie
formative”. E per capire cosa siano queste “altre agenzie” basta
avere la pazienza di tornare a leggere un passaggio precedente: “è il contesto
lavorativo che assume forte vocazione formativa”. Svelato l’arcano!
L’autonomia degli istituti è stata dunque pensata in vista di un più
intenso (e possiamo immaginare quanto proficuo...) raccordo con le imprese
locali; le quali imprese, in virtù dell’autonomia didattica, hanno
persino acquisito diritto d’intervento nella stessa programmazione dei
percorsi educativi. Attraverso le cosiddette “aree di progetto” e gli
“stages”, alle stesse imprese, in cambio del “disturbo”, è stato
poi garantito lo sfruttamento diretto di forza-lavoro a costo zero (con
tanto di riconoscimento per l’impegno formativo!).
Ecco,
dunque, come il ministro Berlinguer ha creato le solide basi per gli attuali
progetti di totale “aziendalizzazione” della scuola. Non solo, infatti,
con la riforma Moratti si esplicita definitivamente che le imprese (ma anche
le associazioni di rappresentanza, le camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura) hanno il compito di progettare, attuare e
valutare la realizzazione dei percorsi formativi, ma tutto questo avrà
anche una ricompensa pecuniaria: sono previsti, infatti, consistenti incentivi
per le imprese stesse, ormai assurte al ruolo di “nuovi tutori
dell’istruzione”.
Oltre
al danno la beffa, viene da dire, se si considera che tutto questo si
accompagna ai drastici tagli operati dalla finanziaria a danno del personale
docente e non docente, con la conseguente pesante riduzione dei posti di
lavoro. Alla luce della volontà di far ricadere sulle spalle dei lavoratori
della scuola il deficit di bilancio, vanno lette una serie di disposizioni
relative alla riorganizzazione dei tempi e degli spazi formativi:
l’abolizione del tempo pieno, la riesumazione della figura del maestro
unico per le scuole elementari, il taglio degli organici dei tecnici di
laboratorio, il ricorso ad appalti esterni per lo svolgimento di funzioni
amministrative. Soprattutto, decine di migliaia di posti d’insegnamento
subiranno un drastico taglio, in pieno accordo con lo spirito della
finanziaria, che sottrae risorse al servizio pubblico per convogliarle in
investimenti di guerra. Si tratta dell’ennesima riconferma della priorità
assegnata dal governo alle manovre imperialistiche rispetto al
soddisfacimento dei bisogni sociali: una realtà, questa, che è destinata
ad aggravarsi di fronte all’inasprimento dell’espansionismo militare
statunitense ed europeo.
La
riduzione dei fondi pubblici è legata all’ulteriore estensione dei
processi di “autonomia finanziaria”, che comporterà l’instaurarsi di
un vero e proprio rapporto di competizione “aziendale” tra le singole
scuole: una sorta di training alla loro definitiva privatizzazione. Un
occhio di riguardo va – neanche a dirlo – agli istituti già privati, di
stampo per lo più confessionale: per questi, vengono ovviamente introdotte
ulteriori agevolazioni (al Senato è stato approvato un emendamento che
stanzia ben 90 milioni di euro per il triennio 2003-2005 per le famiglie che
iscrivono i figli alle scuole private), tra l’altro già elargite con
generosità dai precedenti governi. Inoltre, la Camera, nel dicembre 2002,
ha approvato la sciagurata legge relativa all’immissione in ruolo (alla faccia
degli oltre 100 mila precari che attendono da decenni) degli insegnati di
religione cattolica designati dalle curie vescovili, con lo stesso
trattamento giuridico ed economico degli altri docenti e con la possibilità,
addirittura, di passare agli insegnamenti previsti per le altre classi di
concorso (tutto questo comporterà una spesa ulteriore di 30 milioni di
euro). Non a caso la religione cattolica è definita “materia fondamentale
d’insegnamento”: il governo delle destre si candida a rappresentante
privilegiato del blocco d’interessi della scuola privata, in piena
sintonia con il Vaticano, come articolazione del proprio blocco sociale di
riferimento. Volta alla parificazione tra pubblico e privato è la
famigerata politica dei buoni scuola, che tende a generalizzarsi anche a
livello territoriale per opera dei governi regionali: una forma non tanto
velata di finanziamento pubblico alle scuole private, di fatto equiparate
agli istituti statali.
Proprio
in relazione al ruolo delle Regioni nell’ambito formativo, il governo di
centrodestra aggrava ulteriormente il triste quadro già delineato dalla
scorsa legislatura: ancora più pesante diventa l’ingerenza dei governi
regionali in materia scolastica, al punto che si parla di “piani di studio
personalizzati che (...) prevedono una
quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse
specifico delle stesse”. Insomma, alle Regioni sarà garantita la
possibilità di incidere nella definizione degli stessi contenuti impartiti
a lezione! Si tratta di un andamento destinato ad aggravarsi drasticamente
con l’attuazione della sciagurata devolution voluta da Bossi e camicie verdi, poiché, come abbiamo
avuto modo di constatare in questi anni, il federalismo regionale,
sottraendo allo Stato l’esclusiva competenza in fatto d’istruzione,
cerca di accelerare i processi di privatizzazione nonché il privilegiamento
della scuola privata, aziendale e confessionale.
E
– non dimentichiamolo – è un fenomeno che non concerne esclusivamente
le regioni governate dal centrodestra. Pensiamo all’Emilia Romagna che,
col voto favorevole del nostro partito, ha varato la legge Bastico, che si
pone in esplicita continuità con le logiche privatistiche e aziendali delle
leggi nazionali di Parità e Autonomia scolastica
volute dal centrosinistra. Si tratta di una legge che avalla la
parificazione tra scuole statali e private, che prevede finanziamenti
diretti e indiretti alle scuole private stesse, che offre “borse di studio
di pari importo per tutti gli studenti emiliano-romagnoli, indipendentemente
che siano iscritti ad un istituto pubblico o privato”. Non solo: è
caldeggiato l’intervento di “enti privati” nella programmazione dei
servizi scolastici e si legittimano criteri meritocratici
nell’attribuzione delle borse di studio. Per cogliere l’essenza di
questa legge, che qualcuno nel nostro partito continua a celebrare come una
grande conquista, basta guardare a quanto dichiarato da Mariangela Bastico,
a commento della legge che porta il suo nome: “abbiamo offerto a tutti gli
studenti, sia che frequentino la
scuola pubblica o la scuola privata, maggiori opportunità”.
L’inqualificabile voto del PRC a questa legge è la dimostrazione del
fatto che ogni alleanza di governo, anche locale, col centrosinistra ci
rende inevitabilmente complici di devastanti politiche neoliberiste. Del
resto, il centrosinistra non soffre di schizofrenia e non attua a livello
locale politiche diverse da quelle che ha attuato a livello nazionale: è
quantomeno illusorio pensare di poter condizionare in senso
“progressista” l’operare di chi ha elaborato un sistema di leggi
direttamente volte a rappresentare gli interessi di settori consistenti del
capitalismo italiano. Non è stato forse il governo di centrosinistra ad
utilizzare il pretesto della “formazione professionale” per legalizzare,
sponsorizzare e sostenere la precarizzazione del lavoro giovanile (V.
riforma dell’apprendistato e dei contratti di formazione-lavoro)? Proprio
la riforma Berlinguer, prevedendo “l’alternanza tra formazione e
lavoro”, ha dato il via all’invasione imprenditoriale delle scuole
italiane: alla Moratti è bastato trarne le conseguenze, con la stipulazione
di vere e proprie “convenzioni” tra imprese e singole istituzioni
scolastiche, al fine di meglio coordinare lo sfruttamento, senza
retribuzione né rimborso spese, di forza-lavoro giovanile (visto che la
signora Moratti ci tiene a precisare che “i periodi di tirocinio non
costituiscono rapporto individuale di lavoro”).
Un’idea,
quella delle convenzioni, che al ministro delle destre è stata suggerita
nientemeno che dalla riforma Zecchino dell’università (varata dal
centrosinistra nel 1999), che esplicitamente diceva (in relazione ai corsi
di laurea in Scienze della formazione): “alla programmazione del tirocinio
contribuiscono il sistema scolastico, gli Enti locali e altre strutture
formative, culturali e produttive
(...); per lo svolgimento di esso, le università stipulano apposite convenzioni”.
Del resto, proprio in funzione dell’equiparazione tra pubblico e privato
è stato elaborato il cosiddetto “sistema dei crediti formativi” (V. la
bozza Martinotti e poi la stessa riforma Zecchino), che assegna “peso
didattico” all’attività lavorativa (o, meglio, di
“volontariato”...) svolta presso le imprese private. Tutto questo
s’inseriva nel quadro di una generale destrutturazione dell’università:
dando inizio all’autonomia finanziaria e didattica degli atenei, il
centrosinistra sanciva la trasformazione di questi ultimi in veri e propri
poli aziendali, tra loro distinti in base a criteri concorrenziali e,
ovviamente, di selezione di classe.
Di
fronte alla scellerata decisione della Corte Costituzionale di annullare il
referendum che chiedeva la cancellazione della legge di parità scolastica e
i finanziamenti alle scuole private; di fronte, più in generale, ai nuovi
pesantissimi attacchi inferti dal governo Berlusconi e dal ministro Moratti
alla scuola pubblica, è oggi urgente la ricomposizione unitaria delle lotte
degli studenti, dei lavoratori della scuola e di tutto il mondo del lavoro e
non-lavoro, al fine di costruire una vera alternativa alla scuola del
capitale. Occorre rivendicare: il ritiro immediato della riforma Moratti;
l’abolizione della legge di parità scolastica; l’abolizione di ogni
forma di finanziamento diretto o indiretto, anche a livello di giunte locali
(di centrodestra e centrosinistra), alla scuola privata e confessionale;
l’aumento salariale almeno di 250 euro per tutti i lavoratori della
scuola; l’immissione in ruolo immediata e l’assunzione a tempo
indeterminato di tutti i precari (e abolizione del pacchetto Treu); la
riduzione del numero massimo di alunni per classe e classi di insegnamento;
l’estensione della scuola pubblica (a partire della scuola per
l’infanzia) e del suo servizio in rapporto alla popolazione adulta, agli
immigrati, agli anziani.
Imprescindibile
è legare le nostre rivendicazioni per una scuola più giusta alla
prospettiva della riacquisizione su basi pubbliche e gratuite di tutta
l’istruzione: solamente una lotta chiaramente anticapitalistica, nella
prospettiva di una reale alternativa di società e di potere, può liberare
la scuola dalle logica del profitto e della mercificazione.
(*)
del Coordinamento nazionale Giovani Comunisti