I lavoratori della Zanon in Italia: un esempio concreto “que se puede”.

 

di Michele Rizzi

Il Network per i diritti globali di Terra di Bari – Rete del sud ribelle, del quale fa parte, sin dalla sua nascita, l’Associazione marxista rivoluzionaria “Progetto comunista” di Bari, ha avuto il piacere di ospitare, in un incontro pubblico, i lavoratori della fabbrica argentina della Zanon, che dopo “il licenziamento” del padrone italiano Zanon, producono ceramiche di alta qualità, con salari e diritti uguali per tutti, con un sindacato senza burocrati, con un servizio d’ordine interno armato che vigila 24 ore su 24 contro gli attacchi dei fascisti e gli sgomberi della polizia.

Mariano e Natalio, i due rappresentanti della fabbrica Zanon venuti in Italia, oltre alla tappa di Barletta, ne hanno fatte altre venti in trenta giorni, girando in largo ed in lungo la penisola, incontrando i lavoratori FIAT di Termini Imerese, dando e ricevendo solidarietà di classe: "La clase obrera no entiende fronteras, las fronteras las pusieron los patrones para dividirnos - hanno detto - pero nosotros no la aceptamos. El enemigo es único y para combatirlo somos todos hermanos". Sono stati inoltre a Cosenza, partecipando alla grande manifestazione per chiedere la scarcerazione dei compagni arrestati e davanti al carcere di Trani con noi il giorno della scarcerazione dei compagni Stasi e Fonzino dei Cobas di Taranto.

La cacciata del padrone, l’occupazione della fabbrica e la sua gestione da parte dei lavoratori, è maturata dalla volontà degli operai di scongiurare il piano di ristrutturazione aziendale padronale che avrebbe dimezzato la forza lavoro (da 300 a 150 operai circa) e, ponendosi in controtendenza rispetto alle intenzioni del padrone “defenestrato”, hanno maturato la decisione di assumere disoccupati, dimostrando che senza l’obiettivo capitalista dell’accumulazione del capitale e mettendo la produzione al servizio del popolo, si può sviluppare l’occupazione, basandosi sulle decisioni di strategia aziendale prese dalle assemblee democratiche dei lavoratori che a loro volta si confrontano in Assemblee nazionali, con le altre realtà di fabbriche gestite dagli operai in Argentina (150 circa).

L’Assemblea nazionale dei lavoratori (occupati e disoccupati) svoltasi a Buenos Aires nello scorso febbraio, con circa 8.000 presenti tra lavoratori, disoccupati, membri delle assemblee operaie e delegazioni da tutto il Paese, un chiaro esempio di democrazia operaia e non certo burocratica, approvava a larga maggioranza una dichiarazione politica finale che ribadiva l’opposizione al governo Duhalde, definito “nemico dei lavoratori e del popolo”, il rifiuto delle politiche concertative, il no al pagamento del debito estero, la nazionalizzazione del sistema bancario, la statizzazione del sistema pensionistico privatizzato, il divieto di licenziare, l’esproprio e il funzionamento sotto controllo operaio delle imprese in crisi, la restituzione dei depositi ai piccoli risparmiatori, la riduzione dell’orario senza riduzione del salario, il sussidio ai disoccupati e si concludeva con la parola d’ordine “ Via Duhalde e il Fondo monetario internazionale – Per un governo dei lavoratori”.

Le vicende di questi lavoratori si iscrivono in un processo complessivo di crisi del capitalismo argentino e mondiale, che potrebbe avere, a cominciare dalla stessa Argentina e da altri Paesi latinoamericani, sbocchi rivoluzionari.

Come questi operai rivoluzionari hanno affermato l’unica alternativa al capitalismo imperialista, alle sue guerre terroristiche, ai suoi organismi internazionali di rapina dei popoli (WTO, BM, FMI, UE, ALCA, ecc.) è l’organizzazione politica ed economica socialista del proletariato argentino ed internazionale, antiburocratica e quindi basata sulla democrazia operaia.

Fino a qualche anno fa l’Argentina era descritta dalla stampa borghese, come un esempio di sviluppo liberista da seguire; in Italia, D’Alema, capo del governo della “guerra umanitaria” alla Jugoslavia, parla in termini sensazionali del “miracolo” argentino, mentre più tardi il ministro dell’economia del governo De La Rua, Cavallo, riceve la laurea “honoris causa” dall’Università degli studi di Bologna.

Sappiamo poi come questi “santoni” del capitalismo argentino siano stati cacciati dal popolo argentino, inferocito dall’aumento dell’inflazione, dei licenziamenti di massa, delle privatizzazioni e dalla svalutazione dei salari.

Il “desarollo” del capitalismo argentino e la crisi più vasta del capitalismo mondiale, deve far riflettere la classe operaia e tutto il movimento antiglobalizzazione, una parte del quale pensa che soluzioni riformiste possano addolcire la pillola dello sfruttamento capitalista, scordandosi che la borghesia affonda i suoi colpi antioperai ed antipopolari, a volte sotto il mantello nero di governi reazionari come quello Berlusconi e a volte sotto quello rosa dei governi Prodi, D’Alema e magari Cofferati domani, o Lula in Brasile. Un Lula che vince le elezioni dopo aver chiuso l’accordo con il FMI e la Confindustria brasiliana (che vede un proprio rappresentante alla vice presidenza del governo). Il "modello argentino" è un'altra cosa: democrazia operaia delle assemblee dei lavoratori delle fabbriche occupate, dei piqueteros e delle forze coerentemente rivoluzionarie, che prospettano realmente un’alternativa economico-sociale basata sul governo dei lavoratori.