Università di Cagliari: un mese di occupazione contro l’aumento delle tasse

 

di Luca Belà e Giada Tolu

La mattina del 5 Dicembre 2002 un gruppo di circa 300 studenti universitari, dopo quasi un mese di occupazione, invade e blocca il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo cagliaritano. Si sveglia così la gran parte della popolazione sarda su un tema che fino ad oggi poco ha interessato il dibattito pubblico e politico. Cos’abbia spinto questo gruppo di coraggiosi ad entrare nell’imperioso palazzo del rettorato poco interessa a chi assiste, ma l’atto, mai tentato o riuscito nella storia accademica del nobile ateneo, incuriosisce una buona parte degli abitanti della città. Solo in questo modo gli studenti hanno avuto la possibilità di comunicare il contenuto politico della mobilitazione in atto.

Nel luglio del 2002, infatti, il Rettore dell’Università di Cagliari comunicava al Consiglio di Amministrazione che avrebbe avviato un insieme di incontri con le rappresentanze studentesche al fine di determinare modi e forme per regolamentare l’aumento delle tasse universitarie.

Sfruttando gli ampi spazi offerti dal quotidiano più letto dai sardi, l’“Unione Sarda”, il Rettore propagandava le sue proposte giustificandole come necessarie e dettate da due esigenze: risolvere il problema di un bilancio fallimentare e recidere la presunta stagnazione del gettito delle tasse stabilite nel lontano 1994.

La campagna d’informazione a mezzo stampa faceva comprendere solo in parte le modifiche apportate. Soltanto a tre giorni dal CdA, l’intenzione di escludere parte degli studenti, utilizzando esclusivamente un criterio di reddito, è apparsa in tutta la crudezza e la proposta si rivelava finalmente per quello che era: un tentativo di trasformare l’università di massa in una di classe.

La proposta del Rettore era sostenuta anche da una molteplice e trasversale coalizione di forze borghesi sarde, che intravedevano una migliore prospettiva di controllo politico futuro dettata proprio dall’esclusione degli studenti meno abbienti dalla formazione universitaria, cioè quei 12.000 studenti che usufruiscono dell’assegno di disagio perché detengono reddito troppo bassi, o che non pagano tasse perché beneficiari di borsa di studio. In questa logica vanno lette le dichiarazione alla stampa del Rettore nelle quali specificava di non concepire manovre di bilancio senza un intendimento sul modello d’università e di società da impostare strategicamente per i prossimi anni.

La disorganizzazione degli studenti e l’incapacità di alcuni nel mettere in campo iniziative, se non a scopo propagandistico, hanno giocato a favore del rettore che in assoluta tranquillità e senza grossi ostacoli è riuscito a mettere in discussione e in approvazione il Regolamento tasse, che ad esclusione degli studenti nessuno conosceva; gli stessi membri del CdA hanno votato senza avere avuto il tempo di leggerlo attentamente. Nonostante ciò tutti, compresi il rappresentante della CGIL-SNUR e della UIL, hanno votato a favore.

Con il nuovo regolamento tasse la prima fascia subiva un aumento medio del 97,7 %, il che vuol dire che le tasse raddoppiavano; la seconda fascia subiva un aumento del 67.36 % mentre la terza del 22,7 %. A partire dalla quarta fascia l’aumento decresceva in proporzione all’aumentare del reddito. Grazie all’introduzione del contributo di facoltà, variabile e libero nel futuro, tra l’altro identico per ogni fascia di reddito, si esplicava il vero criterio di esclusione di classe, riservando ai rampolli della borghesia l’iscrizione alle facoltà privilegiate dal mercato (Medicina, Scienze, Fisica, ecc.). Venivano eliminate tutte le riduzioni per merito e le rate di pagamento passavano da tre a due, riducendo a soli tre mesi il distacco tra la prima e la seconda rata.

 

Approvato ormai in via definitiva il nuovo regolamento tasse gli equilibri fra i collettivi, già provati da anni di scontro, saltano. I collettivi universitari, in linea di massima costole dei partiti del centrosinistra, scartano a priori mobilitazioni in grado di portare sul terreno del conflitto gli studenti e i loro amministratori.

Anche là dove si propongono analisi di circostanza con argomentazioni di classe non si analizza la realtà della questione con lucidità e con razionalità. Viene, da questi, propagandata l’ipotesi che gli studenti siano solo un “prodotto dell’università”, non comprendendo che, con la nuova politica di riforma, gli studenti non sono nemmeno più un prodotto ma solo un fattore di produzione degli atenei, e perciò vincolati nel numero perché rappresentanti di un costo di produzione.

Solo la facoltà di Scienze politiche e un gruppo studentesco di Lettere, che storicamente si colloca sul terreno dell’analisi di classe, riescono a mobilitarsi e a far nascere la più grande mobilitazione che l’Ateneo di Cagliari ha visto negli ultimi 25 anni sotto la sigla del “Comitato degli studenti antagonisti contro le tasse”.

In particolare è nella Facoltà di Scienze politiche che si calendarizzano, attraverso i compagni di Progetto Comunista, le occupazioni delle facoltà. Scienze Politiche, che nella sua composizione si farà portavoce di tutto il blocco economico giuridico, la facoltà di Lettere e Filosofia, il Dipartimento di psicologia ed infine la facoltà di Ingegneria vengono occupate ininterrottamente per circa un mese sotto l’unica rivendicazione del diritto allo studio. Dimostrata l’impossibilità di “dialogare” con gli amministratori dell’Ateneo, non restano altre strade che indurire lo scontro.

Dopo il primo blocco del CdA nasce però una frattura nel movimento; una parte, non insignificante, si dice convinta di poter gestire la questione con i propri rapporti di forza istituzionali (senato accademico integrato, CdA) rimettendo ogni speranza nella capacità politica di due o tre loro componenti; un’altra parte, quella organizzata dai compagni di Progetto Comunista, non si rende disponibile alla prospettiva utopistica di questi gruppi ed inizia una grande offensiva che porterà alla rioccupazione del rettorato, ai più grandi passi indietro del CdA e infine ad una legge regionale approvata con urgenza dal Consiglio regionale della Sardegna, al fine di risolvere una parte del problema. È piuttosto evidente dove risieda la differenza tra le due impostazioni: da una parte il convincimento dell’impossibilità di cambiare i rapporti di forza nella società attraverso la lotta di classe; dall’altra il perseguimento coerente di programmi che si pongono da ponte tra le rivendicazioni immediate con quelle future di svolta, attraverso un indurimento del conflitto di classe in funzione anche della ricostituzione politica di classe all’interno dell’Ateneo.

Tra l’altro nessuno faceva a meno di evidenziare l’assenza nella mobilitazione dei “Disobbedienti”. Chi prima di allora, sotto l’aurea propaganda del Partito, aveva rivendicato con metodi pacchiani e folkloristici il ruolo del movimento, come ideale creatura onnisciente capace di estrapolare dalle contraddizioni del capitalismo italiano la panacea di tutti i mali, si dimostrava ora incapace di inserirsi in una mobilitazione reale con un contributo effettivo. La non partecipazione dei Disobbedienti ha tra l’altro messo in difficoltà “Liberazione” poiché, preso atto della totale assenza dei rappresentanti del primo documento, sia in termini di presenza che di riconoscimento, si trovava impossibilitata a parlare dell’unico Ateneo in Italia capace in quel periodo di sviluppare una vertenza.

Nonostante la rottura, si riesce a bloccare per la seconda volta il CdA e a trovare nuovo consenso tra gli studenti. Non così tra i docenti, che anzi approvano nel Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche un documento in cui gli studenti occupanti vengono definiti antidemocratici e contro le istituzioni. Il documento viene approvato a maggioranza e dato alla stampa.

Si arriva così all’ultimo atto della mobilitazione, l’ultimo tentativo di occupazione del Rettorato, in cui gli studenti si trovano davanti un massiccio schieramento di polizia. Due mezzi blindati, utilizzati per chiudere le vie di fuga, diversi cellulari dei carabinieri pronti per i prevedibili fermi, due reparti della Celere in tenuta antisommossa, due reparti dei Carabinieri e uno della Polizia con lo stesso abbigliamento stile “Robocop”, e tutto il reparto della polizia politica, coordinati dal vicequestore e in comunicazione diretta col democratico Rettore, solo due anni prima candidato a sindaco per il centro sinistra e appoggiato anche dal Partito della Rifondazione Comunista. Veniamo minacciati di arresto e di percosse, rimaniamo comunque sulla strada e con un gruppo di circa cento studenti cerchiamo di forzare il blocco per penetrare all’interno del Rettorato, prendendo di sorpresa le forze dell’ordine che, indossato il casco, resistono agli studenti pur senza usare il manganello. Riceviamo anche delle telefonate di alcuni gruppi di lavoratori, di piccole fabbriche della provincia che, sospeso il lavoro dopo aver appreso dalla radio degli scontri, si dicono disponibili a dichiarare lo sciopero e a raggiungerci sotto il Rettorato per aiutarci.

Poco dopo sarebbe arrivata la notizia dell’approvazione del Regolamento tasse. Diverse modifiche proposte dai membri degli studenti in CdA sono state approvate costituendo un discreto miglioramento del regolamento stesso. La precarietà dei provvedimenti adottati non lascia comunque tranquilli: infatti il contributo di facoltà, seppur sospeso per quest’anno accademico, non è stato cancellato ma solo congelato, così come per gli aumenti generalizzati, non eliminati ma solo riposti alla discussione per il futuro.

Perciò gli studenti, pur smobilitando, si ripropongono di non alleggerire la pressione verso le politiche indirizzate contro il loro diritto allo studio, anche attraverso uno sviluppo di temi non immediatamente relativi all’università, come l’opposizione alla guerra; consci però che, pur avendo permesso almeno per quest’anno l’iscrizione di oltre 4000 studenti che senza la mobilitazione avrebbero dovuto interrompere il loro percorso di formazione universitaria, nessun passo avanti potrà essere fatto senza una rivendicazione tesa all’alternativa socialista della società.