LE PROSPETTIVE DELLA LOTTA PALESTINESE: L'APPROCCIO DEI MARXISTI RIVOLUZIONARI

 

 INTRODUZIONE

Mentre scriviamo si è appena costituito in Israele il governo Sharon, che sotto la guida del vecchio macellaio del Libano, vede presenti – in nome dell’“unità nazionale” sionista – dall’estrema destra (che rivendica la cacciata totale degli arabi da tutta la Palestina e la guerra alle nazioni arabe) al “pacifista” Peres. Nel contempo, con coraggio e determinazione, le masse palestinesi continuano l’Intifada.

Una soluzione “concordata” alla crisi sotto indicazione dell’imperialismo, con la costruzione di un “bantustan palestinese” sotto tutela, appare più lontana che mai. La direzione ufficiale dell’Autorità palestinese (Arafat e i settori che egli rappresenta), che sognava di potersi trasformare nel gestore borghese di un mini-Stato con la benedizione dell’imperialismo, di fronte alla rivolta di massa e al radicalismo dei suoi stessi quadri di base (i tanzim) non è nelle condizioni di svendere il movimento con un accordo, i cui contenuti sarebbero del resto lontani dalle sue stesse volontà di borghesia in costruzione.

Come da sempre le prospettive della rivoluzione palestinese sono difficili. E sempre di più dovrebbe essere evidente  che la soluzione positiva per i palestinesi deve essere cercata nello sviluppo, accanto all’Intifada, di una lotta più ampia nel Medio Oriente. Una lotta contemporaneamente contro il sionismo, l’imperialismo e i suoi agenti borghesi e feudo-borghesi; per una soluzione socialista in Palestina e nel Medio Oriente in generale. Questa è l’unica prospettiva che potrebbe avere la forza per vincere il sionismo e i suoi padroni imperialisti, realizzando le legittime aspirazioni nazionali (ma anche sociali) del popolo palestinese.

Costruire un’avanguardia cosciente di questi obbiettivi è uno dei difficili compiti con cui il nostro movimento marxista rivoluzionario internazionale deve confrontarsi, anche a partire dalla chiarificazione teorica della natura della questione palestinese e delle prospettive generali da indicare. Dopo aver affrontato, con l'articolo del compagno Madoglio sullo scorso numero della rivista, un’analisi puntuale della situazione in questa fase, presentiamo quindi qui il testo delle Tesi sulla questione palestinese elaborato sulla base del dibattito dell’Opposizione trotskista internazionale (Oti, la tendenza organizzata di cui la nostra Associazione marxista rivoluzionaria Proposta fa parte e che, a sua volta, partecipa con altre organizzazioni trotskiste al Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale). Tale testo è stato approvato nelle sue linee generali dal Coordinamento internazionale dell’Oti, che si è riunito tra fine febbraio e i primi di marzo scorsi.


TESI SULLA QUESTIONE PALESTINESE

 

Documento approvato dal Coordinamento internazionale dell’Opposizione trotskista internazionale (marzo 2001)

1. – L’immigrazione ebraica in Palestina nel secolo scorso ha rappresentato un’operazione a carattere coloniale. La costituzione di Israele ha rappresentato la nascita di uno Stato coloniale di tipo “stanziale”; basato cioè sull’espulsione della popolazione autoctona (per fare posto ai “coloni” che hanno realizzato un’immigrazione massiccia) piuttosto che sul supersfrut–ta­mento di essa da parte della potenza coloniale e di una ristretta élite coloniale (si tratta di un fenomeno analogo a quello delle colonie inglesi del Nordamerica; dell’Ulster, delle originarie colonie boere del Sudafrica, ecc.). In nessun modo quindi la costituzione dello Stato di Israele può essere vista come espressione legittima di “autodeter­minazione del popolo ebraico”. Essa è avvenuta con l’oppressione del popolo arabo palestinese espro­priato e cacciato dalla sua terra.

Ciò in piena alleanza con le potenze impe­rialiste dominanti nella regione, prima quella inglese poi quella nordamericana. Fin dal suo esordio il sionismo si appoggiò all’impe­ria­lismo. Ne fu strumento essenziale nell’opera di divisione del popolo arabo dopo la prima guerra mondiale e di repressione delle sue lotte per la liberazione dal dominio impe­ria­listico. Il breve periodo di conflittualità tra il sionismo e l’imperialismo britannico (dal 1939 al 1948, ma in particolare a partire dal 1943) non contraddice quanto sopra afferma­to. Infatti esso fu prodotto dalla volontà dell’im­perialismo britannico di prendere alcune distanze dal sionismo per evitare una crisi maggiore del suo dominio sul Medio Oriente (in particolare dopo la grande rivolta araba di Palestina del 1936-39). Il sionismo spostò immediatamente le proprie alleanze legandosi all’imperialismo che usciva defini­tivamente dominante dalla seconda guerra mondiale, cioè quello Usa (e utilizzando anche la sciocca politica controrivoluzionaria della burocrazia stalinista dell’Urss). Pertanto il ruolo di avamposto diretto dell’imperialismo nel Medio Oriente giocato da Israele va considerato non un fenomeno di degenerazione, che rompe con l’originaria impostazione del sionismo, ma come uno sviluppo logico dell’impresa sionista in quanto tale.

La tragedia del mostruoso genocidio contro il popolo ebraico realizzato dal nazismo e dai suoi alleati nella seconda guerra mondiale non può essere in alcun modo preso a giustificazione del sionismo e della costituzione dello Stato di Israele. Il sionismo nacque ben prima dell’“Olocausto” e la giusta lotta per la liberazione del popolo ebraico dalle violenze, massacri e oppressioni di cui era vittima già prima del trionfo del fascismo, non può giustificare violenze, massacri e oppressioni contro un altro popolo (per di più in nulla responsabile dell’oppressione contro gli ebrei) in congiunzione con il colonialismo imperialista. La lotta frontale contro l’antisemitismo, espresso non solo dalle forze apertamente di destra ma anche da alcuni settori di “sinistra” (come alcune tendenze staliniste o dei cosiddetti “autonomi”), non può andare disgiunta da quella contro il sionismo e la sua oppressione del popolo palestinese, senza diventare unilaterale e, in definitiva, ipocrita.

 

2. – La battaglia del popolo arabo di Palestina contro l’oppressione israeliana e per il proprio diritto alla liberazione e all’autode­ter­mi­na­zione nazionale costituiscono quindi una lotta legittima che è dovere di ogni marxista appoggiare incondizionatamente. Essa va inquadrata nella più generale lotta per la liberazione nazionale del popolo arabo. Questa nazione, unita da lingua, tradizioni, cultura, è stata divisa artificialmente dalle potenze imperialistiche per i loro propri interessi di dominio. Basti guardare ai confini dei vari stati arabi. Nella maggior parte dei casi essi sono del tutto artificiali, tanto da es­sere costituiti da linee rette tracciate col righel­lo sulle carte geografiche, a Parigi o Londra, per determinare le sfere di dominio coloniale delle grandi potenze. Questo fu particolarmente evidente alla fine della prima guerra mondiale, quando la palese volontà di unità del popolo arabo che usciva dal dominio turco fu tradita spudoratamente dalle potenze vincitrici. Gli stessi confini della Palestina sono in realtà largamente artificiali, essendosi determinati come tali solo nel 1921 (con la costituzione da parte della Gran Bretagna dell’emirato haschemita di Trans­giordania, attuale regno di Giordania). Tuttavia la realtà della regione e lo sviluppo storico hanno fatto sì che, nel corso dei decenni, già nella prima metà del secolo scorso si sia costituito un sentimento di comunità particolare negli arabi di Palestina, cementato anche dalla lotta contro l’oppressione sionista. Questo fa sì che si possa parlare di popolo palestinese, non distinto e contrapposto al, ma componente con le sue specificità del popolo arabo più in generale. La lotta per i diritti nazionali e di liberazione del popolo palestinese non si contrappone a quella per l’unità nazionale e la liberazione del popolo arabo in generale, che i marxisti rivoluzionari devono rivendicare.

 

3. – I marxisti rivoluzionari devono lottare per sviluppare le prospettive di liberazione del popolo palestinese e di quello arabo in generale sulla base della strategia della rivoluzione permanente. Come affermano le Tesi sulla rivoluzione permanente elaborate da Trotsky nel 1929:

In particolare per i Paesi coloniali e semi-coloniali la teoria della rivoluzione permanente significa che la soluzione vera e compiuta dei loro problemi di democrazia e di liberazione nazionale non è concepibile se non per opera di una dittatura del proletariato, che assuma la guida della nazione oppressa (…) una dittatura del proletariato che si basi sull’alleanza con i contadini e risolva in primo luogo i compiti della rivoluzione democratica.”

Si tratta quindi di rifiutare ogni illusoria concezione di rivoluzione a tappe, indicare alle masse la prospettiva del potere proletario e della rivoluzione socialista; costruire partiti marxisti rivoluzionari che si basino in primo luogo sulla classe operaia; sviluppare l’egemonia politica di quest’ultima nel processo di lotta rivoluzionaria; strappare così le masse all’influenza del nazionalismo borghese e piccolo-borghese e del fondamentalismo islamico.

In settori vasti delle masse arabe esiste da molti decenni un vago sentimento che lega tra loro la lotta di emancipazione nazionale e quella di emancipazione sociale. Questi sentimenti sono stati sfruttati e poi brutalmente traditi dalle direzioni nazionaliste borghesi di “sinistra” e piccolo-borghesi (da Nasser al Baas, dal Fln algerino a Gheddafi). Lo stesso sviluppo del fondamentalismo islamico, movimento variegato di cui va denunciato e com­battuto senza infingimenti il carattere reazionario, è legato al fallimento e alle disillusioni nei confronti del falso “socialismo arabo” nazional-borghese.

Unificando la lotta per le rivendicazioni democratiche e nazionali e quelle sociali, in contrapposizione a tutte le direzioni attuali – apertamente reazionarie o “progressiste” che siano – i trotskisti devono costruire i propri partiti, guadagnare la direzione del proletariato e di tutte le masse oppresse e portarle alla rivoluzione socialista.

 

4. – Sono queste le posizioni teoriche sostenute negli anni Trenta e Quaranta dalla Quarta Internazionale e dalla sua sezione palestinese. Non solo contro il sionismo in generale e contro la sinistra sionista (Partito laburista e sindacato Histradut) maggio­ri­taria tra i coloni ebrei, ma anche contro l’estrema sinistra sionista (Poalè Sion di sinistra e Hashomer Hatzair-Lega socialista) legati al cosiddetto Bureau di Londra (cioè la struttura di collegamento internazionale delle forze “centriste” negli anni Trenta) sostenitrici (almeno fino al 1947) di un progetto di Palestina binazionale. Proprio in polemica con le posizioni di questi ultimi, nel corso di un incontro realizzato nel 1939 (alla fine della grande rivolta araba del 1936-39) tra i rappresentanti di partiti arabi ed ebrei sulla base di un documento del Bureau di Londra, i trotskisti palestinesi affermavano le loro posizioni di fondo in un testo che verrà pubblicato sulla stampa della Quarta Internazionale, dichiarando “la loro intera solidarietà con il movimento nazionalista arabo e il loro sostegno incondizionato alle rivendicazioni immediate degli arabi: a) cessazione dell’emigrazione ebraica; b) proibizione di nuovi acquisti di terre da parte ebraica; c) governo nazionale arabo.”

Posizioni riprese, nella loro essenza, nel 1947-48, al momento della divisione della Palestina e della nascita di Israele. Posizioni qui adattate ad una situazione parzialmente modificata sulla base del cambiato atteggiamento dell’imperialismo britannico che, in una situazione di difficoltà, nel Medio Oriente passava a basare la sua azione principalmente sui regimi feudo-borghesi arabi e in primo luogo sulla monarchia hashemita. La valutazione dell’Internazionale fu che effettivamente l’imperialismo era riuscito a deviare la lotta per l’emancipazione del popolo arabo contro l’imperialismo, trasformando la guerra del 1948-49 in una guerra tra agenzie dell’impe­rialismo (di quello americano il nascente Stato di Israele, di quello britannico i Paesi arabi) per la divisione tra loro del territorio della Palestina a spese del popolo arabo-pale­sti­nese. Nel suo numero di novembre-dicembre 1947, “Quatriéme Internatio­nale” organo del Comitato esecutivo internazionale, riassumeva così le posizioni dell’Internazionale:

La posizione della Quarta Internazionale di fronte al problema palestinese resta chiara e netta come in passato. Essa sarà all’avanguardia della lotta contro la spartizione, per una Palestina unita e indipendente, nella quale le masse determineranno sovranamente la loro sorte attraverso l’elezione di un’assemblea costituente. Contro gli effendi e gli agenti imperialisti, contro le manovre della borghesia egiziana e siriana che si sforza di deviare la lotta emancipatrice delle masse in una lotta contro gli ebrei, essa lancerà l’appello alla rivoluzione agraria, alla lotta anti­capitalista e antimperialista, motori essenziali della rivoluzione araba. Ma essa non potrà condurre questa lotta con delle possibilità di successo che a condizione di prendere posizione, senza equivoco contro la spartizione del Paese e contro la costituzione dello Stato ebraico.”

Nel gennaio 1948 il gruppo trotskista di Palestina concludeva le sue tesi affermando:

Dobbiamo spiegare pazientemente agli strati più avanzati del proletariato arabo e agli intellettuali che le azioni militari a carattere razzista non fanno che approfondire il solco tra gli ebrei e gli arabi e conducono in pratica alla divisione politica: che il fattore fondamentale e che la causa principale della spartizione è l’imperialismo, che la guerra attuale non fa altro che rafforzare l’imperia­lismo; che grazie alla direzione borghese e feudale dei paesi arabi – agente dell’impe­ria­lismo – siamo stati battuti in una tappa della lotta contro l’imperialismo; e che dobbiamo prepararci per la vittoria in una prossima fase cioè per l’unificazione della Palestina e dell’Oriente arabo in generale- creando la sola forza che possa raggiungere questi obiettivi: il partito proletario rivoluzionario unificato dell’Oriente arabo.”

E il II Congresso mondiale della Quarta Internazionale riunitosi nell’aprile del 1948 riassumeva le posizioni complessive del nostro movimento in questi termini:

Negli stati arabi del Medio e del Vicino Oriente e in Africa del nord le sezioni e gruppi della Quarta Internazionale sono a favore dell’unificazione dei Paesi arabi in federazioni di repubbliche arabe libere. Queste sezioni lottano per l’eliminazione dell’imperialismo – britannico e francese – contro l’intervento imperialista degli Usa, contro i proprietari terrieri complici degli imperialisti, contro il loro strumento: la Lega araba; per delle assemblee costituenti e per la più larga democrazia.

In ciò che concerne particolarmente la Palestina, la Quarta Internazionale respinge come utopica e reazionaria la soluzione “sionista” alla questione ebraica; dichiara che il ripudio totale del sionismo è la condizione sine qua non per una fusione delle lotte degli operai ebrei con le lotte emancipatrici, sociali e nazionali dei lavoratori arabi. Dichiara che è profondamente reazionario esigere una emigrazione ebraica in Palestina, in quanto è reazionario fare appello all’immigrazione di oppressori nei Paesi coloniali in generale. Sostiene che la questione dell’immigrazione e dei rapporti tra ebrei ed arabi non può essere convenientemente decisa che dopo l’espul­sione dell’imperialismo da una assemblea costituente liberamente eletta con pieni diritti per gli ebrei come minoranza nazionale.”

Si trattava quindi dell’affermazione dei cardini di una prospettiva rivoluzionaria che inquadrava la lotta di liberazione palestinese nell’ambito più generale della lotta di liberazione contro l’imperialismo e i suoi agenti locali; indicava l’assemblea costituente di Palestina come strumento di unificazione anti­mperialista delle masse e di realizzazione con­creta del “governo nazionale arabo” rivendicato nella risoluzione del 1939 (come si può capire considerando che la popolazione araba costituiva circa il 70% degli abitanti della Palestina e che si parla nei testi dei diritti della popolazione ebraica come “minoranza nazionale”); proponeva il rifiuto dell’immigrazione ebraica sotto ogni pretesto (nel con­tempo i trotskisti lottavano per l’apertura delle frontiere, in particolare ai rifugiati ebraici, negli Usa) e il rifiuto della costituzione dello Stato di Israele.

 

5. – Gli elementi fondamentali e programmatici delle posizioni generali espresse dal movimento trotskista nel momento dello sviluppo e della nascita dello Stato sionista restano pienamente validi. Si tratta di riaffermarli e di svilupparli alla luce del processo storico degli ultimi cinquant’anni e della realtà della situazione attuale. Questo implica che le posizioni dei marxisti rivoluzionari di fronte all’In­tifada e alla questione pale­sti­nese in generale sono le seguenti:

a) I trotskisti esprimono il loro pieno ed incondizionato appoggio alla rivolta del popolo arabo di Palestina e sono per il suo sviluppo “con tutti i mezzi necessari” (ad eccezione del terrorismo indiscriminato contro la popo­lazione civile di Israele).

b) La lotta per l’autodeterminazione e la liberazione del popolo pale­sti­nese dall’oppressione del sionismo e dell’im­perialismo e per la costituzione di uno Stato arabo indipendente di Palestina (obbiettivo centrale della presente rivolta) è storicamente pienamente legittima e progressiva. In questo quadro i trotskisti sostengono il pieno e totale diritto di tutti i profughi palestinesi al rientro nelle località della Palestina storica (siano oggi nei confini di Israele precedenti il 1967 o nei territori occupati in quegli anni) da cui essi o i loro ascendenti erano stati cacciati dall’offensiva sionista, con un recupero delle proprietà allora abbandonate (o una compensazione finanziaria in caso di impossibilità) e un adeguato sostegno economico al reinseri­mento a spese del sionismo e dell’im­pe­ria­lismo.

c) I trotskisti rigettano la prospettiva degli accordi di Oslo, del “Piano Clinton” o di altri analoghi progetti, cioè la creazione di una sorta di “bantustan palestinese” formato su una piccola parte della Palestina storica da territori sotto sostanziale controllo militare israeliano, con controllo da parte dell’esercito sionista delle frontiere in nome della “sicurezza nazionale” di Israele, senza alcuna vitalità economica e sottoposto ad una inaccettabile serie di divieti sul piano della politica estera, interna e militare. Si tratterebbe infatti di uno Stato nemmeno formalmente indipendente, una “riserva indiana” di forza lavoro a basso costo per il capitalismo israeliano.

d) I trotskisti rigettano come prospettiva complessiva anche quella della costruzione di un mini-Stato  palestinese nei soli territori occupati da Israele nel 1967, prospettiva che rappresenta ad oggi l’obbiettivo della direzione arafattista. La costituzione di un tale Stato su meno di un quarto del territorio della Palestina storica non rappresenterebbe la realizzazione vera della volontà di liberazione nazionale del popolo arabo palestinese. In particolare renderebbe priva di significato la prospettiva del rientro dei profughi.

e) La prospettiva della liberazione del popolo palestinese e della costituzione del suo Stato indipendente implica la distruzione dello Stato sionista di Israele, creazione artificiale e per sua natura struttura di oppressione del popolo arabo palestinese e testa di ponte imperialista nell’intera regione del Medio Oriente e oltre. Questa distruzione non significa negare i diritti democratici del popolo ebraico che vive in Palestina. La sua presenza si è ormai storicamente consolidata e va riconosciuta e rispettata. Tuttavia i diritti nazionali del popolo ebraico in Palestina vanno subordinati ai prioritari diritti dell’oppresso popolo arabo palestinese all’autode­ter­minazione e alla costituzione di un suo Stato indipendente.

f) La lotta per la liberazione del popolo pale­stinese non può essere vincente in isolamento. Essa deve trovare il sostegno e l’appoggio delle masse arabe. La mobilitazione rivoluzionaria del  popolo arabo deve basarsi sulla prospettiva non solo della solidarietà con il popolo palestinese ma della liberazione antimperialista della nazione araba.

g) Ma tale prospettiva, così come la piena e compiuta liberazione del popolo palestinese, non ha senso nel quadro del capitalismo. La sola soluzione realistica è quella delineata dalla rivoluzione permanente. La distruzione dello Stato sionista è infatti inconcepibile senza una rivoluzione socialista, così come la unificazione della nazione araba. La prospettiva non può quindi che essere quella di una Palestina socialista nell’ambito di una nazione araba unificata su basi socialiste.

h) A sua volta questo processo rivoluzionario potrà e dovrà coinvolgere l’insieme del Medio Oriente e del Nord Africa, dando vita ad un entità politica ed economica in grado di far fronte alla reazione imperialista. La prospettiva dovrà essere quindi quella di una Federazione socialista del Medio Oriente e del Nord Africa, che unifichi su basi volontarie i vari popoli di questa regione, includendo  quelli oggi oppressi anche da regimi arabi (come i berberi e i kurdi).

Per realizzare questo programma è necessario costruire una nuova direzione del movimento di massa. Una direzione che lotti per il rovesciamento non solo del regime israeliano, ma di quelli dei paesi arabi (e degli altri Stati della regione) borghesi, feudo-borghesi, clerico-borghesi o piccolo borghesi, agenti diretti del domino imperialista o solo demagogicamente e casualmente “antimperia­listi”, reazionari ed oppressori delle masse, garanti dello sfruttamento del proletariato e del semiproletariato dei propri paesi.

Per questo è necessario costruire partiti marxisti rivoluzionari, uniti in una Quarta Internazionale rifondata; partiti che si costruiscano in primo luogo nel proletariato del proprio paese, che lottino per la sua egemonia di classe sul movimento di massa antim­perialista, contrapponendosi a tutte le attuali direzioni “reazionarie” (come gli integralisti islamici) o “progressiste” borghesi o piccolo borghesi (come la stessa direzione arafattista) e che, unificando dialetticamente le riven­di­cazioni nazionali e democratiche con quelle sociali, portino alla vittoria della rivoluzione e alla sua trascrescenza senza soluzione di continuità in rivoluzione socialista  (“La dittatura del proletariato, giunto al potere come forza dirigente della rivoluzione democratica, sarà posta inevitabilmente e molto rapidamente di fronte a problemi che le imporranno di fare delle incursioni profonde nel diritto borghese di proprietà. La rivoluzione democratica nel corso del suo sviluppo si trasforma direttamente in rivoluzione socialista e diviene così rivoluzione permanente.” – Trotsky, Tesi sulla rivoluzione permanente).

 

6. – Un aspetto complesso del problema della lotta di liberazione nazionale del popolo palestinese concerne la modalità concreta di realizzazione dell’autodeterminazione nazionale e della costruzione dello Stato palestinese indipendente e ciò in particolare di fronte alla presenza nel territorio della Palestina storica della popolazione ebraica. La posizione della Quarta Internazionale negli anni Quaranta, in continuità con quella degli anni Trenta, centrava giustamente la soluzione di questa questione sulla rivendicazione di una assemblea costituente di Palestina. La composizione nazionale della popolazione della Palestina all’epoca (70% circa arabi, 30% circa ebrei) rendeva logica questa rivendicazione come espressione della autodetermi­na­zione del popolo arabo di Palestina (non a caso, come visto, nei testi dell’epoca si parla di diritti del popolo ebraico come “minoranza nazionale”).

La situazione è stata profondamente modificata dallo sviluppo storico successivo, con il consolidamento di Israele come Stato oppressore del popolo palestinese e le modificazioni demografiche intervenute (oggi nel territorio della Palestina storica vivono circa 5 milioni di ebrei e circa 4 milioni di arabi, compresi i profughi residenti in Cisgiordania e a Gaza; esistono altri 3 milioni circa di profughi palestinesi nel Medio Oriente, ma è difficile pensare che tutti vogliano effettivamente rientrare nei territori di origine delle loro famiglie).

Le risposte politiche date al problema posto, in particolare tra le forze che si richiamano al trotskismo sono molteplici e contraddittorie. Ad un estremo si pongono posizioni come quelle espresse dal Comitato per una Internazionale operaia (in passato conosciuto anche come “Militant”, dal nome del giornale della sua principale organizzazione, quella britannica) e della sua sezione in Israele, che parla della prospettiva di una “Palestina socialista” accanto ad un “Israele socialista”. Questa posizione costituisce una versione “socialista” della prospettiva del mini-Stato, esprime nel concreto un adattamento allo Stato sionista e deve essere pertanto riget­tata.

All’estremo opposto si pongono le posizioni delle correnti di origine “morenista”. Nella sua dichiarazione del 13 ottobre 2000 la Lega internazionale dei lavoratori (Lit) avanza una forte critica alla direzione di Arafat, denunciando il suo abbandono della Carta nazionale palestinese (del 1964, modificata nel 1968-69). Il testo afferma:

Correttamente questa carta partiva dal non riconoscimento dello Stato di Israele e approvava la difesa di una Palestina laica, democratica e non razzista, Palestina questa dove coabiterebbero arabi ed ebrei, con la distruzione dello Stato di Israele, e l’espulsione dei sionisti. Gli ebrei che, per ragioni religiose vorranno vivere lì, potranno rimanere in questo Stato palestinese laico.”

E’ chiaro che gli ebrei che vorranno restare in Palestina esclusivamente per “ragioni religiose” non sono che una minoranza abbastan­za piccola della popolazione ebraica. Nei fatti, in continuità apparente con precedenti posizioni, la Lit sembra proporre l’espulsione della maggioranza del popolo ebraico dalla Palestina. E’ vero che questa è (con alcune ambiguità e con posizioni diverse da parte delle varie organizzazioni dell’Olp) la posizione storica della Carta nazionale palestinese, che  in particolare cosiderava “palestinesi” solo gli ebrei che “hanno vissuto permanentemente in Palestina fino all’inizio dell’invasione sionista” (e presumibilmente i loro discendenti, visto che tale inizio veniva individuato al momento della dichiarazione Balfour del 1917). Ma ciò non la rende automaticamente una posizione corretta. Naturalmente non con­fondiamo questa ipotesi con una prospettiva di massacro e sappiamo che ci sono stati esempi in cui una popolazione coloniale è stata espulsa senza che ciò abbia comportato una tragedia storica (i pieds noirs in Algeria dopo il 1962); possiamo anche supporre che ciò possa essere legato alla prospettiva dell’apertura agli espulsi delle frontiere degli Usa, in cui una parte della popolazione ebraica, in particolare di recente immigrazione dalla Russia, sarebbe probabilmente pronta ad emi­grare volontariamente se messa nelle condizioni di farlo.

Con tutto ciò riteniamo che i marxisti rivoluzionari debbano rigettare fortemente queste posizioni. Esse esprimono per i trotskisti che le adottino, un adattamento acritico alle (passate) posizioni del nazionalismo piccolo borghese; inoltre rendono ovviamente impossibile ogni ipotesi di coinvolgimento in una prospettiva di lotta anticapitalistica e antim­perialista di una parte del proletariato e della gioventù ebraica che è una necessità per la prospettiva della rivoluzione socialista. La costituzione di una presenza ebraica in Palestina è un fatto storicamente acquisito, che non deve essere compito nè dei marxisti rivoluzionari nè del popolo arabo palestinese rovesciare (diverso naturalmente il caso di settori specificamente reazionari, apertamente razzisti e fascisti che vanno ovviamente espulsi non solo da Cisgiordania e Gaza ma dalla Palestina in quanto tale).

Posizioni favorevoli all’espulsione della maggioranza della popolazione ebraica dalla Palestina rompono del tutto con le tradizionali posizioni del trotskismo prima riportate, che, appunto – pur condannando il sionismo, pronunciandosi contro la nascita di Israele e per il blocco dell’immigrazione ebraica in Palestina – riconoscevano alla popolazione ebraica lì immigrata (sionista o no) il diritto di restarci “con pieni diritti come minoranza nazionale”. Se ciò era valido (e lo era) più di cinquant’anni fa, non  ha assolutamente senso modificare questa posizione oggi, in cui una larga parte della popolazione ebraica di Israele ha più salde radici nel territorio pale­stinese.

Alcune altre formazioni che si richiamano al troskismo (gli “spartacisti” e la Lega per una Internazionale comunista rivoluzionaria cono­sciuta anche come Workers Power dal no­me della sua sezione britannica) rivendicano come soluzione quella di uno “Stato operaio binazionale”. Questa proposta riprende quelle già indicate dall’estrema sinistra sionista prima della nascita di Israele e nei fatti, fuori dalla retorica “rivoluzionaria”, costituisce un adattamento al sionismo. Essa si scontra frontalmente con le esigenze e gli obbiettivi della rivolta palestinese. Questa rivendica, legittimamente, la nascita di uno Stato palestinese indipendente, non una soluzione binazionale, fosse pure “operaia” o “socialista”.

Una certa analogia con la posizione appena indicata ha quella dei compagni del gruppo dei Militanti per la Quarta Internazionale, che agisce in Israele (e che sostiene il nostro Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale cui la nostra tendenza partecipa). Senza chiarire bene il carattere di classe del nuovo Stato essi fanno appello per un’assemblea costituente di Palestina in termini tali (e logicamente, visto lo sviluppo storico della situazione) da apparire una soluzione binazionale, quindi con le negatività suindicate.

Deriva dalla tradizione “lambertista” una posizione, ripresa in qualche occasione anche recentemente, che cerca di risolvere la questione di una vitale indicazione generale riprendendo la parola d’ordine dell’“assemblea costituente”, ma riferendola non alla sola Palestina, ma anche alla Giordania. Se questo quadro territoriale avesse la sua plausibilità politica ci troveremmo effettivamente di fronte ad una indicazione analoga a quella della Quarta Internazionale negli anni Quaranta. Sfortunatamente non è così. Come abbiamo indicato al punto 2, la storia ha creato una specificità del popolo palestinese. Certo esso si inserisce più in generale nel popolo arabo; ma, ad oggi, non esiste una specificità pale­stino-giordana unita e distinta. La Palestina e la Giordania sono rimaste unite, sotto dominio britannico, solo dal 1818 al 1921. Non è un caso che le posizioni e parole d’ordine storiche della Quarta Internazionale facevano riferimento sempre alla sola Palestina del mandato britannico del 1921-47, denunciando semmai gli accordi sottobanco tra monarchia giordana e sionisti per la spartizione del territorio di Palestina. Ciò che del resto avven­ne proprio dopo la guerra del 1948-49, quando la Giordania si annettè la Cisgior­dania, creando una nuova, sia pure diversa, oppressione contro i palestinesi e i loro diritti nazio­nali e democratici. Un’oppressione a tutt’oggi non dimenticata. Per cui anche quest’ultima prospettiva si scontra con gli obbiettivi e i sentimenti dell’Intifada che mirano, ripetiamolo, alla realizzazione del diritto all’auto­determinazione e alla creazione di un proprio Stato da parte del popolo arabo palesti­nese, e non di altri.

In realtà, come Opposizione trotskista internazionale riteniamo che sia sbagliato, ad oggi, di fronte alla complessità della situazione individuare una soluzione precisa. Riteniamo che, in termini di parole d’ordine e prospettive, si debba partire dai principi che abbiamo indicato al punto 5 e dal diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione; con il solo vincolo del rispetto del diritto del popolo ebraico di Palestina a restarvi con pieni diritti democratici. Noi non possiamo sapere, ad oggi, quale sarà il percorso preciso e i tempi di realizzazione di una Palestina indipendente e socialista e quindi quali saranno le esatte condizioni che determineranno le modalità di realizzazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Sarà suo diritto come popolo oppresso decidere quali relazioni precise mantenere con la popolazione ebraica (del resto già le posizioni della Quarta Internazionale nel 1948 indicavano come le forme specifiche dei rapporti tra arabi ed ebrei avrebbero dovuto essere decise dall’assemblea costituente, dopo la cacciata dell’imperialismo).

E’ possibile che lo sviluppo della rivoluzione socialista, l’espulsione dei settori più apertamente reazionari e razzisti della popolazione ebraica e modificazioni demografiche facciano sì che il popolo palestinese consideri che il quadro di uno Stato unitario rappresenti la realizzazione della propria aspirazione ad una Palestina araba indipendente e che in questo quadro si realizzi la concessione dei diritti democratici di minoranza nazionale alla popolazione ebraica. E’ anche possibile che il quadro della rivoluzione araba faccia sì che le varie specificità della nazione araba stessa si presentino in forma e su basi territoriali diverse da quelle attuali, che permettano di realizzare in un quadro territoriale più ampio (giordano-palestinese o altro) una situazione come quella prima ipotizzata.

E’ possibile al contrario che il popolo pale­stinese consideri che la sua costituzione in Stato indipendente implichi una distinzione statuale dalla popolazione ebraica e che quindi si realizzi una divisione del territorio della Palestina in due entità: una, nella maggior parte del territorio, a larga prevalenza araba; l’altra, su una parte minore, a larga prevalenza ebraica. Ciò (riprendendo l’esperienza dell’Urss originaria) in forma di regione autonoma o di repubblica autonoma nell’ambito di una repubblica araba socialista unificata; oppure come Stato federato nell’ambito più generale di una federazione socialista del Medio Oriente e del Nordafrica.

Infine è possibile, anche se improbabile, che la lotta per la rivoluzione socialista crei sentimenti di unità tali tra il proletariato e le masse palestinesi e il proletariato ebraico da far sì che il popolo palestinese faccia propria la soluzione dello Stato unitario binazionale (anche qui con vari possibili diversi legami con una repubblica socialista araba unita e con una federazione socialista del Medio Oriente e del Nordafrica).

La storia scioglierà questo nodo centrale. I trotskisti lottano per dirigere le masse verso la rivoluzione socialista. Su questo terreno indicano ad esse la strategia e la tattica necessarie. Ma non pretendono di imporre le loro specifiche soluzioni a tutti i problemi. In Palestina, al momento della vittoria rivoluzionaria, sarà il popolo palestinese – con la sua libera autodeterminazione e con il rispetto dei diritti del popolo ebraico – a decidere.

   Per la sconfitta del sionismo e del­l’im­perialismo;

   No ai compromessi bidone, rivoluzione fino alla vittoria;

   Per la mobilitazione delle masse arabe contro Israele e l’imperialismo;

   Nessuna fiducia nei fallimentari regimi borghesi, feudo-borghesi o piccolo borghesi dei paesi arabi; per il loro rovesciamento rivoluzionari;

   Per l’abbattimento dello Stato sionista di Israele; per i pieni diritti democratici del popolo ebraico in  Palestina come minoranza nazionale, nel quadro dell’unità del Medio O­riente;

   Per una Palestina libera, laica e socialista nel quadro di un’unità araba e socialista;

    Per una federazione socialista del Medio Oriente e del Nordafrica.