LE PROSPETTIVE DELLA LOTTA PALESTINESE: L'APPROCCIO DEI MARXISTI RIVOLUZIONARI
INTRODUZIONE
Mentre
scriviamo si è appena costituito in Israele il governo Sharon, che sotto la
guida del vecchio macellaio del Libano, vede presenti – in nome dell’“unità
nazionale” sionista – dall’estrema destra (che rivendica la cacciata
totale degli arabi da tutta la Palestina e la guerra alle nazioni arabe) al
“pacifista” Peres. Nel contempo, con coraggio e determinazione, le masse
palestinesi continuano l’Intifada.
Una
soluzione “concordata” alla crisi sotto indicazione dell’imperialismo, con
la costruzione di un “bantustan palestinese” sotto tutela, appare più
lontana che mai. La direzione ufficiale dell’Autorità palestinese (Arafat e i
settori che egli rappresenta), che sognava di potersi trasformare nel gestore
borghese di un mini-Stato con la benedizione dell’imperialismo, di fronte alla
rivolta di massa e al radicalismo dei suoi stessi quadri di base (i tanzim)
non è nelle condizioni di svendere il movimento con un accordo, i cui contenuti
sarebbero del resto lontani dalle sue stesse volontà di borghesia in
costruzione.
Come
da sempre le prospettive della rivoluzione palestinese sono difficili. E sempre
di più dovrebbe essere evidente
che la soluzione positiva per i palestinesi deve essere cercata nello
sviluppo, accanto all’Intifada, di una lotta più ampia nel Medio Oriente. Una
lotta contemporaneamente contro il sionismo, l’imperialismo e i suoi agenti
borghesi e feudo-borghesi; per una soluzione socialista in Palestina e nel Medio
Oriente in generale. Questa è l’unica prospettiva che potrebbe avere la forza
per vincere il sionismo e i suoi padroni imperialisti, realizzando le legittime
aspirazioni nazionali (ma anche sociali) del popolo palestinese.
Costruire un’avanguardia cosciente di questi obbiettivi è uno dei difficili compiti con cui il nostro movimento marxista rivoluzionario internazionale deve confrontarsi, anche a partire dalla chiarificazione teorica della natura della questione palestinese e delle prospettive generali da indicare. Dopo aver affrontato, con l'articolo del compagno Madoglio sullo scorso numero della rivista, un’analisi puntuale della situazione in questa fase, presentiamo quindi qui il testo delle Tesi sulla questione palestinese elaborato sulla base del dibattito dell’Opposizione trotskista internazionale (Oti, la tendenza organizzata di cui la nostra Associazione marxista rivoluzionaria Proposta fa parte e che, a sua volta, partecipa con altre organizzazioni trotskiste al Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale). Tale testo è stato approvato nelle sue linee generali dal Coordinamento internazionale dell’Oti, che si è riunito tra fine febbraio e i primi di marzo scorsi.
TESI
SULLA QUESTIONE PALESTINESE
Documento approvato dal Coordinamento internazionale dell’Opposizione trotskista internazionale (marzo 2001)
1.
– L’immigrazione ebraica in Palestina nel secolo scorso ha rappresentato
un’operazione a carattere coloniale. La costituzione di Israele ha
rappresentato la nascita di uno Stato coloniale di tipo “stanziale”; basato
cioè sull’espulsione della popolazione autoctona (per fare posto ai
“coloni” che hanno realizzato un’immigrazione massiccia) piuttosto che sul
supersfrut–tamento di essa da parte della potenza coloniale e di una
ristretta élite coloniale (si tratta di un fenomeno analogo a quello
delle colonie inglesi del Nordamerica; dell’Ulster, delle originarie colonie
boere del Sudafrica, ecc.). In nessun modo quindi la costituzione dello Stato di
Israele può essere vista come espressione legittima di “autodeterminazione
del popolo ebraico”. Essa è avvenuta con l’oppressione del popolo arabo
palestinese espropriato e cacciato dalla sua terra.
Ciò
in piena alleanza con le potenze imperialiste dominanti nella regione, prima
quella inglese poi quella nordamericana. Fin dal suo esordio il sionismo si
appoggiò all’imperialismo. Ne fu strumento essenziale nell’opera di
divisione del popolo arabo dopo la prima guerra mondiale e di repressione delle
sue lotte per la liberazione dal dominio imperialistico. Il breve periodo di
conflittualità tra il sionismo e l’imperialismo britannico (dal 1939 al 1948,
ma in particolare a partire dal 1943) non contraddice quanto sopra affermato.
Infatti esso fu prodotto dalla volontà dell’imperialismo britannico di
prendere alcune distanze dal sionismo per evitare una crisi maggiore del suo
dominio sul Medio Oriente (in particolare dopo la grande rivolta araba di
Palestina del 1936-39). Il sionismo spostò immediatamente le proprie alleanze
legandosi all’imperialismo che usciva definitivamente dominante dalla
seconda guerra mondiale, cioè quello Usa (e utilizzando anche la sciocca
politica controrivoluzionaria della burocrazia stalinista dell’Urss). Pertanto
il ruolo di avamposto diretto dell’imperialismo nel Medio Oriente giocato da
Israele va considerato non un fenomeno di degenerazione, che rompe con
l’originaria impostazione del sionismo, ma come uno sviluppo logico
dell’impresa sionista in quanto tale.
La
tragedia del mostruoso genocidio contro il popolo ebraico realizzato dal nazismo
e dai suoi alleati nella seconda guerra mondiale non può essere in alcun modo
preso a giustificazione del sionismo e della costituzione dello Stato di
Israele. Il sionismo nacque ben prima dell’“Olocausto” e la giusta lotta
per la liberazione del popolo ebraico dalle violenze, massacri e oppressioni di
cui era vittima già prima del trionfo del fascismo, non può giustificare
violenze, massacri e oppressioni contro un altro popolo (per di più in nulla
responsabile dell’oppressione contro gli ebrei) in congiunzione con il
colonialismo imperialista. La lotta frontale contro l’antisemitismo, espresso
non solo dalle forze apertamente di destra ma anche da alcuni settori di
“sinistra” (come alcune tendenze staliniste o dei cosiddetti
“autonomi”), non può andare disgiunta da quella contro il sionismo e la sua
oppressione del popolo palestinese, senza diventare unilaterale e, in
definitiva, ipocrita.
2.
– La battaglia del popolo arabo di Palestina contro l’oppressione israeliana
e per il proprio diritto alla liberazione e all’autodeterminazione
nazionale costituiscono quindi una lotta legittima che è dovere di ogni
marxista appoggiare incondizionatamente. Essa va inquadrata nella più generale
lotta per la liberazione nazionale del popolo arabo. Questa nazione, unita da
lingua, tradizioni, cultura, è stata divisa artificialmente dalle potenze
imperialistiche per i loro propri interessi di dominio. Basti guardare ai
confini dei vari stati arabi. Nella maggior parte dei casi essi sono del tutto
artificiali, tanto da essere costituiti da linee rette tracciate col righello
sulle carte geografiche, a Parigi o Londra, per determinare le sfere di dominio
coloniale delle grandi potenze. Questo fu particolarmente evidente alla fine
della prima guerra mondiale, quando la palese volontà di unità del popolo
arabo che usciva dal dominio turco fu tradita spudoratamente dalle potenze
vincitrici. Gli stessi confini della Palestina sono in realtà largamente
artificiali, essendosi determinati come tali solo nel 1921 (con la costituzione
da parte della Gran Bretagna dell’emirato haschemita di Transgiordania,
attuale regno di Giordania). Tuttavia la realtà della regione e lo sviluppo
storico hanno fatto sì che, nel corso dei decenni, già nella prima metà del
secolo scorso si sia costituito un sentimento di comunità particolare negli
arabi di Palestina, cementato anche dalla lotta contro l’oppressione sionista.
Questo fa sì che si possa parlare di popolo palestinese, non distinto e
contrapposto al, ma componente con le sue specificità del popolo arabo più in
generale. La lotta per i diritti nazionali e di liberazione del popolo
palestinese non si contrappone a quella per l’unità nazionale e la
liberazione del popolo arabo in generale, che i marxisti rivoluzionari devono
rivendicare.
3.
– I marxisti rivoluzionari devono lottare per sviluppare le prospettive di
liberazione del popolo palestinese e di quello arabo in generale sulla base
della strategia della rivoluzione permanente. Come affermano le Tesi sulla
rivoluzione permanente elaborate da Trotsky nel 1929:
“In
particolare per i Paesi coloniali e semi-coloniali la teoria della rivoluzione
permanente significa che la soluzione vera e compiuta dei loro problemi di
democrazia e di liberazione nazionale non è concepibile se non per opera di una
dittatura del proletariato, che assuma la guida della nazione oppressa (…) una
dittatura del proletariato che si basi sull’alleanza con i contadini e risolva
in primo luogo i compiti della rivoluzione democratica.”
Si
tratta quindi di rifiutare ogni illusoria concezione di rivoluzione a tappe,
indicare alle masse la prospettiva del potere proletario e della rivoluzione
socialista; costruire partiti marxisti rivoluzionari che si basino in primo
luogo sulla classe operaia; sviluppare l’egemonia politica di quest’ultima
nel processo di lotta rivoluzionaria; strappare così le masse all’influenza
del nazionalismo borghese e piccolo-borghese e del fondamentalismo islamico.
In
settori vasti delle masse arabe esiste da molti decenni un vago sentimento che
lega tra loro la lotta di emancipazione nazionale e quella di emancipazione
sociale. Questi sentimenti sono stati sfruttati e poi brutalmente traditi dalle
direzioni nazionaliste borghesi di “sinistra” e piccolo-borghesi (da Nasser
al Baas, dal Fln algerino a Gheddafi). Lo stesso sviluppo del fondamentalismo
islamico, movimento variegato di cui va denunciato e combattuto senza
infingimenti il carattere reazionario, è legato al fallimento e alle
disillusioni nei confronti del falso “socialismo arabo” nazional-borghese.
Unificando
la lotta per le rivendicazioni democratiche e nazionali e quelle sociali, in
contrapposizione a tutte le direzioni attuali – apertamente reazionarie o
“progressiste” che siano – i trotskisti devono costruire i propri partiti,
guadagnare la direzione del proletariato e di tutte le masse oppresse e portarle
alla rivoluzione socialista.
4.
– Sono queste le posizioni teoriche sostenute negli anni Trenta e Quaranta
dalla Quarta Internazionale e dalla sua sezione palestinese. Non solo contro il
sionismo in generale e contro la sinistra sionista (Partito laburista e
sindacato Histradut) maggioritaria tra i coloni ebrei, ma anche contro
l’estrema sinistra sionista (Poalè Sion di sinistra e Hashomer Hatzair-Lega
socialista) legati al cosiddetto Bureau di Londra (cioè la struttura di
collegamento internazionale delle forze “centriste” negli anni Trenta)
sostenitrici (almeno fino al 1947) di un progetto di Palestina binazionale.
Proprio in polemica con le posizioni di questi ultimi, nel corso di un incontro
realizzato nel 1939 (alla fine della grande rivolta araba del 1936-39) tra i
rappresentanti di partiti arabi ed ebrei sulla base di un documento del Bureau
di Londra, i trotskisti palestinesi affermavano le loro posizioni di fondo in un
testo che verrà pubblicato sulla stampa della Quarta Internazionale,
dichiarando “la loro intera solidarietà con il movimento nazionalista
arabo e il loro sostegno incondizionato alle rivendicazioni immediate degli
arabi: a) cessazione dell’emigrazione ebraica; b) proibizione di nuovi
acquisti di terre da parte ebraica; c) governo nazionale arabo.”
Posizioni
riprese, nella loro essenza, nel 1947-48, al momento della divisione della
Palestina e della nascita di Israele. Posizioni qui adattate ad una situazione
parzialmente modificata sulla base del cambiato atteggiamento
dell’imperialismo britannico che, in una situazione di difficoltà, nel Medio
Oriente passava a basare la sua azione principalmente sui regimi feudo-borghesi
arabi e in primo luogo sulla monarchia hashemita. La valutazione
dell’Internazionale fu che effettivamente l’imperialismo era riuscito a
deviare la lotta per l’emancipazione del popolo arabo contro l’imperialismo,
trasformando la guerra del 1948-49 in una guerra tra agenzie dell’imperialismo
(di quello americano il nascente Stato di Israele, di quello britannico i Paesi
arabi) per la divisione tra loro del territorio della Palestina a spese del
popolo arabo-palestinese. Nel suo numero di novembre-dicembre 1947,
“Quatriéme Internationale” organo del Comitato esecutivo internazionale,
riassumeva così le posizioni dell’Internazionale:
“La
posizione della Quarta Internazionale di fronte al problema palestinese resta
chiara e netta come in passato. Essa sarà all’avanguardia della lotta contro
la spartizione, per una Palestina unita e indipendente, nella quale le masse
determineranno sovranamente la loro sorte attraverso l’elezione di
un’assemblea costituente. Contro gli effendi e gli agenti imperialisti, contro
le manovre della borghesia egiziana e siriana che si sforza di deviare la lotta
emancipatrice delle masse in una lotta contro gli ebrei, essa lancerà
l’appello alla rivoluzione agraria, alla lotta anticapitalista e
antimperialista, motori essenziali della rivoluzione araba. Ma essa non potrà
condurre questa lotta con delle possibilità di successo che a condizione di
prendere posizione, senza equivoco contro la spartizione del Paese e contro la
costituzione dello Stato ebraico.”
Nel
gennaio 1948 il gruppo trotskista di Palestina concludeva le sue tesi
affermando:
“Dobbiamo
spiegare pazientemente agli strati più avanzati del proletariato arabo e agli
intellettuali che le azioni militari a carattere razzista non fanno che
approfondire il solco tra gli ebrei e gli arabi e conducono in pratica alla
divisione politica: che il fattore fondamentale e che la causa principale della
spartizione è l’imperialismo, che la guerra attuale non fa altro che
rafforzare l’imperialismo; che grazie alla direzione borghese e feudale dei
paesi arabi – agente dell’imperialismo – siamo stati battuti in una
tappa della lotta contro l’imperialismo; e che dobbiamo prepararci per la
vittoria in una prossima fase cioè per l’unificazione della Palestina e
dell’Oriente arabo in generale- creando la sola forza che possa raggiungere
questi obiettivi: il partito proletario rivoluzionario unificato dell’Oriente
arabo.”
E
il II Congresso mondiale della Quarta Internazionale riunitosi nell’aprile del
1948 riassumeva le posizioni complessive del nostro movimento in questi termini:
“Negli
stati arabi del Medio e del Vicino Oriente e in Africa del nord le sezioni e
gruppi della Quarta Internazionale sono a favore dell’unificazione dei Paesi
arabi in federazioni di repubbliche arabe libere. Queste sezioni lottano per
l’eliminazione dell’imperialismo – britannico e francese – contro
l’intervento imperialista degli Usa, contro i proprietari terrieri complici
degli imperialisti, contro il loro strumento: la Lega araba; per delle assemblee
costituenti e per la più larga democrazia.
“In
ciò che concerne particolarmente la Palestina, la Quarta Internazionale
respinge come utopica e reazionaria la soluzione “sionista” alla questione
ebraica; dichiara che il ripudio totale del sionismo è la condizione sine
qua non per una fusione delle lotte degli operai ebrei con le lotte
emancipatrici, sociali e nazionali dei lavoratori arabi. Dichiara che è
profondamente reazionario esigere una emigrazione ebraica in Palestina, in
quanto è reazionario fare appello all’immigrazione di oppressori nei Paesi
coloniali in generale. Sostiene che la questione dell’immigrazione e dei
rapporti tra ebrei ed arabi non può essere convenientemente decisa che dopo
l’espulsione dell’imperialismo da una assemblea costituente liberamente
eletta con pieni diritti per gli ebrei come minoranza nazionale.”
Si
trattava quindi dell’affermazione dei cardini di una prospettiva
rivoluzionaria che inquadrava la lotta di liberazione palestinese nell’ambito
più generale della lotta di liberazione contro l’imperialismo e i suoi agenti
locali; indicava l’assemblea costituente di Palestina come strumento di
unificazione antimperialista delle masse e di realizzazione concreta del
“governo nazionale arabo” rivendicato nella risoluzione del 1939 (come si può
capire considerando che la popolazione araba costituiva circa il 70% degli
abitanti della Palestina e che si parla nei testi dei diritti della popolazione
ebraica come “minoranza nazionale”); proponeva il rifiuto
dell’immigrazione ebraica sotto ogni pretesto (nel contempo i trotskisti
lottavano per l’apertura delle frontiere, in particolare ai rifugiati ebraici,
negli Usa) e il rifiuto della costituzione dello Stato di Israele.
5.
– Gli elementi fondamentali e programmatici delle posizioni generali espresse
dal movimento trotskista nel momento dello sviluppo e della nascita dello Stato
sionista restano pienamente validi. Si tratta di riaffermarli e di svilupparli
alla luce del processo storico degli ultimi cinquant’anni e della realtà
della situazione attuale. Questo implica che le posizioni dei marxisti
rivoluzionari di fronte all’Intifada e alla questione palestinese in
generale sono le seguenti:
a)
I trotskisti esprimono il loro pieno ed incondizionato appoggio alla rivolta del
popolo arabo di Palestina e sono per il suo sviluppo “con tutti i mezzi
necessari” (ad eccezione del terrorismo indiscriminato contro la popolazione
civile di Israele).
b)
La lotta per l’autodeterminazione e la liberazione del popolo palestinese
dall’oppressione del sionismo e dell’imperialismo e per la costituzione di
uno Stato arabo indipendente di Palestina (obbiettivo centrale della presente
rivolta) è storicamente pienamente legittima e progressiva. In questo quadro i
trotskisti sostengono il pieno e totale diritto di tutti i profughi palestinesi
al rientro nelle località della Palestina storica (siano oggi nei confini di
Israele precedenti il 1967 o nei territori occupati in quegli anni) da cui essi
o i loro ascendenti erano stati cacciati dall’offensiva sionista, con un
recupero delle proprietà allora abbandonate (o una compensazione finanziaria in
caso di impossibilità) e un adeguato sostegno economico al reinserimento a
spese del sionismo e dell’imperialismo.
c)
I trotskisti rigettano la prospettiva degli accordi di Oslo, del “Piano
Clinton” o di altri analoghi progetti, cioè la creazione di una sorta di
“bantustan palestinese” formato su una piccola parte della Palestina storica
da territori sotto sostanziale controllo militare israeliano, con controllo da
parte dell’esercito sionista delle frontiere in nome della “sicurezza
nazionale” di Israele, senza alcuna vitalità economica e sottoposto ad una
inaccettabile serie di divieti sul piano della politica estera, interna e
militare. Si tratterebbe infatti di uno Stato nemmeno formalmente indipendente,
una “riserva indiana” di forza lavoro a basso costo per il capitalismo
israeliano.
d)
I trotskisti rigettano come prospettiva complessiva anche quella della
costruzione di un mini-Stato palestinese
nei soli territori occupati da Israele nel 1967, prospettiva che rappresenta ad
oggi l’obbiettivo della direzione arafattista. La costituzione di un tale
Stato su meno di un quarto del territorio della Palestina storica non
rappresenterebbe la realizzazione vera della volontà di liberazione nazionale
del popolo arabo palestinese. In particolare renderebbe priva di significato la
prospettiva del rientro dei profughi.
e)
La prospettiva della liberazione del popolo palestinese e della costituzione del
suo Stato indipendente implica la distruzione dello Stato sionista di Israele,
creazione artificiale e per sua natura struttura di oppressione del popolo arabo
palestinese e testa di ponte imperialista nell’intera regione del Medio
Oriente e oltre. Questa distruzione non significa negare i diritti democratici
del popolo ebraico che vive in Palestina. La sua presenza si è ormai
storicamente consolidata e va riconosciuta e rispettata. Tuttavia i diritti
nazionali del popolo ebraico in Palestina vanno subordinati ai prioritari
diritti dell’oppresso popolo arabo palestinese all’autodeterminazione e
alla costituzione di un suo Stato indipendente.
f)
La lotta per la liberazione del popolo palestinese non può essere vincente in
isolamento. Essa deve trovare il sostegno e l’appoggio delle masse arabe. La
mobilitazione rivoluzionaria del popolo
arabo deve basarsi sulla prospettiva non solo della solidarietà con il popolo
palestinese ma della liberazione antimperialista della nazione araba.
g)
Ma tale prospettiva, così come la piena e compiuta liberazione del popolo
palestinese, non ha senso nel quadro del capitalismo. La sola soluzione
realistica è quella delineata dalla rivoluzione permanente. La distruzione
dello Stato sionista è infatti inconcepibile senza una rivoluzione socialista,
così come la unificazione della nazione araba. La prospettiva non può quindi
che essere quella di una Palestina socialista nell’ambito di una nazione araba
unificata su basi socialiste.
h)
A sua volta questo processo rivoluzionario potrà e dovrà coinvolgere
l’insieme del Medio Oriente e del Nord Africa, dando vita ad un entità
politica ed economica in grado di far fronte alla reazione imperialista. La
prospettiva dovrà essere quindi quella di una Federazione socialista del Medio
Oriente e del Nord Africa, che unifichi su basi volontarie i vari popoli di
questa regione, includendo quelli
oggi oppressi anche da regimi arabi (come i berberi e i kurdi).
Per
realizzare questo programma è necessario costruire una nuova direzione del
movimento di massa. Una direzione che lotti per il rovesciamento non solo del
regime israeliano, ma di quelli dei paesi arabi (e degli altri Stati della
regione) borghesi, feudo-borghesi, clerico-borghesi o piccolo borghesi, agenti
diretti del domino imperialista o solo demagogicamente e casualmente
“antimperialisti”, reazionari ed oppressori delle masse, garanti dello
sfruttamento del proletariato e del semiproletariato dei propri paesi.
Per
questo è necessario costruire partiti marxisti rivoluzionari, uniti in una
Quarta Internazionale rifondata; partiti che si costruiscano in primo luogo nel
proletariato del proprio paese, che lottino per la sua egemonia di classe sul
movimento di massa antimperialista, contrapponendosi a tutte le attuali
direzioni “reazionarie” (come gli integralisti islamici) o
“progressiste” borghesi o piccolo borghesi (come la stessa direzione
arafattista) e che, unificando dialetticamente le rivendicazioni nazionali e
democratiche con quelle sociali, portino alla vittoria della rivoluzione e alla
sua trascrescenza senza soluzione di continuità in rivoluzione socialista
(“La dittatura del proletariato, giunto al potere come forza
dirigente della rivoluzione democratica, sarà posta inevitabilmente e molto
rapidamente di fronte a problemi che le imporranno di fare delle incursioni
profonde nel diritto borghese di proprietà. La rivoluzione democratica nel
corso del suo sviluppo si trasforma direttamente in rivoluzione socialista e
diviene così rivoluzione permanente.” – Trotsky, Tesi sulla
rivoluzione permanente).
6.
– Un aspetto complesso del problema della lotta di liberazione nazionale del
popolo palestinese concerne la modalità concreta di realizzazione
dell’autodeterminazione nazionale e della costruzione dello Stato palestinese
indipendente e ciò in particolare di fronte alla presenza nel territorio della
Palestina storica della popolazione ebraica. La posizione della Quarta
Internazionale negli anni Quaranta, in continuità con quella degli anni Trenta,
centrava giustamente la soluzione di questa questione sulla rivendicazione di
una assemblea costituente di Palestina. La composizione nazionale della
popolazione della Palestina all’epoca (70% circa arabi, 30% circa ebrei)
rendeva logica questa rivendicazione come espressione della autodeterminazione
del popolo arabo di Palestina (non a caso, come visto, nei testi dell’epoca si
parla di diritti del popolo ebraico come “minoranza nazionale”).
La
situazione è stata profondamente modificata dallo sviluppo storico successivo,
con il consolidamento di Israele come Stato oppressore del popolo palestinese e
le modificazioni demografiche intervenute (oggi nel territorio della Palestina
storica vivono circa 5 milioni di ebrei e circa 4 milioni di arabi, compresi i
profughi residenti in Cisgiordania e a Gaza; esistono altri 3 milioni circa di
profughi palestinesi nel Medio Oriente, ma è difficile pensare che tutti
vogliano effettivamente rientrare nei territori di origine delle loro famiglie).
Le
risposte politiche date al problema posto, in particolare tra le forze che si
richiamano al trotskismo sono molteplici e contraddittorie. Ad un estremo si
pongono posizioni come quelle espresse dal Comitato per una Internazionale
operaia (in passato conosciuto anche come “Militant”, dal nome del giornale
della sua principale organizzazione, quella britannica) e della sua sezione in
Israele, che parla della prospettiva di una “Palestina socialista” accanto
ad un “Israele socialista”. Questa posizione costituisce una versione
“socialista” della prospettiva del mini-Stato, esprime nel concreto un
adattamento allo Stato sionista e deve essere pertanto rigettata.
All’estremo
opposto si pongono le posizioni delle correnti di origine “morenista”. Nella
sua dichiarazione del 13 ottobre 2000 la Lega internazionale dei lavoratori (Lit)
avanza una forte critica alla direzione di Arafat, denunciando il suo abbandono
della Carta nazionale palestinese (del 1964, modificata nel 1968-69). Il testo
afferma:
“Correttamente
questa carta partiva dal non riconoscimento dello Stato di Israele e approvava
la difesa di una Palestina laica, democratica e non razzista, Palestina questa
dove coabiterebbero arabi ed ebrei, con la distruzione dello Stato di Israele, e
l’espulsione dei sionisti. Gli ebrei che, per ragioni religiose vorranno
vivere lì, potranno rimanere in questo Stato palestinese laico.”
E’
chiaro che gli ebrei che vorranno restare in Palestina esclusivamente per
“ragioni religiose” non sono che una minoranza abbastanza piccola della
popolazione ebraica. Nei fatti, in continuità apparente con precedenti
posizioni, la Lit sembra proporre l’espulsione della maggioranza del popolo
ebraico dalla Palestina. E’ vero che questa è (con alcune ambiguità e con
posizioni diverse da parte delle varie organizzazioni dell’Olp) la posizione
storica della Carta nazionale palestinese, che
in particolare cosiderava “palestinesi” solo gli ebrei che “hanno
vissuto permanentemente in Palestina fino all’inizio dell’invasione sionista”
(e presumibilmente i loro discendenti, visto che tale inizio veniva individuato
al momento della dichiarazione Balfour del 1917). Ma ciò non la rende
automaticamente una posizione corretta. Naturalmente non confondiamo questa
ipotesi con una prospettiva di massacro e sappiamo che ci sono stati esempi in
cui una popolazione coloniale è stata espulsa senza che ciò abbia comportato
una tragedia storica (i pieds noirs in Algeria dopo il 1962); possiamo
anche supporre che ciò possa essere legato alla prospettiva dell’apertura
agli espulsi delle frontiere degli Usa, in cui una parte della popolazione
ebraica, in particolare di recente immigrazione dalla Russia, sarebbe
probabilmente pronta ad emigrare volontariamente se messa nelle condizioni di
farlo.
Con
tutto ciò riteniamo che i marxisti rivoluzionari debbano rigettare fortemente
queste posizioni. Esse esprimono per i trotskisti che le adottino, un
adattamento acritico alle (passate) posizioni del nazionalismo piccolo borghese;
inoltre rendono ovviamente impossibile ogni ipotesi di coinvolgimento in una
prospettiva di lotta anticapitalistica e antimperialista di una parte del
proletariato e della gioventù ebraica che è una necessità per la prospettiva
della rivoluzione socialista. La costituzione di una presenza ebraica in
Palestina è un fatto storicamente acquisito, che non deve essere compito nè
dei marxisti rivoluzionari nè del popolo arabo palestinese rovesciare (diverso
naturalmente il caso di settori specificamente reazionari, apertamente razzisti
e fascisti che vanno ovviamente espulsi non solo da Cisgiordania e Gaza ma dalla
Palestina in quanto tale).
Posizioni
favorevoli all’espulsione della maggioranza della popolazione ebraica dalla
Palestina rompono del tutto con le tradizionali posizioni del trotskismo prima
riportate, che, appunto – pur condannando il sionismo, pronunciandosi contro
la nascita di Israele e per il blocco dell’immigrazione ebraica in Palestina
– riconoscevano alla popolazione ebraica lì immigrata (sionista o no) il
diritto di restarci “con pieni diritti come minoranza nazionale”. Se
ciò era valido (e lo era) più di cinquant’anni fa, non
ha assolutamente senso modificare questa posizione oggi, in cui una larga
parte della popolazione ebraica di Israele ha più salde radici nel territorio
palestinese.
Alcune
altre formazioni che si richiamano al troskismo (gli “spartacisti” e la Lega
per una Internazionale comunista rivoluzionaria conosciuta anche come Workers
Power dal nome della sua sezione britannica) rivendicano come soluzione quella
di uno “Stato operaio binazionale”. Questa proposta riprende quelle già
indicate dall’estrema sinistra sionista prima della nascita di Israele e nei
fatti, fuori dalla retorica “rivoluzionaria”, costituisce un adattamento al
sionismo. Essa si scontra frontalmente con le esigenze e gli obbiettivi della
rivolta palestinese. Questa rivendica, legittimamente, la nascita di uno Stato
palestinese indipendente, non una soluzione binazionale, fosse pure
“operaia” o “socialista”.
Una
certa analogia con la posizione appena indicata ha quella dei compagni del
gruppo dei Militanti per la Quarta Internazionale, che agisce in Israele (e che
sostiene il nostro Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale cui
la nostra tendenza partecipa). Senza chiarire bene il carattere di classe del
nuovo Stato essi fanno appello per un’assemblea costituente di Palestina in
termini tali (e logicamente, visto lo sviluppo storico della situazione) da
apparire una soluzione binazionale, quindi con le negatività suindicate.
Deriva
dalla tradizione “lambertista” una posizione, ripresa in qualche occasione
anche recentemente, che cerca di risolvere la questione di una vitale
indicazione generale riprendendo la parola d’ordine dell’“assemblea
costituente”, ma riferendola non alla sola Palestina, ma anche alla Giordania.
Se questo quadro territoriale avesse la sua plausibilità politica ci troveremmo
effettivamente di fronte ad una indicazione analoga a quella della Quarta
Internazionale negli anni Quaranta. Sfortunatamente non è così. Come abbiamo
indicato al punto 2, la storia ha creato una specificità del popolo
palestinese. Certo esso si inserisce più in generale nel popolo arabo; ma, ad
oggi, non esiste una specificità palestino-giordana unita e distinta. La
Palestina e la Giordania sono rimaste unite, sotto dominio britannico, solo dal
1818 al 1921. Non è un caso che le posizioni e parole d’ordine storiche della
Quarta Internazionale facevano riferimento sempre alla sola Palestina del
mandato britannico del 1921-47, denunciando semmai gli accordi sottobanco tra
monarchia giordana e sionisti per la spartizione del territorio di Palestina. Ciò
che del resto avvenne proprio dopo la guerra del 1948-49, quando la Giordania
si annettè la Cisgiordania, creando una nuova, sia pure diversa, oppressione
contro i palestinesi e i loro diritti nazionali e democratici.
Un’oppressione a tutt’oggi non dimenticata. Per cui anche quest’ultima
prospettiva si scontra con gli obbiettivi e i sentimenti dell’Intifada che
mirano, ripetiamolo, alla realizzazione del diritto all’autodeterminazione e
alla creazione di un proprio Stato da parte del popolo arabo palestinese, e
non di altri.
In
realtà, come Opposizione trotskista internazionale riteniamo che sia sbagliato,
ad oggi, di fronte alla complessità della situazione individuare una soluzione
precisa. Riteniamo che, in termini di parole d’ordine e prospettive, si debba
partire dai principi che abbiamo indicato al punto 5 e dal diritto del popolo
palestinese all’autodeterminazione; con il solo vincolo del rispetto del
diritto del popolo ebraico di Palestina a restarvi con pieni diritti
democratici. Noi non possiamo sapere, ad oggi, quale sarà il percorso preciso e
i tempi di realizzazione di una Palestina indipendente e socialista e quindi
quali saranno le esatte condizioni che determineranno le modalità di
realizzazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Sarà
suo diritto come popolo oppresso decidere quali relazioni precise mantenere con
la popolazione ebraica (del resto già le posizioni della Quarta Internazionale
nel 1948 indicavano come le forme specifiche dei rapporti tra arabi ed ebrei
avrebbero dovuto essere decise dall’assemblea costituente, dopo la cacciata
dell’imperialismo).
E’
possibile che lo sviluppo della rivoluzione socialista, l’espulsione dei
settori più apertamente reazionari e razzisti della popolazione ebraica e
modificazioni demografiche facciano sì che il popolo palestinese consideri che
il quadro di uno Stato unitario rappresenti la realizzazione della propria
aspirazione ad una Palestina araba indipendente e che in questo quadro si
realizzi la concessione dei diritti democratici di minoranza nazionale alla
popolazione ebraica. E’ anche possibile che il quadro della rivoluzione araba
faccia sì che le varie specificità della nazione araba stessa si presentino in
forma e su basi territoriali diverse da quelle attuali, che permettano di
realizzare in un quadro territoriale più ampio (giordano-palestinese o altro)
una situazione come quella prima ipotizzata.
E’
possibile al contrario che il popolo palestinese consideri che la sua
costituzione in Stato indipendente implichi una distinzione statuale dalla
popolazione ebraica e che quindi si realizzi una divisione del territorio della
Palestina in due entità: una, nella maggior parte del territorio, a larga
prevalenza araba; l’altra, su una parte minore, a larga prevalenza ebraica. Ciò
(riprendendo l’esperienza dell’Urss originaria) in forma di regione autonoma
o di repubblica autonoma nell’ambito di una repubblica araba socialista
unificata; oppure come Stato federato nell’ambito più generale di una
federazione socialista del Medio Oriente e del Nordafrica.
Infine
è possibile, anche se improbabile, che la lotta per la rivoluzione socialista
crei sentimenti di unità tali tra il proletariato e le masse palestinesi e il
proletariato ebraico da far sì che il popolo palestinese faccia propria la
soluzione dello Stato unitario binazionale (anche qui con vari possibili diversi
legami con una repubblica socialista araba unita e con una federazione
socialista del Medio Oriente e del Nordafrica).
La
storia scioglierà questo nodo centrale. I trotskisti lottano per dirigere le
masse verso la rivoluzione socialista. Su questo terreno indicano ad esse la
strategia e la tattica necessarie. Ma non pretendono di imporre le loro
specifiche soluzioni a tutti i problemi. In Palestina, al momento della vittoria
rivoluzionaria, sarà il popolo palestinese – con la sua libera
autodeterminazione e con il rispetto dei diritti del popolo ebraico – a
decidere.
•
Per la sconfitta del sionismo
e dell’imperialismo;
•
No ai compromessi bidone,
rivoluzione fino alla vittoria;
•
Per la mobilitazione delle
masse arabe contro Israele e l’imperialismo;
•
Nessuna fiducia nei
fallimentari regimi borghesi, feudo-borghesi o piccolo borghesi dei paesi arabi;
per il loro rovesciamento rivoluzionari;
•
Per l’abbattimento dello
Stato sionista di Israele; per i pieni diritti democratici del popolo ebraico in
Palestina come minoranza nazionale, nel quadro dell’unità del Medio Oriente;
•
Per una Palestina libera,
laica e socialista nel quadro di un’unità araba e socialista;
•
Per una federazione
socialista del Medio Oriente e del Nordafrica.