Elezioni Regionali: L’Ultimo Tassello

 

di Valerio Torre

 

Uno dei primi atti della neonata Gad (Grande alleanza democratica) è stato quello di stringere da subito gli accordi fra i partiti dell’Ulivo e Rifondazione comunista in tutte le regioni in vista delle prossime elezioni.

Nessuna discriminante programmatica, nessun “paletto”: nella sua corsa senza freni verso l’abbraccio con Prodi in vista del 2006, Fausto Bertinotti fa a meno anche di quel simulacro di differenziazione dai partiti del centrosinistra costituito dal mitico “programma”. D’altronde, l’intesa complessiva “a prescindere” (come avrebbe detto il principe De Curtis) è il logico portato della confluenza del Prc all’interno della Gad sulle basi individuate dal segretario nazionale.

L’altra ovvia conseguenza di tale decisione presa dalla maggioranza dirigente del partito, che non poggia su alcun fondamento di classe, sta nel nodo delle candidature alla presidenza delle regioni, tema sul quale si sono scatenate - fatta eccezione per i territori in cui effettivamente non c’è alcuna convincente alternativa (ad esempio, Bassolino in Campania) - le forze politiche della coalizione.

Non è però questo l’aspetto rilevante, essendo del tutto ovvio che occasioni del genere solleticano gli appetiti dei partiti, scatenando il riflesso condizionato della difesa degli interessi di apparato di cui sono rispettivamente portatori. È necessario, invece, soffermarsi sulla “qualità” di dette candidature, in considerazione delle ragioni di classe che esse esprimono e rappresentano.

 

Imprenditori in prima linea: Lombardia e Veneto  

Gli esempi di Sarfatti (Lombardia) e Carraro (Veneto) sono già di per sé significativi.

Ulivista convinto ed esempio di quell’imprenditoria progressista “illuminata” fautrice delle intese concertative e contraria alla linea confindustriale di attacco alla Cgil ed all’art. 18 decisa dalla presidenza D’Amato, il primo aveva visto nelle scorse settimane insidiare la propria candidatura da Pia Locatelli (europarlamentare Sdi), da Mario Agostinelli (esponente sindacale gradito a Rifondazione) e dal verde Carlo Monguzzi. Tuttavia, gli equilibri interni alla Gad si sono alla fine ricomposti intorno al nome di Riccardo Sarfatti scontentando soprattutto i socialisti ed il Prc: sicché, per allentare le tensioni che si erano subito create nella coalizione si è deciso che i tre esclusi saranno valorizzati nell’attuazione del progetto politico unitario. E, con involontario senso dell’ironia, li si è definiti - in pieno clima di festività natalizie - i “tre Re magi” che porteranno risorse al candidato anti-Formigoni!

Il piccolo problema, che dovrebbe preoccupare i comunisti, è che questo novello … “Gesù bambino” - autodefinitosi “imprenditore liberal”, consigliere dell’associazione “Libertà e Giustizia” che annovera fra i suoi membri gli esponenti più in vista della buona borghesia e del mondo intellettuale e professionale meneghino - persegue l’obiettivo di puntare al recupero di quella cultura del “riformismo lombardo” finora attratta dal formigonismo attraverso un programma con al centro “l’innovazione economica” (perifrasi per indicare l’attenzione per gli interessi dell’impresa, meglio se media o piccola), appena temperata da un generico richiamo al “giusto ruolo del lavoro e dell’ambiente” (Lombardia Margherita online, 24/12/2004).

D’altronde, il “nostro” non si è mai fatto scrupolo, ad esempio, di indicare nei “limiti posti alla liberalizzazione dei mercati e quindi alla competizione” (Europa, 23/5/2003) una delle cause del declino industriale italiano. E non c’è da dubitare, in questo senso, che da presidente della regione Lombardia saprebbe come porvi rimedio!

Al contrario, per la designazione di Massimo Carraro, già europarlamentare eletto da indipendente nelle liste dei Ds ed importante imprenditore del nordest, le forze politiche della Gad hanno subito trovato l’intesa: sarà stato per l’oggettiva difficoltà di battere il Polo nella regione Veneto, sua roccaforte.

Anche in questo caso, siamo in presenza di un candidato che esprime appieno gli interessi della classe che rappresenta (i capitalisti la lotta di classe la sanno fare benissimo!), come dimostra la cospicua produzione di articoli ed interviste in cui egli ripetutamente si proclama fautore della liberalizzazione dei servizi e di politiche fiscali in favore di quelle piccole imprese che, nei distretti veneti un tempo ricche isole felici dello sviluppo economico senza freni, oggi licenziano massicciamente per delocalizzare all’estero fronteggiando così la congiuntura in atto; oppure, quando accusa il sindacato di essere in ritardo, propugnando la sostituzione dei contratti nazionali di categoria con i più “funzionali” contratti d’area: in altre parole, le gabbie salariali!

Insomma, siamo in presenza, in casi come questi, di candidature - e di programmi! - profondamente antitetici rispetto agli interessi dei lavoratori e delle classi disagiate. Il non aver voluto tracciare - per non mettere in crisi il percorso di ricomposizione negoziale con Prodi e l’Ulivo - un bilancio di esperienze di collaborazione di classe già fatte in decine di enti locali; il non aver voluto affrontare seriamente una riflessione sull’incompatibilità dei programmi dei comunisti e dei capitalisti, che avrebbe condotto ad una conclusione obbligata: la rottura con il centrosinistra; tutto ciò ha indotto il Prc ad ingoiare, sotto la spinta della sua maggioranza dirigente, di correre alle prossime regionali sotto le insegne di tali illuminati imprenditori ed appoggiando i loro programmi!

 

Piemonte, Liguria e Calabria

Ma le cose non vanno meglio se si guarda alle candidature di politici “di razza”.

Prendiamo il caso di Mercedes Bresso, che i Ds hanno indicato quale candidata a presidente della regione Piemonte dopo che era invece stato indicato Pietro Marcenaro, segretario regionale dello stesso partito. La ragione della sostituzione sta nei … sondaggi: che indicavano la prima favorita rispetto al secondo nella corsa contro Ghigo, candidato della destra.

La Bresso, già presidente per ben nove anni della provincia di Torino ed esponente di spicco dell’area fassiniana, gode del favore e del pubblico sostegno della Banca San Paolo-Imi e della Compagnia di San Paolo che di quella è la principale azionista: si tratta, in altri termini, di un potentissimo centro di potere piemontese che ha già favorito la corsa della candidata alle scorse elezioni europee, quando risultò eletta con un numero impressionante di consensi.

Oppure, guardiamo alla candidatura in Liguria di Claudio Burlando, che si è distinto in passato come fautore dell’abbandono della cantieristica navale e il ridimensionamento dell’industria pesante a Genova, mentre oggi si dichiara favorevole alla vendita delle aziende del settore civile di Finmeccanica.

Si tratta di una candidatura che ha suscitato la giusta reazione di una compagna - Haidi Giuliani - sicuramente non sospettabile di settarismo, che ha dichiarato a Liberazione (15/12/2004) di non poter votare Burlando sebbene candidato contro la destra, giacché non costituisce “una alternativa autentica e degna di questo nome”.

La risposta del direttore, Piero Sansonetti, è inequivoca e rende superfluo qualsiasi ulteriore commento: “bisogna sporcarsi un po’ le mani”! Come se Rifondazione non se le fosse già sporcate dal ’96 fino ad oggi.

Vale anche la pena di soffermarsi sulla candidatura di Agazio Loiero per la regione Calabria, maturata a seguito di improbabili primarie in cui quasi 2600 “grandi elettori” lo hanno scelto facendolo prevalere sul rettore universitario Giovanni Latorre.

Si è trattato, in realtà, di una pantomima di democrazia in cui il 40% dei votanti era espressione delle burocrazie dei partiti della Gad, il 30% era costituito da tutti gli eletti (sindaci, consiglieri comunali, provinciali e regionali) ed il restante 30% appannaggio delle associazioni in rappresentanza della cosiddetta “società civile”.

Naturalmente, il candidato favorito era proprio Loiero - alle spalle due brevi esperienze ministeriali nei governi D’Alema e Amato bis ed espressione di quel vecchio notabilato democristiano calabrese padrone di un affidabile sistema di potere - che è stato sospinto verso l’affermazione sul suo rivale dagli apparati di partito dei Ds e della Margherita, che avevano già predeterminato quest’esito.

Anche qui, proprio in considerazione degli interessi di cui Loiero è portatore, la scelta appare priva di ogni connotazione di classe per il Prc. L’esempio è però utile perché dà modo di sottoporre a verifica una candidatura che riguarda più direttamente proprio Rifondazione comunista.

 

La Puglia e il “caso” Vendola

Quello di Nichi Vendola, infatti, è un vero e proprio “caso”, sul quale si è fondato uno psicodramma collettivo, una sorta di sceneggiata in cui il ruolo del cattivo è interpretato da un Massimo D’Alema disposto a tutto pur di non cedere sul “prescelto” Francesco Boccia (Margherita, assessore al comune di Bari), ripescato dopo che l’industriale della pasta, Divella, sponsorizzato dai Ds, si era dichiarato indisponibile.

Profittando dell’indecisione ulivista fra i due, Fausto Bertinotti ha giocato la carta di Vendola suscitando però la reazione di arroccamento intorno a Boccia soprattutto dei settori dalemiani dei democratici di sinistra.

La Gad ha rischiato di andare in frantumi proprio sulla scelta della candidatura pugliese poiché il livello dello scontro si è alzato fino al parossismo, con la minaccia del segretario di Rifondazione di mandare a gambe all’aria la coalizione. Il braccio di ferro è andato avanti così per qualche giorno (sono addirittura volate accuse di “omofobia” all’indirizzo dei Ds), fino a che la situazione si è sbloccata allorquando questi ultimi hanno “ceduto” sulla possibilità di svolgere delle primarie sul candidato. Primarie “vere”, ha reclamato Bertinotti: e primarie “vere” sono state fissate per il 16 gennaio, in cui non voteranno soltanto i “grandi elettori”, ma tutti i potenziali elettori del centrosinistra che sottoscriveranno un impegno a sostenere il progetto della Gad.

Dunque, sarà l’esito di queste consultazioni (non ancora svolte al momento della redazione di questo articolo) a decidere della candidatura anti‑Fitto. Quello che è certo è che lo sbocco delle primarie costituiva l’unica via d’uscita onorevole per il gruppo dirigente di maggioranza del Prc rispetto all’innalzamento del tono dello scontro con i potentati dalemiani, non essendo praticabile l’alternativa della rottura della coalizione che è stata solo mimata da Bertinotti. E che di bluff si trattasse erano consapevoli tutti i partiti al tavolo delle trattative: le indiscrezioni trapelate lasciavano intendere che l’Ulivo teme molto di più la rottura di Mastella (che reclama la Basilicata) che non quella del segretario di Rifondazione, poiché “il primo un’alternativa ce l’ha, mentre Fausto al punto in cui è giunto non può tornare indietro”. Perciò, la “concessione” dei Ds sulle primarie ha consentito al Prc di dare mostra di essere stato sul serio pronto a rompere, ma di non averlo fatto avendo strappato un risultato non scontato.

 

La posta in gioco

Il problema, indipendentemente dall’esito delle primarie pugliesi, è che anche in questo caso, così come nelle altre regioni, Rifondazione comunista non può che giocare un ruolo subalterno rispetto ai partiti dell’Ulivo, nei cui confronti ha da tempo abbandonato ogni discriminante di classe. L’intero percorso di ricomposizione su base negoziale per un governo di centrosinistra nel 2006 che, già all’indomani della rottura con Prodi nel ’98, ha portato (seppure in modo non lineare) all’epilogo oggi sotto gli occhi di tutti, passa - dopo che il partito è stato depurato da tutte le “scorie” novecentesche ed è diventato in tutto e per tutto “affidabile” (come tale venendo percepito dalla borghesia) - per l’accordo complessivo in tutte le regioni. Si tratta dell’ultimo tassello, il più importante, per comporre il puzzle dell’accordo di governo con Prodi, che chiede proprio questo: la subordinazione del Prc, del movimento operaio e dei movimenti sociali di lotta, ai rappresentanti del capitale in funzione del contenimento delle dinamiche di massa e della pace sociale.

Perché è proprio questa la posta in gioco: a partire dalle politiche regionali.

 

3 gennaio 2005