Liscia,
gassata o… privatizzata?
Regione
Campania: il centrosinistra privatizza il settore idrico
di Valerio Torre
Il 23 novembre scorso,
l’assemblea generale dell’Ato Napoli-Volturno (l’ente territoriale che
gestisce il ciclo delle acque e le risorse idriche del territorio partenopeo e
casertano), composta da 136 sindaci di altrettanti comuni del comprensorio, ha
approvato una delibera che prevede la costituzione di una società mista per
azioni cui è affidata la gestione del bacino idrico. Il capitale della Spa è
per il 40% in mano a privati e la stessa delibera contempla la cessione dalla
mano pubblica di un’ulteriore quota del 9% entro la fine del 2005, fino a
giungere, entro il 2006, alla totale privatizzazione del settore attraverso il
completo trasferimento delle quote.
Tale decisione -
condivisa ed approvata da decine e decine di sindaci di giunte di centrosinistra
appoggiate da Rifondazione comunista - sarebbe probabilmente passata sotto
silenzio se non fosse stato per la ferma denuncia da parte del Comitato italiano
per il Contratto mondiale sull’Acqua, che ha inviato una lettera ai segretari
nazionali dei partiti della Gad, sollecitandoli a porre al centro della
discussione programmatica dell’alleanza la questione della privatizzazione dei
servizi, e in particolare dell’acqua.
Ma, mentre Fausto
Bertinotti dichiarava alla stampa che avrebbe posto il problema direttamente a
Romano Prodi, il 13 dicembre scorso il gruppo consiliare del Prc al comune di
Napoli sottoponeva al consiglio un ordine del giorno per riaprire la discussione
sulla scelta operata in sede Ato dal sindaco Rosa Russo Jervolino: la
discussione si è conclusa con il voto contrario da parte di una maggioranza
trasversale del consiglio e l’odg (appoggiato, oltre che da Rifondazione, dai
Verdi, dalla sinistra Ds e da tre diessini dell’area fassiniana) è stato
infine respinto.
Un’acqua
sempre più… salata!
Con questo esito, il
centrosinistra campano - come sempre convergente con la destra quando si tratta
di attuare politiche di favore per il capitale - ha posto la pietra tombale sul
dibattito relativo al futuro della gestione delle acque napoletane e casertane;
come al solito, il Prc misura la propria subalternità alle coalizioni della
borghesia di cui fa parte limitando la propria azione politica al livello
istituzionale, con la rituale discussione di un ordine del giorno e
l’altrettanto rituale raccolta di firme per una legge d’iniziativa popolare,
che - come denunciano gli esponenti del Comitato per l’Acqua - è un non senso
che serve soltanto a dichiarare chiusa la partita.
Di sottoporre a verifica
il percorso degli accordi negoziali con l’Ulivo neanche a parlarne:
intervistato in proposito da Liberazione,
il segretario della federazione di Napoli, De Cristofaro, ha di fatto escluso
ogni ipotesi di rottura con la maggioranza che governa Napoli sostenendo
curiosamente che l’approvazione della delibera di privatizzazione e la
bocciatura dell’ordine del giorno in consiglio comunale costituiscono uno
“strappo rispetto al patto programmatico [che] è stato dato dalla Margherita
e dai Ds, non certo da noi”. Come a dire, sfidando il senso del ridicolo: sono
loro che dovrebbero uscire dalla maggioranza, non il Prc! E, pur di tenere un
profilo basso, evitando così di attribuire al sindaco Rosa Russo Jervolino le
sue effettive responsabilità nella vicenda, ha aggiunto: “la mia sensazione
è che sia stata ingannata dal suo stesso partito e da alcuni settori Ds”.
Come poi vedremo, le cose
non stanno affatto in questi termini. Ma il piccolo problema, che De Cristofaro
omette di sottolineare, è che il centro liberale dell’Ulivo campano ha
tutt’altro che compiuto uno “strappo”: la decisione di privatizzare
l’acqua costituisce parte rilevante e centrale del suo programma materiale,
tant’è che il piano regionale delle acque già varato (il cui tratto
caratteristico - magnificato dal presidente della regione Campania, Sassolino -
è “l’utilizzo di risorse private ed imprenditoriali”) prevede
investimenti per progetti infrastrutturali per 545 milioni di euro, la metà dei
quali di provenienza privata.
Si tratta del noto
sistema del project financing, con cui
privati partecipano, attraverso l’impegno di propri capitali, alla costruzione
di un’opera pubblica, ricevendone però, come contropartita, la gestione in
affidamento per un lungo lasso di tempo. È chiaro, dunque, che il vistoso
coinvolgimento dell’imprenditoria privata nella realizzazione di interventi
sugli acquedotti della Campania - che anche il piano delle grandi opere varato
dal governo nazionale prevede - mira a completare il complessivo disegno della
totale privatizzazione dell’acqua: che si dispiega dapprima - come è stato
fatto con la delibera Ato - creando società miste per la gestione del ciclo;
quindi, coinvolgendo imprenditori nella realizzazione e manutenzione di impianti
e reti, che verranno loro affidati perché ne ritraggano i profitti per
remunerare gli investimenti. Naturalmente, i profitti potranno crescere a
dismisura a scapito delle tariffe per gli utenti del servizio.
Il sangue (dei
capitalisti)… non è acqua!
Non si tratta, pertanto,
di un “incidente di percorso” del centrosinistra campano, come la
maggioranza dirigente del Prc lascia intendere pur di non essere costretta a
mettere in discussione oggi la partecipazione alle giunte locali e domani
l’alleanza con Prodi e l’Ulivo: si tratta, invece, del nucleo centrale del
programma di governo del capitalismo e della borghesia che ne rappresenta gli
interessi; una borghesia che ha scelto come propri referenti partiti
“progressisti” ben lieti di candidarsi a zelanti realizzatori di quel
programma; tanto da indurre il Comitato italiano per l’Acqua a chiedere:
“perché nei territori gestiti dal centrosinistra questi processi si attuano
con maggiore vigore e tempestività?” (Il
Manifesto, 18/12/2004).
Infatti, a dispetto dei
generici proclami ulivisti in tema di “beni comuni” e quasi a voler smentire
le penose giustificazioni di De Cristofaro, nello scorso mese di ottobre (già
prima, quindi, dell’adozione della delibera in sede Ato) Antonio Bassolino e
Rosa Russo Jervolino hanno pubblicamente dichiarato che la regione Campania e la
città di Napoli avrebbero proceduto all’affidamento del servizio idrico ad
una società totalmente privata; e, come se non bastasse, il vicepresidente
dell’Ato, Luca Stamati, esponente Ds dell’area Mussi-Folena, ha strenuamente
difeso la decisione dell’ente territoriale di gestione del servizio idrico.
Insomma, un’ulteriore dimostrazione che del processo di mercificazione
dell’acqua (che costituisce solo un aspetto della più generale tendenza alla
privatizzazione dei beni e servizi pubblici) proprio il centrosinistra si rende
interprete fedele.
Le potenzialità
espansive apertesi nel mercato idrico a seguito dell’adozione di normative che
hanno voltato le spalle alla gestione pubblica di un bene come l’acqua in
favore di una gestione affidata invece ai privati, sono subito state percepite
da multinazionali sempre più affamate di profitti: le pressioni di queste
ultime hanno trovato facile ascolto da parte di governi locali
“progressisti” particolarmente attenti alle logiche del mercato e delle
compatibilità dei bilanci e lontani dai bisogni dei cittadini.
In questo senso,
l’acqua, ma anche il gas, l’energia, i rifiuti, le telecomunicazioni,
rappresentano un grande affare.
Già oggi le giunte
locali - e, in prospettiva, l’eventuale Prodi‑bis - vogliono governare questo enorme business evitando, però, di scontrarsi con le contrapposte esigenze
delle masse: la precondizione per sterilizzare qualsiasi tipo di opposizione,
relegandola semmai nel solo ambito istituzionale, è data dalla
corresponsabilizzazione nelle relative politiche di chi, come i comunisti,
potrebbe interpretare le istanze delle classi subalterne dando loro indicazioni
di lotta per resistere agli interessi padronali. Ciò rende indispensabile la
completa subordinazione del Prc agli interessi della borghesia attraverso il suo
coinvolgimento nei governi, come copertura “da sinistra” del programma delle
imprese, delle classi dominanti e dei loro ceti politici di riferimento.
Una
lezione per il congresso
La vicenda dell’acqua
di Napoli e Caserta rappresenta, perciò, un utile esempio per comprendere le
ragioni della manovra messa in campo dalla borghesia italiana per cooptare
Rifondazione nei suoi governi, locali e nazionali; e, nel contempo, conferma
l’esattezza dell’analisi di Progetto comunista e della sua proposta
congressuale: il programma dei padroni è assolutamente impermeabile alle
ragioni dei lavoratori, che sono con esso incompatibili. Non è possibile
cambiare il sistema capitalistico partecipando al suo governo ed in compagnia
dei rappresentanti del capitale stesso: la salvaguardia dell’indipendenza e
dell’autonomia dei comunisti costituisce un principio politico ineliminabile
per una vera rifondazione rivoluzionaria.
È questo il tema
dominante del VI congresso del Prc: la privatizzazione dell’acqua in Campania
è la cartina di tornasole dell’alternativa fra la collaborazione di classe
teorizzata e praticata da Bertinotti e l’opposizione di classe prospettata da
Progetto comunista: i lavoratori, i disoccupati, le masse disagiate ci chiedono
di opporci a chi vuole cedere l’acqua ai padroni perché la rivendano, non di
governare quelle politiche insieme alla borghesia. Dobbiamo accontentarli!