L’imperialismo francese s’impantana in Costa d’Avorio
di
Antonino Marceca
All'incirca nelle stesse ore, all’inizio di novembre
2004, mentre le forze coloniali guidati dagli Usa entravano a Falluja in Irak,
uccidendo e distruggendo senza limiti, l’armée
francese, in rappresaglia ad un precedente attacco da parte dell’aviazione
ivoriana ad una postazione militare francese a Bouaké in Costa d’Avorio,
distruggeva l’intera flotta aerea del paese africano e le infliggeva una
pesante umiliazione. Ancora più dura è stata la repressione delle prime
manifestazioni antifrancesi nelle strade di Abidjan: la fanteria di marina e i
legionari francesi provocavano oltre sessanta vittime e un migliaio di feriti. I
manifestanti erano stati chiamati dal Fronte popolare della Costa d’Avorio (Fpi),
il partito del presidente Laurent Gbagbo, aderente all’Internazionale
socialista. La Francia dopo i fatti
dei primi di novembre, oltre a rafforzare ulteriormente le proprie forze
militari presenti nel paese, ha chiesto una riunione immediata del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu. Questo ha condannato “l’attacco compiuto contro le
forze francesi a Bouakè ….dalle forze governative della Costa d’Avorio”,
e ha confermato che i Caschi blu e le forze francesi sono autorizzate ad usare
“tutti i mezzi necessari” per portare al termine il loro mandato. La Francia
ha chiesto inoltre una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per
imporre l’embargo delle armi e altre sanzioni al paese africano in nome della
“democrazia”. L’Unione Africana (Ua) ha incaricato il presidente del
Sudafrica Thabo Mbeki quale mediatore nel conflitto. Mbeki nella prima settimana
di dicembre ha incontrato sia il presidente Laurent Gbagbo, che controlla il
meridione del paese con le due città di Abidjan e Yamoussokro, sia Guillaume
Soro, leader della coalizione delle Forze Nuove (Movimento popolare ivoriano per
il grande ovest, Movimento patriottico della Costa d’Avorio, Movimento per la
pace e la giustizia), che controlla il settentrione del paese e la città di
Bouakè. Il presidente del Sudafrica ha dichiarato di lavorare sulla base degli
accordi di Marcoussis firmati nella località parigina nel gennaio 2003. Tali
accordi garantiscono da un lato gli interessi imperialisti della Francia e
dall’altro assicurano il mantenimento di Gbagbo alla presidenza sulla base di
un governo transitorio composto da tutte le parti in conflitto.
La complessa origine
della crisi
La Costa d’Avorio come altri paesi africani si basa su
una costruzione politica fragile. Le frontiere coloniali, tracciate
arbitrariamente nel 1947, racchiudono una popolazione frammentata in diversi
gruppi etnici (Mandino, Kuru, Voltaici, Akan) nessuno dei quali esclusivo della
Costa d’Avorio, che di fatto si espandono senza soluzione di continuità nei
paesi confinanti. La parte settentrionale del paese è di religione
prevalentemente islamica, la parte meridionale è prevalentemente cristiana ed
animista. Questo paese per tutti gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso è
stato descritto come il simbolo dello sviluppo capitalistico. Uno sviluppo
basato prevalentemente sulle esportazioni delle materie prime agricole (primo
esportatore mondiale di cacao e terzo di caffé). Durante questo periodo il
paese ha assorbito circa cinque milioni di immigrati provenienti dai paesi
confinanti, in particolare dal Burkina Faso e dal Mali, lavoratori destinati
alle piantagioni di cacao, caffé, caucciù, palma da olio, ananas, dominati
dalle società concessionarie francesi (Cfao, Scoa, Unilever). La Francia, oltre
a controllare il settore primario dell’economia e la moneta del paese
dipendente, controlla diversi settori economici: la Societé Generale, la Bnp e
il Credit Lyonnais dominano il sistema bancario; la Saur ed Edf (Electricitè de
France) detengono il 51% della compagnia ivoriana di elettricità (Cie); la Saur
detiene il 47% della società di distribuzione delle acque (Sodeci); l’Orange,
Telecel e France Cable controllano la telefonia del paese; la Bonygnes controlla
il terminal per container del porto di Abidjan, la cui importanza strategica è
notevolmente aumentata in relazione agli interessi petroliferi off-shore
nel Golfo di Guinea, di cui il porto ivoriano costituisce l’hub
strategico. Gli interessi imperialisti della Francia sono stati garantiti dal
presidente Felix Houphouet Boigny, che ha governato il paese, una repubblica
presidenziale a partito unico, dall’indipendenza nel 1960 fino alla sua morte
nel 1993. Nel paese africano i primi effetti della crisi capitalistica
internazionale si fanno sentire all’inizio degli anni ’80, ma solo nei primi
anni ’90 gli scioperi degli impiegati pubblici e le manifestazioni
studentesche costringono il governo a concedere il multipartitismo.
L’uscita di scena del presidente coincide con la fase più acuta della
crisi economica, il crollo dei prezzi delle materie prime, cacao e caffé in
primo luogo, la svalutazione del franco Cfa, la crescita esponenziale del debito
estero. Il successore Henri Konan Bèdiè, dello stesso Partito democratico di
Houphouet Boigny, pur sbattendo in galera migliaia di oppositori politici, non
risolve né poteva risolvere la grave crisi economica in cui affonda il paese.
Alla fine del 1999 un gruppo di generali con un colpo di stato destituisce il
presidente. La crisi si fa organica: politica, economica ed istituzionale. La
nuova costituzione, proposta dal nuovo uomo forte generale Robert Guèi ed
adottata per via referendaria nel luglio del 2000, imponeva il principio della ivoranitè[1]
per poter accedere alla presidenza del paese. Tale principio era finalizzato,
tra l’altro, ad eliminare dalla competizione elettorale, per le sue presunte
origini Burkinabè, Alassane Ouattare, leader
della Riunificazione dei repubblicani (Rdr), la cui base elettorale era
prevalentemente nel settentrione del paese. Eliminato Ouattare le elezioni
vedono Laurent Gbagbo e Robert Guèi competere per la presidenza. Il generale
Robert Guèi si autoproclama vincitore. A seguito di violente proteste popolari
contro la truffa elettorale ad Abidjan scendono in piazza circa tre milioni di
persone e la vittoria di Laurent Gbagbo è riconosciuta dalla commissione
elettorale. Quando il 22 ottobre 2000 Gbagbo assume la presidenza del paese non
mette in discussione il nazionalismo xenofobo della ivoranitè.
Il nuovo presidente rappresenta di fatto gli interessi etnonazionalisti delle
popolazioni del sud, mentre i ribelli del Movimento patriottico della Costa
d’Avorio (Mpci) sono espressione degli interessi etnonazionalisti del nord del
paese. Le elezioni legislative del dicembre successivo, vinte dal Fronte
popolare di Gbagbo sono boicottate da Alassane Ouattare. Il paese è spaccato,
le forze ribelli del nord sono sostenute e armate dal Burkina Faso e dal Mali
mentre il presidente Laurent Gbagbo apre agli interessi statunitensi e riceve
sostegno dalla Nigeria. La crisi ivoriana infatti si inserisce sempre più
profondamente in un contesto africano che vede l’accentuazione degli scontri
interimperialistici tra la Francia, che difende il suo storico insediamento, e
gli Usa che attaccano e s’insediano.
La crisi precipita
La teoria della ivoranitè
viene utilizzata per scaricare la crisi economica sui lavoratori immigrati che
parlano le stesse lingue e fanno parte degli stessi popoli che abitano la Costa
d’Avorio. La borghesia nazionale ivoriana, debole e rachitica, vede
precipitare il proprio ruolo di intermediario per l’Eliseo e si divide per
linee etnonazionali. Alcuni settori di essa si pongono alla ricerca di nuovi
interlocutori internazionali. La burocrazia statale e gli ufficiali
dell’esercito cercano nuove
certezze economiche in grado di mantenere il proprio status.
In questo quadro scoppia la crisi del 19 settembre 2002. Il fallito colpo di
stato vede la coalizione degli esclusi impegnata nel tentativo di mettere le
mani su quello che resta dello Stato. Negli scontri muoiono, oltre a vari
ministri, il generale Robert Guèi; le città di Bonakè a nord e di Korhogo nel
centro del paese sono in mano ai ribelli guidati da Guillaume Soro. La Francia
ha interesse a “stabilizzare” il paese per poter continuare a portare avanti
i suoi interessi. Il 22 dello stesso mese invia i primi battaglioni per la
missione denominata Operation Liocorne.
La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao)
invia 1500 uomini. Il presidente francese Chirac convoca, sotto l’egida
dell’Onu, a metà gennaio del 2003 a Marcoussis, in prossimità di Parigi, i
paesi della Cedeao e le parti in conflitto le quali firmano un accodo che, nelle
intenzioni francesi, doveva essere di pacificazione. Il
governo transitorio di unità nazionale ha breve durata, gli scontri tra
esercito francese e forze governative ivoriane dei primi di novembre del 2004
indicano che la situazione è lungi da essere stabilizzata.
Quale prospettiva
In Costa d’Avorio l’imperialismo ha i colori della
bandiera francese, responsabile di un secolare dominio e sfruttamento. La
borghesia nazionale ivoriana, in tutte le sue espressioni etnonazionali, ha
ampiamente dimostrato l’incapacità di sottrarre il paese a questo dominio.
Oggi una parte di questa borghesia, sfruttando l’importanza geostrategica ed
economica assunta dal Golfo di
Guinea e dal porto di Abidjan, tenta di inserirsi in modo subalterno sotto
l’ala protettrice dell’imperialismo statunitense. Il proletariato ivoriano
non ha nessun interesse a seguire questa o quella frazione della borghesia
nazionale mentre ha tutto l’interesse a liberarsi dal controllo neocoloniale
francese. Solo il proletariato ivoriano, dai portuali ai braccianti agricoli, può
contrastare la reazionaria teoria della ivoranitè
ed unire le masse popolari del paese al di sopra delle divisioni etnonazionali,
alimentate dalle diverse frazioni della borghesia nazionale e
dall’imperialismo. I comunisti devono essere in prima fila nella lotta e nella
resistenza contro il dominio neocoloniale sia che si presenti sotto le bandiere
francesi, europee, statunitensi o dell’Onu. Tale resistenza, inserita nel
quadro strategico della rivoluzione permanente, ha come fattibile sbocco il
governo operaio e contadino, ossia la dittatura del proletariato quale unica
reale alternativa alla barbarie capitalista. Un processo rivoluzionario che
conseguentemente si inserisce nel più ampio sviluppo della rivoluzione
socialista africana. La Federazione Socialista dei Popoli dell’Africa unendo
su solide basi democratico proletarie i diversi popoli del continente
rappresenta lo sbocco positivo delle lotte contro le guerre fratricide e
l’aggressione imperialista. Il primo passo di questo percorso è la conquista
dell’indipendenza politica ed organizzativa del proletariato ivoriano. La
costruzione del partito rivoluzionario come sezione della Quarta Internazionale
rifondata.
22 dicembre 2004
[1] Tale principio, nazionalista e xenofobo, stabilisce che per poter accedere alla presidenza del paese è necessario dimostrare che entrambi i genitori sono di origine ivoriana.