UNIRE LA SINISTRA, ROMPERE COL CENTRO
INTERVENTO DI MARCO FERRANDO ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE PROMOSSA DAL MANIFESTO
Potete leggere di seguito l'intervento fatto da Marco Ferrando, portavoce di Progetto Comunista, all'assemblea nazionale promossa dal Manifesto il 15 gennaio scorso.
UNIRE
Intervento di Marco Ferrando
all'Assemblea
nazionale del 15 gennaio promossa dal Manifesto
La grande importanza di questa nostra assemblea sta
nel fatto di unire in un comune confronto la sinistra sociale e politica di
questo paese.
Un insieme di forze diverse, espressioni di diverse
tradizioni, culture, orientamenti, ma accomunate da un fatto prezioso: l'aver
difeso, nonostante tutto, dentro la svolta d’epoca internazionale e
nazionale degli anni ‘90 un'appartenenza di campo; l'aver conservato una
comune radice nelle classi subalterne, nel movimento operaio, nei movimenti di
lotta; e quindi l'esser state insieme in questi anni dalla stessa parte della
barricata, in quella nuova stagione che dopo quasi 30 anni di arretramenti e
sconfitte ha visto riaffacciarsi una giovane generazione in Italia e nel mondo
portatrice di un vento nuovo.
E' stata certo in Italia una stagione di lotta in
primo luogo, contro il governo di Berlusconi, quell’ibrido reazionario di
cesarismo e populismo di cui tutti insieme rivendichiamo la cacciata incondizionatamente
(anche col ricorso, se necessario, a forme di accordo tecnico-elettorale).
Ma è stata anche - ecco il punto - una stagione di
lotta che ha visto le direzioni dominanti del centrosinistra dall'altra parte
della barricata, o estranee o assenti, quasi separate da uno spartiacque, che
ha attraversato, persino simbolicamente, tutti i luoghi e i passaggi dei
movimenti: dalle strade di Genova del luglio 2001 al referendum per
l'estensione dell'articolo 18; dalla domanda del ritiro immediato e
incondizionato delle truppe dall'Iraq al rifiuto di quella Costituzione
europea del libero mercato che ha visto e vede in Romano Prodi il massimo
sacerdote e custode.
E se noi oggi siamo qui, in questa assemblea, con
questa sua composizione, è perché qui ci ha portato non solo la spinta dei
movimenti ma la contraddizione enorme tra le loro domande e il centro liberale
dell'Ulivo.
Ecco allora, a me pare, il primo interrogativo che
ci sta di fronte.
Non tanto come organizzare le relazioni tra noi, al
di là della giusta proposta di una camera permanente di consultazione che è
stata avanzata e che condivido. Ma dove andare.
Chiedo serenamente: può una sinistra che si vuole
alternativa o radicale, perseguire nel nome dei movimenti, una prospettiva di
governo con forze opposte ai movimenti stessi e alle loro ragioni?
Possiamo, in nome della pace e magari della non
violenza, stringere un patto di governo con chi ha rivendicato in questi
giorni le guerre umanitarie degli anni '90 dichiarandosi pronto a
rifarle, o con chi chiede l'aumento delle spese militari, l'esercito
europeo, l'Europa come potenza, tutti punti programmatici presenti non ieri ma
oggi, nero su bianco, nel programma della Margherita e della FED?
Possiamo, in nome dell'antiliberismo, realizzare o
sostenere un governo comune con chi rimprovera a Berlusconi un'eccessiva
timidezza nelle liberalizzazioni?
Si dice che non si debbono avere pregiudiziali al
confronto e che quel che conta sono i programmi. Ma la vera pregiudiziale, a
me pare, sta nell'aver costituito una “Grande alleanza democratica” di
governo senza la parvenza di un programma comune su nessuna - dico nessuna -
delle ragioni poste dai movimenti. La vera pregiudiziale sta nel continuare a
invocare il confronto formale con i liberali dell'Ulivo, ignorando
l'esito del confronto reale che in tutti questi anni vi è stato, nei
movimenti e nelle lotte.
Vorrei chiedere qui a tutti i compagni/e presenti:
se dopo la più grande stagione dei movimenti degli ultimi 30 anni, Romano
Prodi rivendica letteralmente una "ventata di mercato e
concorrenza", D'Alema loda il maggioritario, Rutelli equipara scuola
pubblica e privata, possiamo continuare a parlare di possibile contaminazione
dei liberali da parte dei movimenti, o dobbiamo finalmente elaborare il lutto?
La verità, a me pare, è che tra le ragioni dei
lavoratori e i programmi di Prodi non c'è un’insufficienza di confronto:
c’é una diversa ragione sociale, un'opposta rappresentanza di classe. E ciò
che abbiamo sperimentato nella legislatura precedente, sotto i governi Prodi,
D’Alema, Amato, non è “una politica sbagliata”, ma la politica di
un’altra classe.
Attenzione, il rischio è enorme.
Mentre noi affidiamo a Prodi le chiavi immaginarie
di un altro mondo possibile, nel mondo reale della società e della politica
italiana si sta dispiegando un processo di alternanza guidato dai poteri forti
che mira al cuore dei movimenti di questi anni.
Industriali e banchieri vogliono rimpiazzare
Berlusconi, ma dal versante dei propri interessi, contro i lavoratori, i
movimenti, le loro lotte. E per fare questo hanno bisogno di eliminare in
Italia l'opposizione sociale e politica. Chiediamoci perché tutti i dirigenti
liberali della Gad ignorano ogni ipotesi di patto elettorale contro Berlusconi
e offrono invece ministeri alla sinistra di alternativa; è perché vogliono
dissolvere l'opposizione col metodo antico dell'integrazione; è perché
vogliono privare i movimenti di canali di espressione e di resistenza; è
perché vogliono corresponsabilizzare la sinistra per un'intera legislatura,
mani e piedi legati, a una politica di concertazione contro i movimenti.
A chi pone giustamente, come tutti noi, il primato
della cacciata di Berlusconi, vorrei dire che proprio il perseguimento della
Gad ha indebolito e non rafforzato l'opposizione al Governo.
A giugno-luglio Berlusconi e la sua maggioranza
erano a pezzi. Ma nessuna forza della sinistra ha puntato alla sua caduta.
Nessuno ha promosso iniziativa e mobilitazione. Nel mentre Prodi, incensato a
sinistra, augurava pubblicamente a Berlusconi di durare fino al 2006:
magari per completare il lavoro su pensioni, sanità, enti locali, in modo da
garantire al futuro eventuale governo della Gad, un rapporto di forza più
favorevole a fronte di un movimento operaio piegato e sconfitto.
Il risultato di tutto questo è stato disastroso:
il governo Berlusconi non solo è sopravvissuto ma ora rilancia la propria
offensiva, mentre tutte le preziose dinamiche di movimento della primavera
scorsa segnano il passo.
Vedo allora, e concludo, l'esigenza di un cambio di
rotta.
Il tema centrale che la situazione politica ci
pone, a me pare, non è quale "contributo programmatico" dare a un
governo Prodi-Montezemolo nell’eterna illusione di condizionare il
Centrosinistra, ma come rilanciare, da oggi, un'opposizione di massa che miri
non solo a partecipare ma a vincere; un’opposizione che recuperi e rilanci
le potenzialità di quelle lotte radicali e a oltranza, che tanti – anche
tra noi - ritenevano impossibili, ma che a Scanzano, in Fincantieri, a Melfi,
hanno dimostrato di saper piegare il governo o il padrone; un'opposizione che
finalmente unifichi attorno a una comune vertenza generale la domanda di
salario, di salario sociale, di abolizione di quelle leggi di flessibilità e
precariato, a partire dal Pacchetto Treu, che proprio il centrosinistra
ha introdotto e che Berlusconi ha esteso e aggravato; un'opposizione che non
si limiti a chiedere “pace” in Iraq, ma riconosca il diritto di resistenza
e di autodeterminazione del popolo iracheno, denunci gli interessi italiani in
Iraq a partire da quelli dell'Eni, sollevi lo scandalo dei crimini di
guerra in Iraq, quelli americani e inglesi di Falluja, ma anche quelli che
sono avvenuti all'ombra della bandiera tricolore…
Ecco: solo il rilancio di un’opposizione vera, di
una vera e propria prova di forza, può ambire a cacciare Berlusconi dal
versante dei movimenti e non di Montezemolo. Solo lo sviluppo di questa
opposizione radicale e di massa può rovesciare i rapporti di forza e aprire
la prospettiva di un'alternativa vera, basata sulle ragioni dei lavoratori e
dei movimenti, sulla loro autorganizzazione, sulla loro forza e quindi in
prospettiva sul loro potere.
Ad Asor Rosa che qui ha rivendicato un
“riformismo radicale” di governo, vorrei dire che da trent’anni il
riformismo è una parola vuota; che sotto i cosidetti governi “riformisti”
che tanti a sinistra hanno esaltato, da Jospin a Lula, sono passate
controriforme sociali e politiche, quelle sì radicali, tanto più pesanti
perché prive di opposizione; che le uniche conquiste e riforme parziali
ottenute dalle masse oppresse a qualunque latitudine del mondo sono venute non
dai governi di coalizione con i liberali ma dall’opposizione a quei governi;
che solo le lotte di opposizione radicale che si ponevano di fatto in rottura
con le classi dominanti hanno portato risultati concreti, come nell’autunno
caldo degli anni ’70, nello sciopero ad oltranza dei lavoratori francesi del
gennaio del ’95, nelle sollevazioni popolari di Argentina e Bolivia.
Oggi, più di ieri, le riforme possibili non sono
figlie del riformismo ma di una lotta per un’alternativa di società e di
potere che minacci il potere delle classi dominanti. Perché oggi più di ieri
le classi dominanti sono disposte a concedere qualcosa solo quando hanno paura
di perdere tutto.
Per tutto questo c'è bisogno di una sinistra
alternativa, e della sua unità.
Non di una ennesima sinistra del centrosinistra, ma
di una sinistra alternativa al centro.
Non di una sinistra che si aggrappi al pendolo del
bipolarismo, ma di una sinistra che si assuma la responsabilità di rompere
con Prodi, di unire le proprie forze in un polo autonomo anticapitalistico, di
candidarsi a rappresentanza di un blocco sociale alternativo a partire da
quegli undici milioni di lavoratori, giovani, donne, che un anno e mezzo fa si
schierarono per l'estensione dell'articolo 18 contro tutte le forze dominanti
del paese, di Centrodestra e di Centrosinistra.
Undici milioni di lavoratori, giovani, donne che
non chiedono solamente di essere contati nelle urne, ma chiedono a tutte le
proprie rappresentanze e direzioni, nessuna esclusa, di non essere traditi
nelle proprie speranze come tante volte in passato.
Questa è la domanda semplice e vera a cui tutti
dobbiamo rispondere.