DOSSIER SUL VI CONGRESSO DEL PRC: ANTICIPAZIONI DAL NUOVO NUMERO DI PROGETTO COMUNISTA

 

Il nuovo numero di Progetto Comunista (gennaio-febbraio 2005) sarà in vendita presso i nostri diffusori nei prossimi giorni. Potete intanto leggere di seguito, come anticipazione, una parte del ricco dossier dedicato al VI Congresso del Prc. Si tratta di testi utili, crediamo, come strumenti per i compagni impegnati nella battaglia congressuale.

 
Buona lettura.
 
Francesco Ricci
 

 

ARTICOLI DAL DOSSIER SUL CONGRESSO

PUBBLICATO NEL NUOVO NUMERO DI PROGETTO COMUNISTA

 

 

 

VI congresso Prc, cinque documenti

Solo Progetto Comunista per l'opposizione di classe,

per un governo dei lavoratori

 

 

di Francesco Ricci

 

 

Conciliare l'inconciliabile

L'orizzonte politico della mozione di maggioranza al prossimo congresso è riassunto efficacemente in alcune frasi di un editoriale di Rina Gagliardi su Liberazione ("Prodi è più forte e ha un disegno", 22/12/04) laddove spiega che centrosinistra e Prc nella Gad guidata da Prodi possono costruire un "compromesso sociale e politico" tra gli interessi dei lavoratori e quelli della "borghesia 'perbene' che riesca davvero a conciliare interessi sociali e di classe divergenti."

Alla fin fine, le Quindici tesi di Bertinotti si trovano riassunte in questa (triste) frase. In questo presunto progetto ("presunto" perché non sappiamo se qualcuno vi ripone realmente fiducia) in cui la "alternativa di società" è declassata dall'originario progetto marxiano, rivoluzionario, della "espropriazione degli espropriatori" alla ricerca di una conciliazione tra espropriatori ed espropriati.

Come se non bastasse, questa meta viene ci presentata come una "innovazione" rispetto a chi vorrebbe attardarsi con le novecentesche "prese del Palazzo d'Inverno". Ahinoi, nella ottocentesca Critica al Programma di Gotha Marx scriveva che la posizione da battere era quella di chi sosteneva "invece di opposizione politica decisa, mediazione generale [coi liberali]; invece della lotta contro il governo e la borghesia, il tentativo di conquistarli e di convincerli."

E -spiace insistere su questo punto- la Critica di Marx è stata scritta nel lontano 1875, vale a dire 130 (centotrenta) anni fa! Ovviamente Marx non se la prendeva con Rina Gagliardi e Fausto Bertinotti -non avendo avuto il piacere di poter leggere i loro testi. Attaccava -da par suo- altri che ben prima del gruppo dirigente del Prc nutrivano la nobile aspirazione di una conciliazione tra le due classi fondamentali in cui è divisa irrimediabilmente la società capitalistica.

 

La borghesia non pare spaventata da un Prc al governo

Contro l'utopia (a inizi Ottocento ammirevole e innocente, oggi colpevole e poco ingenua, dopo centinaia di tragici esperimenti simili) di un governo armonico al di sopra delle classi si è costruito il movimento comunista a partire dai primi passi che gli fece compiere Marx.

E' possibile, allora, leggere in queste settimane che il Prc vorrebbe andare al governo "per mettere il bastone tra le ruote delle classi dominanti"? Sì, è possibile: lo ha scritto il compagno Alfonso Gianni. Che poi il governo di cui sta parlando sia quello che avrà in Prodi il proprio presidente; nei testi di Prodi e Amato il proprio programma; che quell'alternanza di governo riceva già oggi l'incoraggiamento di tutta la grande borghesia, Montezemolo in testa; che la stampa padronale si sia attrezzata per sostenere questo progetto di governo, affiancando a tal fine alla Repubblica scalfariana nuove direzioni più vicine all'Ulivo al Corriere (affidato a Mieli), al Sole 24 Ore (De Bortoli), alla Stampa (Sorgi): a tutto questo, evidentemente, si fanno spallucce. Come se i militanti del partito non fossero in grado di cogliere l'enormità di certe affermazioni. Mettere il bastone tra le ruote delle classi dominanti. E, capolavoro di astuzia... farlo con il consenso delle classi dominanti medesime.

Difatti non si legge un solo articolo sulla grande stampa non diciamo di timore ma nemmeno di perplessità rispetto al probabile futuro ingresso dei comunisti del Prc al governo. Anzi: pare che la borghesia attenda impaziente il bastone di Gianni. Le classi dominanti vogliono che il Prc vada al governo. E lo vogliono perché sanno che il "circolo virtuoso" di cui ci parlano i dirigenti bertinottiani, "governo leggero -movimenti forti", esiste solo sulla carta sporca di inchiostro delle tesi del Prc, non nella realtà. Nella realtà è un altro il circolo che si innescherà: rimozione dell'opposizione - ingresso dei comunisti al governo - passivizzazione e riflusso delle lotte. Un circolo per la borghesia ben più virtuoso.

 

L'alternativa di società è un'altra cosa

E non ci vengano a dire (lo ha fatto anche con argomenti presentati come "ortodossi" il compagno Bellotti di Falcemartello: gli riconosciamo l'ortodossia, se conviene con noi che non si sta parlando di marxismo) che l'impossibilità per i comunisti di governare nel capitalismo è una fissazione dogmatica di Progetto Comunista.

E' l'intera esperienza storica -di vittorie e sconfitte- non qualche dogma religioso che ha portato i rivoluzionari (da Marx in poi) a sostenere come fondamenta della loro costruzione che i comunisti non possono mai andare al governo nel capitalismo. E non possono perché il loro scopo non è semplicemente diverso ma è proprio opposto e non conosce come tappa intermedia una sosta in un governo liberale. Lo scopo per cui è nato il movimento comunista è quello di andare al governo, al potere: ma in un governo degli operai per gli operai. E siccome per fare questo non è sufficiente una "presa del palazzo" (che pure rimane un passaggio ineludibile, nel ' 17 in Russia come domani in Italia) ma è necessario guadagnare a questa prospettiva di rovesciamento del sistema sociale milioni di lavoratori, allora il compito principale dei comunisti è liberare i lavoratori da ogni illusione sulla neutralità dello Stato; fare piazza pulita di ogni finzione di collaborazione tra le classi per un inesistente "interesse comune". Insomma, per guadagnare i lavoratori alla necessità dell'alternativa rivoluzionaria di domani, il presupposto indispensabile di oggi è il rifiuto di ogni partecipazione o sostegno esterno o sostegno critico ai governi liberali e anzi la costruzione di una inflessibile opposizione ad essi. Tutto qui.

Non è una astratta teorizzazione di Progetto Comunista: è l'unico senso che ha e può avere (ma restiamo in attesa di smentite) il definirsi rivoluzionari oggi, il parlare di "alternativa di società", di "socialismo o barbarie" -come pure fa, paradossalmente, la mozione di Bertinotti. Essere comunisti, insomma, ma nel senso opposto a quello inteso dalle tesi di Claudio Grassi: essere comunisti non per cercare di introdurre dei "paletti" nel programma dei banchieri. Essere comunisti perché pensiamo che il capitalismo non è riformabile, non può essere governato meglio. Bisogna costruire i rapporti di forza per distruggerlo. Altro che bastoni e paletti!

 

Le mozioni "critiche": stessa minestra con più sale

Tra le mozioni del VI congresso, solo la terza, quella di Progetto Comunista, presenta una prospettiva di alternativa di società che non fa torto né alla storia né al vocabolario.

La mozione dell'Ernesto -che si esibisce in abiti più radicali, più partitisti, più internazionalisti di quella di Bertinotti- in realtà, dopo aver avanzato la assurda ipotesi di intavolare una discussione su "punti programmatici" con Prodi per dettare le condizioni di classe al governo della classe avversaria... finisce col proporre, in ogni caso, un sostegno esterno al Prodi-bis, e quindi alle sue politiche anti-operaie.

La mozione di Erre (ex Bandiera Rossa) dopo aver denunciato l'impossibilità di un "programma comune" col centrosinistra (anche se solo per il momento, in assenza -ci spiega Malabarba- "di un movimento straordinario" in grado di... imporsi ai liberali) propone di tentare "un accordo politico" su singoli punti (sostanzialmente contro le leggi berlusconiane, che la Fed ha già dichiarato di voler tutelare e rilanciare) e, in subordine, di limitarsi a un "accordo tecnico". Ma in tutti i casi (anche nella subordinata) per dare infine il voto di fiducia alla nascita del governo e per sostenerlo di volta in volta, criticamente (come dire: dopo bastoni e paletti, arrivano i puntelli).

Entrambe le mozioni -che giustamente si definiscono "critiche" di quella di maggioranza- non propongono dunque nulla di fondamentalmente diverso da quanto propone Bertinotti, in relazione alla questione del governo. Scodellano la stessa minestra, con solo un po' di sale in più.

Il punto vero, infatti, non è se partecipare al governo dei banchieri con propri ministri, o sostenerlo da fuori, o stare nella maggioranza, o ancora limitarsi a un sostegno "critico". Il punto vero è costruire e rilanciare una opposizione di classe a quel governo delle grandi famiglie del capitalismo italiano che, probabilmente, sostituirà il governo Berlusconi. Questo è il problema che non può essere aggirato con mezze proposte o tre quarti di critica ma a cui bisogna rispondere -come cerca di fare Progetto Comunista- con una proposta realmente alternativa alla mozione bertinottiana.

 

Questo dossier

Nello scorso numero abbiamo analizzato il percorso e le posizioni generali delle due aree critiche fuoriuscite dalla maggioranza nelle ultime settimane (L'Ernesto ed Erre). In queste pagine potete leggere tre brevi note di lettura delle varie mozioni congressuali (con l'eccezione di quella di Falcemartello, a cui abbiamo già dedicato qualche articolo, e che in ogni caso appare irrilevante in termini congressuali e anche politici).

Sul nostro sito (www.progettocomunista.it) sono disponibili altri materiali relativi al congresso.

 

 


 

 

I mozione (Bertinotti)

Al governo nel capitalismo: senza se e senza ma

 

 

di Francesco Ricci

 

 

Proviamo a enucleare le parti salienti della prima mozione.

 

Belle premesse e grandi promesse...

Fin dal titolo ("L'alternativa di società") la prima mozione sembra indicare un orizzonte nobile. Anche nel testo le dichiarazioni roboanti non sono risparmiate: "(...) uscire a sinistra (...) dal fallimento e dall'impotenza strategica del riformismo" (Premessa); "(...) è attuale il tema della trasformazione della società capitalistica", che ripropone "l'alternativa 'socialismo o barbarie'" (tesi 1).

Così pure (in implicita difesa dalla critica "movimentista" di Erre) si ribadisce l'enunciato del V congresso: "(...) situare il baricentro (...) nel conflitto sociale e nei movimenti anziché nelle istituzioni" (tesi 9).

 

... ma poi arriva Prodi

D'altra parte, come insegnava qualcuno, le "frasi scarlatte" non si pagano a peso e non è quindi il caso di fare economia; anche se un briciolo di coerenza non guasterebbe.

E' possibile parlare di "impotenza strategica del riformismo" e poi proporre "una grande riforma" -fatta peraltro con gli artefici delle controriforme degli anni Novanta?

Si può parlare di "baricentro nei movimenti anziché nelle istituzioni" proprio quando ci si prepara a lasciare i movimenti per entrare con qualche ministro e sottosegretario a Palazzo Chigi?

E che senso ha rilanciare lo slogan "socialismo o barbarie" -utilizzato specialmente da Rosa Luxemburg per sostenere l'opposizione inconciliabile dei comunisti a ogni governo nella società borghese (inclusi governi "di sinistra" come quello che la fece assassinare nel 1918)- proprio quando si vuole sostenere la necessità di una partecipazione del Prc al prossimo governo Prodi, cioè a un governo imperialista, cioè a un governo della "barbarie" capitalista?

 

No al potere dei lavoratori... Sì al potere della borghesia

La Premessa e le prime dieci tesi costituiscono comunque solo il preludio al tema centrale che si incontra pazientando fino alla tesi 11.

"(...) il governo non è una scelta di valore ma una variabile dipendente della fase. Il governo, cioè, non è l'obiettivo o lo sbocco della politica di alternativa ma può essere un passaggio necessario."

L'asserzione mira a relativizzare l'ingresso al governo, a rassicurare i militanti sul fatto che alla fin fine si tratta solo di un "passaggio necessario" -che preparerà un giorno l'alternativa vera e propria: uno sciroppo maleodorante che però fa bene ai bronchi.

Alcune frasi nelle tesi precedenti, con pochi sapienti tratti di matita definiscono il paesaggio stilizzato in cui verrà calato all'improvviso il governo. Si tratta una manciata di vocaboli che danno per assodata la revisione del marxismo tracciata superficialmente in alcuni dibattiti estivi e nelle note interviste agostane del Segretario.

Alla tesi 6, con l'aria di prendersela con lo stalinismo, si liquida la prospettiva del potere operaio, ridotta al "nucleo duro che ha determinato quell'esito" [lo stalinismo, n.d.r.]. Il riferimento implicito è alla "conquista del potere" per via rivoluzionaria (cioè alla violenta espropriazione degli espropriatori) che è stato posto alle fondamenta dei partiti comunisti del Novecento da quei dirigenti (Lenin, ecc.) dichiarati morti "e non solo fisicamente" nella nota intervista al Manifesto del Segretario.

La prospettiva del potere operaio è già stata rimpiazzata nella tesi 10 da quella della "democrazia": o senza aggettivi o "partecipata". Così quando si arriva alla tesi 11, avendo già rimosso il senso marxista della "alternativa" (l'unico senso possibile: quello di alternativa al potere e alla società borghese) si può facilmente infilare una "necessità di dare vita a una alternativa programmatica di governo", da concordare nella Gad, con Prodi, Amato e Mastella (se quest'ultimo non sarà passato nel frattempo a Berlusconi).

 

Riformare il capitalismo (irriformabile) insieme ai liberali (controriformatori)

La sedicente "alternativa" di governo con i liberali si baserebbe (tesi 12) su "riforme di rottura col ciclo neoliberista". Cosicché, bastano un paio di giri di frase (potenza della sintassi!) per ritrovarsi insieme a Prodi e alla sua corte di banchieri ad aprire "la strada ad un'innovazione del modello generale di organizzazione della società" (sperando che i banchieri non facciano confusione con... le società per azioni, le uniche di cui tradizionalmente si occupano).

Le coordinate del programma restano -inevitabilmente- abbastanza vaghe: "valorizzazione del lavoro", "redistribuzione del reddito", "diritti individuali e collettivi" e non ci si spinge oltre l'invocazione di "un nuovo intervento pubblico" (che dovrebbe essere operato da Romano Prodi, già artefice delle più grandi privatizzazioni europee degli ultimi vent'anni...).

 

Le parole al potere

Nella tesi 11, a coronamento di tutto il testo, si trova una frase che sembra quasi voler esorcizzare le inevitabili conseguenze di ciò che si vuole fare. Così -con la stessa utilità di chi facesse un gesto scaramantico prima di buttarsi dal ventiduesimo piano- si assicura che il partito non perderà comunque la "autonomia strategica" dal "governo di cui pure sia possibile far parte". In altre parole, il Prc sosterrà il prossimo governo della grande borghesia italiana e le sue politiche anti-operaie, rinuncerà a un proprio ruolo di opposizione autonoma di classe: ma farà tutto ciò senza perdere la "autonomia strategica". Un'assicurazione confortante.

 

Che altro aggiungere a proposito di questa mozione? Si tratta di un buon testo, che ha il pregio di essere sintetico e ben scritto. Se le cose di questo mondo fossero governate dalle parole, agli autori andrebbe riconosciuto di diritto il ruolo di governatori del mondo (non solo qualche spelacchiata poltrona tra D'Alema e Treu).

 

 


 

 

II mozione (Grassi)

Al governo nel capitalismo: ma battendo i pugni sul tavolo

 

 

di Ruggero Mantovani

 

 

Il problema del governo “è obbiettivamente il tema all’ordine del giorno” del VI congresso del Prc.

Un’affermazione assolutamente onesta quella contenuta nella premessa del II documento congressuale, ma che, al contempo, rappresenta una straordinaria chiave interpretativa della reale proposta politica in esso contenuta.

L’apparente critica al documento di Fausto Bertinotti, che è possibile cogliere  nell’articolazione complessiva del documento Essere Comunisti, al di là della recitazione simbolica dell’identità e della memoria del movimento operaio e comunista, sul terreno  politico e programmatico avanza, in definitiva, l’antico compromesso, seppur "progressivo", con la borghesia liberale. 

Certo, per la II mozione l’entrata di Rifondazione in un futuro governo Prodi bis sarebbe  possibile “solo a precise condizioni”, per evitare di “firmare cambiali in bianco” al centrosinistra. 

Ma volendo discernere l’essenziale dall’accidente (suggerirebbe Rosa Luxemburg), è evidente che le decantate virtù dei cosiddetti “paletti programmatici” rappresentano la cornice formale entro cui il nostro partito, a detta della II mozione, potrebbe finalmente svolgere la sua funzione: “fornire un contributo indispensabile a qualificare in senso progressivo la piattaforma programmatica del futuro governo”.

Una proposta non certamente nuova che rende evidente il recupero della "via italiana al socialismo", della via graduale: accettare e promuovere alleanze con la cosiddetta borghesia democratica o progressista è, in definitiva, l’imperativo politico della rifondazione neo togliattiana proposta da Essere Comunisti.

Viene avanzata una concezione idealistica del quadro politico: una sinistra “moderata” (maggioranza Ds), che in questi anni sarebbe stata “influenzata” dall’ideologia neoliberista e una sinistra radicale o di alternativa, basata su tutte quelle forze che si sono mobilitate contro la guerra e il neoliberismo, con cui occorrerebbe, sempre a detta della mozione Essere Comunisti, “l’unità d’azione politica e programmatica”, la cui funzione sarebbe “controbilanciare gli orientamenti moderati della parte maggioritaria  del centrosinistra” (dall’Udeur alla maggioranza Ds).

Ciò che si propone, al fondo, è la costruzione di una sinistra radicale, e in essa di una Rifondazione Comunista, collocata stabilmente quale costola a sinistra delle forze di rappresentanza della borghesia liberale.

Tutta l’argomentazione proposta dalla II mozione congressuale risulta mancante di una base di principio: ignora il carattere di classe del centro liberale come rappresentazione della grande borghesia; dichiara apertamente la compatibilità del Prc con un governo comprensivo degli interessi del capitalismo italiano; non pone la rottura con quel centro liberale come asse centrale di una politica di classe.

Sia detto di passata, le dinamiche emerse dalla crisi capitalistica in particolare in Italia negli anni Novanta, ribaltano tutta l’argomentazione avanzata da Essere Comunisti.

La vicenda italiana è stata segnata proprio dall’incontro tra il centrosinistra e la grande borghesia, che, ricordiamo, solo dopo l’esito del voto alle politiche del 2001 ha scelto di investire  sul centrodestra.

Per i gruppi dominanti, l’aggancio alla socialdemocrazia pidiessina è risultato indispensabile non solo per superare nella contingenza le contestazioni operaie del 1992 contro il governo Amato e stabilizzare il quadro politico dopo la caduta del Governo Berlusconi nel 1994. Ma al contempo per disporre di un personale politico che potesse gestire complessivamente le politiche controriformatrici sul terreno nazionale ed internazionale; capace d’investire i legami di massa del Pds ed organizzare un sistema di consenso e sostegno sociale.

E proprio l’abbraccio negli anni Novanta tra grande capitale e il centrosinistra ha eroso e demotivato la base operaia, passivizzando il conflitto, permettendo al capitalismo italiano un reale processo d’integrazione nel polo imperialistico europeo.

Un fenomeno che nel suo complesso ha inciso profondamente sulla stessa evoluzione liberale dell’apparto Pds-Ds, che lungi da poter essere qualificato come una forza classicamente “moderata”, è divenuto gestore diretto degli interessi dell’imperialismo italiano.

Tutto il contenuto politico-programmatico avanzato dal documento Essere Comunisti, nonostante le denuncie sulla gestione e sul metodo imposto da Bertinotti, fa emergere la subalternità della rifondazione al programma della borghesia liberale.

Si chiede a Prodi, paladino del rigore europeista, “un’Europa democratica e pacifista”: ma nell’attuale quadro capitalistico.

Si chiede a Prodi: l’abolizione della legge 30; della Bossi-Fini; della riforma delle pensioni e della legge Moratti sulla scuola; nella consapevolezza che la borghesia seppur disposta ad elargire qualche correttivo, per incassare la pace sociale, contrasterebbe con tutte le sue forze la rivendicazione di un programma di classe: abolizione del "pacchetto Treu", della legge Dini sulle pensioni, dei campi di detenzione per gli immigrati, attacco alle grandi rendite e ai profitti.

I “paletti” oggi rivendicati dal documento Essere Comunisti non reggono alle contraddizioni di una posizione che non esclude, ma rilancia, un compromesso forte con il centro liberale borghese, testimoniata anche soggettivamente dalle responsabilità assunte in questa direzione da suoi autorevoli esponenti.

Si domanda: come si concilia la richiesta “di introdurre misure efficaci al fine di smantellare la controriforma istituzionale (devolution e presidenzialismo) e per difendere la Costituzione ”, con il voto favorevole della bozza Amato sulle riforme istituzionali, siglata nella commissione paritetica per la costruzione del programma col centrosinistra, primo firmatario Claudio Grassi?.

Un documento di riforma che rivendica esplicitamente di completare e migliorare  la riforma già realizzata del titolo V della Costituzione, il cui contenuto da un lato è un federalismo pro devolution, e dall’altro punta ad adeguare la forma di governo al cosiddetto premierato inglese, strumento ben collaudato per stabilizzare i governi borghesi.

La “prospettiva del superamento del capitalismo”, decantata nel documento Essere Comunisti (sostitutivo dell’abusato “socialismo o barbarie” del V congresso), si scioglie come neve al sole: la prospettiva comunista diviene, più modestamente, “una porta aperta”, in un futuro indefinibile “al sol dell’avvenire”, ma domani nel prossimo governo Prodi bis.

Una prospettiva che spazza via, al di là dei richiami identitari sulla necessità della “battaglia contro il revisionismo”, il programma fondamentale del marxismo rivoluzionario e lo stesso Lenin che, in un epistolario immaginario, risponderebbe al documento Essere Comunisti: “alla coalizione aperta mascherata, tra borghesia e socialdemocrazia i comunisti oppongono il fronte unico di tutti gli operai contro il potere della borghesia. Questi governi sono soltanto un inganno raffinato nei confronti delle masse”.

 

 


 

 

IV mozione (Malabarba)

Al governo nel capitalismo: ma  restando in anticamera

 

 

di Ruggero Mantovani

 

 

Anche per il IV documento congressuale denominato “Un’altra Rifondazione è possibile”, “l’accordo programmatico di governo” rappresenta, indubbiamente, la proposta centrale del nostro VI congresso.

Accomuna i sostenitori del testo, si afferma, “una diversa proposta nel rapporto col centrosinistra”, poiché quest’ultimo, per quanto non può essere accumulato al centrodestra, per diversità di storia, cultura e radicamento sociale “si presenta all’interno dello stesso schieramento capitalistico”.

Si ritiene, in definitiva, che la globalizzazione capitalistica e le sue politiche liberiste, avrebbero “quasi cancellato [ma un residuo di speranza per il IV documento come vedremo rimane, n.d.a.], gli spazi di mediazione e di compromesso”.

Di più, si afferma: ”se Bush propone la guerra preventiva, il centrosinistra ha inaugurato la guerra umanitaria”.

A questo punto il lettore potrebbe obbiettivamente convincersi che il IV documento ponga la rottura con la cosiddetta sinistra liberale (maggioranza Ds) e col centro tradizionale borghese (Margherita, Sdi e Udeur) e nel nome della “resistenza dei movimenti”, di un “altro mondo possibile” e della “sinistra d’alternativa”, avanzi la costruzione di un polo autonomo e di classe alternativo ai poli dell’alternanza borghese.

Nulla di tutto questo!   

La IV mozione dopo aver denunciato che le proposte di Fausto Bertinotti avrebbero prodotto “una regressione” rispetto al V congresso, che si sarebbe definitivamente misurato con la necessità di “mantenere la barra su un progetto anticapitalistico”; afferma, malgrado le critiche, “che sarà necessario trovare qualche forma  di accordo col centrosinistra a cui l’attuale sistema elettorale ci obbliga”.

L’unità col centrosinistra, si obietta in particolare a Bertinotti, che sarebbe richiesta “dai lavoratori”, sempre a detta del IV documento, si consoliderebbe “dalle istanze del movimento".

Ed essendo “la questione del governo un passaggio da valutare di volta in volta in funzione dell’analisi della fase”, il IV documento ammonisce: prima i programmi e poi l’entrata nella Gad e nell’eventuale governo Prodi bis.

E’ forte di chissà quale grande novità per la storia del nostro partito, per istaurare un rapporto ottimale col centrosinistra, il IV documento avanza di “verificare e promuovere differenti gradazioni capaci di rimuovere il quadro politico insieme alle forze di movimento e della sinistra alternativa”.

E se almeno per adesso “un altro Prodi non è possibile”, è viceversa “possibile” un accordo “politico-elettorale”, condizionato più o meno ai taumaturgici paletti programmatici avanzati anche dal documento Essere Comunisti.

Questo pamphlet del tatticismo politico (alla faccia dell’autonomia dei movimenti!), per il IV documento permetterebbe di non essere coinvolti in responsabilità di governo, mantenere intatta la “nostra autonomia” e al contempo renderebbe “immediatamente comprensibile l’eventuale necessità di far nascere il governo”, giudicando per il futuro "di volta in volta" i provvedimenti presi. E se neppure “questi impegni irrinunciabili trovassero il consenso del centrosinistra”, il lettore a questo punto, smarrito, non si deve perdere d’animo, poiché si propone comunque un accordo-tecnico, nelle forme rese “possibili dalla legge attuale” -e non dalla nostra autonomia di classe.   

L’impostazione “critica” del IV documento congressuale nei confronti della linea del segretario del Prc, in definitiva, riflette tutte le contraddizioni e le ambiguità, di metodo e di merito, maturate in questi anni da Erre nei rapporti con il bertinottismo.

Bertinotti è stato presentato da questa tendenza come il veicolo, sia pure empirico, di un processo di radicalizzazione progressiva a sinistra di Rifondazione.

Qui sta tutto il concentrato della subordinazione politica del IV documento al bertinottismo, che emerge platealmente persino nelle pieghe di un’apparente criticità alla prospettiva avanzata dal segretario.

Tutta l’argomentazione proposta   mancante di una base di principio di classe: ignora che il centrosinistra è il braccio politico degli interessi borghesi; dichiara di non avere “pregiudiziali” verso un governo comprensivo degli interessi del capitalismo italiano; non pone la rottura, come unica alternativa di una politica di classe con il centro liberale.

Insomma, si avanza oggi un rafforzamento del movimento, speculare, domani, al “confronto con il centrosinistra”, proponendo, in definitiva, un movimentismo incapace di prospettare un’alternativa di classe al compromesso riformista avanzato con le 15 tesi di Bertinotti.

Al contrario, tutte le istanze che sono emerse con la nascita dei  movimenti nel periodo 2001-2004, dimostrano la loro inconciliabilità con gli interessi delle forze del capitalismo italiano e con la sua rappresentanza politica.

Una verità elementare che pone sia la necessità della rottura con il centro liberale e sia  un’alternativa di classe e anticapitalista.

Non si tratta di avanzare come fa il documento di Erre - Sinistra Critica un programma più radicale o più antiliberista, che richieda alla borghesia liberale “i rinnovi contrattuali, la lotta contro la legge 30, un dibattito corretto sul salario” o la “realizzazione transitoria di nazionalizzazioni di alcuni gangli produttivi”, o forme “innovate di scala mobile” per il recupero di potere di acquisto di salari e pensioni.

Si tratta di proporre un programma di rottura con il centro liberale borghese, capace di cancellare le controriforme imposte dal padronato.

Si tratta in definitiva di combinare la cancellazione della controriforma sulle pensioni di Berlusconi con la cancellazione della controriforma Dini voluta dall’Ulivo. Di combinare la cancellazione della legge 30 con l’abolizione del "pacchetto Treu" imposto dal Governo Prodi. Di cancellare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, includendo l’eliminazione dei campi di detenzione voluti dal centrosinistra. Di produrre aumenti salariali, delle pensioni e un vero salario garantito ai disoccupati, senza contropartita in flessibilità. Di avanzare una forte espansione della spesa sociale, sanitaria e dell’istruzione pubblica, finanziata con misure di tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite e profitti. Di nazionalizzare le imprese in crisi, senza indennizzo ai padroni e sotto il controllo dei lavoratori.

Un programma di alternativa che dimostra, ancora una volta, che l’antiliberismo avanzato dal IV documento -in assenza dell’anticapitalismo- finisce per riproporre con l’antica illusione riformista nuovi ambiti di compromesso di classe con la borghesia liberale. 

Un nuovo compromesso che cancellerebbe il Prc quale rappresentanza sociale e politica delle istanze popolari e dei movimenti sociali, che in questi anni hanno rialzato testa.

 

 


 

 

Tesi di maggioranza

Un documento senza argomenti

 

 

di Francesco Ricci

 

 

Già nell'avvio del dibattito congressuale abbiamo notato che alla fin fine gli argomenti con cui vengono sostenute le tesi di maggioranza sono pochi e ricorrenti. Ci pare utile provare a riassumerli qui schematicamente, per fornire alcune brevissime risposte.

 

I dirigenti di maggioranza dicono: Il centrosinistra è cambiato, sotto la spinta dei movimenti. Grazie a questo nuovo quadro, Prodi ci propone una "nuova frontiera" [così si è espresso un Bertinotti entusiasta dopo il discorso di Prodi all'Assemblea della Gad a Milano, poche settimane fa].

Noi rispondiamo: non c'è nessuna modifica reale del centrosinistra -se non in peggio e fatta eccezione per il nome (ora si alterna al vecchio Ulivo l'infelice acronimo Gad). Basta leggere le dichiarazioni quotidiane che tutti i dirigenti del centrosinistra -senza eccezioni- rilasciano quotidianamente sulle loro intenzioni rispetto al futuro governo. Nessun tema è lasciato inevaso: dallo Stato sociale (da "riformare", ovviamente secondo i parametri di Maastricht), alla flessibilità (da "regolamentare"), alle pensioni (da "riformare con gradualità"), alla Scuola e al Lavoro (si preannuncia l'intenzione di ripartire col lavoro dove lo ha lasciato in sospeso Berlusconi), fino ad arrivare alla politica estera (rilancio dell'armamento dell'Europa, piena disponibilità a "sostenere la pace in armi" negli altri Paesi, come rivendica testualmente Romano Prodi). Per tacere del terreno istituzionale, con D'Alema che propone una riforma elettorale che sostanzialmente "abolisca la democrazia rappresentativa", secondo il riassunto efficace datone da Piero Sansonetti, direttore di Libeazione.

Ciò è peraltro in continuità non solo con le precedenti esperienze di governo che già hanno messo alla prova le medesime forze politiche (e persino gli stessi personaggi) ma è fin da ora testimoniato dalle politiche che il centrosinistra rinominato pratica nelle giunte locali, quasi sempre con il sostegno -più o meno critico- del nostro partito.

Nelle giunte dove governa la Gad si arriva persino a... privatizzare l'acqua!

 

I dirigenti di maggioranza dicono: un conto sono le dichiarazioni giornalistiche un altro conto sarà il programma di governo.

Noi rispondiamo: il  programma non è semplicemente un testo che può essere "sistemato", aggiungendo qualche aggettivo o spostando due avverbi. Un programma di governo è dettato -nella triste realtà- dalle forze sociali, di classe, che sostengono il governo. Il blocco che si propone un ricambio di alternanza per il post-Berlusconi è composto dalle principali famiglie del grande capitale italiano, dalle grandi banche, dalle concentrazioni finanziarie. Saranno loro a dettare il programma reale, al di là dei testi. I testi, peraltro, esistono già da tempo e sono le piattaforme programmatiche presentate da più di un anno da Prodi e da Giuliano Amato.

 

I dirigenti di maggioranza dicono: Progetto Comunista ha una visione statica della realtà, che invece va vista non come una fotografia ma come un film. Il prossimo governo non sarà solo la sommatoria delle forze politiche della Gad, esso sarà influenzato dalla società, dai movimenti. Si innescherà -grazie al lavoro del Prc- un circolo virtuoso: i movimenti influenzeranno il governo e la capacità di incidenza nelle politiche darà nuova linfa alla crescita dei movimenti.

Noi rispondiamo: è una teoria già proposta anche ai tempi del primo governo Prodi. La realtà ha dimostrato, viceversa, che l'assenza di una forza politica di opposizione di classe alle politiche borghesi ha portato alla passivizzazione, alla demoralizzazione, al riflusso dei movimenti (che esistevano anche in quella fase).

Prodi può vantare ancora oggi -come principale biglietto da visita esibito alla borghesia- la capacità che ebbe di imporre politiche anti-popolari in un quadro di "pace sociale", con un record negativo delle ore di sciopero.

Il motivo vero per cui la borghesia preferisce un governo di centrosinistra (ed ha accettato di malagrazia il governo Berlusconi, di cui ora vuole liberarsi) è appunto perché -come spiegò bene Gianni Agnelli- può fare le stesse politiche borghesi avvalendosi della collaborazione concertativa dei sindacati e delle organizzazioni di massa, soffocando il conflitto sul nascere. La grande borghesia vuole che anche il Prc sia partecipe pienamente del prossimo governo appunto perché spera così di privare i movimenti di massa -che tanto l'hanno spaventata in questi ultimi anni- di una potenziale direzione.

 

I dirigenti di maggioranza dicono: Bisogna pur fermare Berlusconi, sconfiggere le destre.

Noi rispondiamo: anche questo argomento non è nuovo: fu utilizzato per sostenere la necessità di un ingresso del Prc nella maggioranza del primo governo Prodi; e lo impiegò anche Cossutta -contro il Prc- per dimostrare che bisognava mantenere quel sostegno.

Berlusconi può anche essere battuto elettoralmente nel 2006 dalla convergenza tra Prc e Ulivo ( la Gad ). Ma il problema è battere le destre sul solo terreno elettorale o anche nei rapporti di forza tra le classi? fosse una questione meramente elettorale, vi sarebbe la possibilità di realizzare un accordo tecnico nei soli collegi a rischio in cui il Prc potrebbe non presentare propri candidati a favore di candidati socialdemocratici (sinistra Ds, Pdci, Verdi) per bloccare i candidati berlusconiani. L'accordo di governo dunque non c'entra con la necessità di battere Berlusconi, anche elettoralmente. In realtà tutti vogliamo cacciare Berlusconi e -per essere precisi- Progetto Comunista ha per primo nel Prc sostenuto la centralità di questa battaglia. Ma cacciare Berlusconi per cosa? Per un governo dei banchieri che continui sulla stessa strada? Cacciare Berlusconi dal versante dei padroni o da quello degli operai?

Sostituire un governo Berlusconi con un nuovo governo Prodi significa soltanto sconfiggere momentaneamente la destra (e non le politiche borghesi), dandole modo di vincere di nuovo in seguito anche elettoralmente e con gli interessi (come è già successo con la prima alternanza tra il Berlusconi I e il Prodi I, a cui è succeduto un Berlusconi II).

 

I dirigenti di maggioranza dicono: Progetto Comunista propone una chiusura settaria, non si pone il problema di dialogare con la "domanda di unità" che viene dai movimenti, dai lavoratori.

Noi rispondiamo: in realtà solo la proposta avanzata da Progetto Comunista consente al Prc di mantenere un rapporto con i movimenti (rapporto già oggi incrinato proprio per la marcia forzata verso il governo) e di svilupparlo. Progetto Comunista non propone una chiusura settaria, ma viceversa la costruzione -nel vivo delle lotte di opposizione a tutte le politiche della borghesia e a tutti i suoi governi- di un polo autonomo di classe, alternativo ai due poli dell'alternanza borghese, fondato sull'indipendenza di classe del movimento operaio e sulle ragioni sociali dei movimenti di questi anni: inconciliabili con le politiche di Prodi e D'Alema. Propone cioè di entrare da un versante di classe nelle contraddizioni tra larghe masse popolari e le direzioni attuali: avanzando la richiesta della "rottura col centro liberale" (maggioranza Ds, Margherita) a tutte le forze socialdemocratiche che si richiamano alla stagione dei movimenti. Si tratta della proposta di unificare le vertenze, le lotte di lavoratori e precari e disoccupati attorno a una piattaforma di classe che -fin dalle sue indicazioni minimali- necessariamente è incompatibile con la piattaforma di classe dei liberali. E' una proposta che può essere rivolta da subito ad un'area potenziale di 11 milioni -quegli 11 milioni che hanno sostenuto l'estensione dell'art. 18 (mentre i liberali con cui dovremmo ora andare al governo stavano tutti -non casualmente- dall'altra parte della barricata di classe). E allora cosa ci separa dai lavoratori: la partecipazione alle lotte o l'ingresso in un governo nemico di quelle lotte?