DOSSIER SUL VI CONGRESSO DEL PRC: ANTICIPAZIONI DAL NUOVO NUMERO DI PROGETTO COMUNISTA
Il nuovo numero di Progetto Comunista (gennaio-febbraio 2005) sarà in vendita presso i nostri diffusori nei prossimi giorni. Potete intanto leggere di seguito, come anticipazione, una parte del ricco dossier dedicato al VI Congresso del Prc. Si tratta di testi utili, crediamo, come strumenti per i compagni impegnati nella battaglia congressuale.
ARTICOLI
DAL DOSSIER SUL CONGRESSO
PUBBLICATO
NEL NUOVO NUMERO DI PROGETTO COMUNISTA
VI
congresso Prc, cinque documenti
Solo
Progetto Comunista per l'opposizione di classe,
per
un governo dei lavoratori
di
Francesco Ricci
Conciliare
l'inconciliabile
L'orizzonte
politico della mozione di maggioranza al prossimo congresso è riassunto
efficacemente in alcune frasi di un editoriale di Rina Gagliardi su Liberazione
("Prodi è più forte e ha un disegno", 22/12/04) laddove spiega che
centrosinistra e Prc nella Gad guidata da Prodi possono costruire un
"compromesso sociale e politico" tra gli interessi dei lavoratori e
quelli della "borghesia 'perbene' che riesca davvero a conciliare
interessi sociali e di classe divergenti."
Alla
fin fine, le Quindici tesi di Bertinotti si trovano riassunte in questa
(triste) frase. In questo presunto progetto ("presunto" perché non
sappiamo se qualcuno vi ripone realmente fiducia) in cui la "alternativa
di società" è declassata dall'originario progetto marxiano,
rivoluzionario, della "espropriazione degli espropriatori" alla
ricerca di una conciliazione tra espropriatori ed espropriati.
Come
se non bastasse, questa meta viene ci presentata come una
"innovazione" rispetto a chi vorrebbe attardarsi con le
novecentesche "prese del Palazzo d'Inverno". Ahinoi, nella
ottocentesca Critica al Programma di Gotha Marx scriveva che la posizione da
battere era quella di chi sosteneva "invece di opposizione politica
decisa, mediazione generale [coi liberali]; invece della lotta contro il
governo e la borghesia, il tentativo di conquistarli e di convincerli."
E
-spiace insistere su questo punto-
La
borghesia non pare spaventata da un Prc al governo
Contro
l'utopia (a inizi Ottocento ammirevole e innocente, oggi colpevole e poco
ingenua, dopo centinaia di tragici esperimenti simili) di un governo armonico
al di sopra delle classi si è costruito il movimento comunista a partire dai
primi passi che gli fece compiere Marx.
E'
possibile, allora, leggere in queste settimane che il Prc vorrebbe andare al
governo "per mettere il bastone tra le ruote delle classi
dominanti"? Sì, è possibile: lo ha scritto il compagno Alfonso Gianni.
Che poi il governo di cui sta parlando sia quello che avrà in Prodi il
proprio presidente; nei testi di Prodi e Amato il proprio programma; che
quell'alternanza di governo riceva già oggi l'incoraggiamento di tutta la
grande borghesia, Montezemolo in testa; che la stampa padronale si sia
attrezzata per sostenere questo progetto di governo, affiancando a tal fine
alla Repubblica scalfariana nuove direzioni più vicine all'Ulivo al Corriere
(affidato a Mieli), al Sole 24 Ore (De Bortoli), alla Stampa
(Sorgi): a tutto questo, evidentemente, si fanno spallucce. Come se i
militanti del partito non fossero in grado di cogliere l'enormità di certe
affermazioni. Mettere il bastone tra le ruote delle classi dominanti.
E, capolavoro di astuzia... farlo con il consenso delle classi dominanti
medesime.
Difatti
non si legge un solo articolo sulla grande stampa non diciamo di timore ma
nemmeno di perplessità rispetto al probabile futuro ingresso dei comunisti
del Prc al governo. Anzi: pare che la borghesia attenda impaziente il bastone
di Gianni. Le classi dominanti vogliono che il Prc vada al governo. E lo
vogliono perché sanno che il "circolo virtuoso" di cui ci parlano i
dirigenti bertinottiani, "governo leggero -movimenti forti", esiste
solo sulla carta sporca di inchiostro delle tesi del Prc, non nella realtà.
Nella realtà è un altro il circolo che si innescherà: rimozione
dell'opposizione - ingresso dei comunisti al governo - passivizzazione e
riflusso delle lotte. Un circolo per la borghesia ben più virtuoso.
L'alternativa
di società è un'altra cosa
E
non ci vengano a dire (lo ha fatto anche con argomenti presentati come
"ortodossi" il compagno Bellotti di Falcemartello: gli riconosciamo
l'ortodossia, se conviene con noi che non si sta parlando di marxismo) che
l'impossibilità per i comunisti di governare nel capitalismo è una
fissazione dogmatica di Progetto Comunista.
E'
l'intera esperienza storica -di vittorie e sconfitte- non qualche dogma
religioso che ha portato i rivoluzionari (da Marx in poi) a sostenere come
fondamenta della loro costruzione che i comunisti non possono mai andare al
governo nel capitalismo. E non possono perché il loro scopo non è
semplicemente diverso ma è proprio opposto e non conosce come
tappa intermedia una sosta in un governo liberale. Lo scopo per cui è nato il
movimento comunista è quello di andare al governo, al potere: ma in un
governo degli operai per gli operai. E siccome per fare questo non è
sufficiente una "presa del palazzo" (che pure rimane un passaggio
ineludibile, nel '
Non
è una astratta teorizzazione di Progetto Comunista: è l'unico senso che ha e
può avere (ma restiamo in attesa di smentite) il definirsi rivoluzionari
oggi, il parlare di "alternativa di società", di "socialismo o
barbarie" -come pure fa, paradossalmente, la mozione di Bertinotti.
Essere comunisti, insomma, ma nel senso opposto a quello inteso dalle tesi di
Claudio Grassi: essere comunisti non per cercare di introdurre dei
"paletti" nel programma dei banchieri. Essere comunisti perché
pensiamo che il capitalismo non è riformabile, non può essere governato meglio.
Bisogna costruire i rapporti di forza per distruggerlo. Altro che bastoni e
paletti!
Le
mozioni "critiche": stessa minestra con più sale
Tra
le mozioni del VI congresso, solo la terza, quella di Progetto Comunista,
presenta una prospettiva di alternativa di società che non fa torto né alla
storia né al vocabolario.
La
mozione dell'Ernesto -che si esibisce in abiti più radicali, più partitisti,
più internazionalisti di quella di Bertinotti- in realtà, dopo aver avanzato
la assurda ipotesi di intavolare una discussione su "punti
programmatici" con Prodi per dettare le condizioni di classe al governo
della classe avversaria... finisce col proporre, in ogni caso, un sostegno
esterno al Prodi-bis, e quindi alle sue politiche anti-operaie.
La
mozione di Erre (ex Bandiera Rossa) dopo aver denunciato l'impossibilità di
un "programma comune" col centrosinistra (anche se solo per il
momento, in assenza -ci spiega Malabarba- "di un movimento
straordinario" in grado di... imporsi ai liberali) propone di tentare
"un accordo politico" su singoli punti (sostanzialmente contro le
leggi berlusconiane, che
Entrambe
le mozioni -che giustamente si definiscono "critiche" di quella di
maggioranza- non propongono dunque nulla di fondamentalmente diverso da quanto
propone Bertinotti, in relazione alla questione del governo. Scodellano la
stessa minestra, con solo un po' di sale in più.
Il
punto vero, infatti, non è se partecipare al governo dei banchieri con propri
ministri, o sostenerlo da fuori, o stare nella maggioranza, o ancora limitarsi
a un sostegno "critico". Il punto vero è costruire e rilanciare
una opposizione di classe a quel governo delle grandi famiglie del capitalismo
italiano che, probabilmente, sostituirà il governo Berlusconi. Questo è
il problema che non può essere aggirato con mezze proposte o tre quarti di
critica ma a cui bisogna rispondere -come cerca di fare Progetto Comunista-
con una proposta realmente alternativa alla mozione bertinottiana.
Questo
dossier
Nello
scorso numero abbiamo analizzato il percorso e le posizioni generali delle due
aree critiche fuoriuscite dalla maggioranza nelle ultime settimane (L'Ernesto
ed Erre). In queste pagine potete leggere tre brevi note di lettura delle
varie mozioni congressuali (con l'eccezione di quella di Falcemartello, a cui
abbiamo già dedicato qualche articolo, e che in ogni caso appare irrilevante
in termini congressuali e anche politici).
Sul
nostro sito (www.progettocomunista.it)
sono disponibili altri materiali relativi al congresso.
I
mozione (Bertinotti)
Al
governo nel capitalismo: senza se e senza ma
di
Francesco Ricci
Proviamo
a enucleare le parti salienti della prima mozione.
Belle
premesse e grandi promesse...
Fin
dal titolo ("L'alternativa di società") la prima mozione sembra
indicare un orizzonte nobile. Anche nel testo le dichiarazioni roboanti non
sono risparmiate: "(...) uscire a sinistra (...) dal fallimento e
dall'impotenza strategica del riformismo" (Premessa); "(...) è
attuale il tema della trasformazione della società capitalistica", che
ripropone "l'alternativa 'socialismo o barbarie'" (tesi 1).
Così
pure (in implicita difesa dalla critica "movimentista" di Erre) si
ribadisce l'enunciato del V congresso: "(...) situare il baricentro (...)
nel conflitto sociale e nei movimenti anziché nelle istituzioni" (tesi
9).
...
ma poi arriva Prodi
D'altra
parte, come insegnava qualcuno, le "frasi scarlatte" non si pagano a
peso e non è quindi il caso di fare economia; anche se un briciolo di
coerenza non guasterebbe.
E'
possibile parlare di "impotenza strategica del riformismo" e poi
proporre "una grande riforma" -fatta peraltro con gli artefici delle
controriforme degli anni Novanta?
Si
può parlare di "baricentro nei movimenti anziché nelle
istituzioni" proprio quando ci si prepara a lasciare i movimenti
per entrare con qualche ministro e sottosegretario a Palazzo Chigi?
E
che senso ha rilanciare lo slogan "socialismo o barbarie"
-utilizzato specialmente da Rosa Luxemburg per sostenere l'opposizione
inconciliabile dei comunisti a ogni governo nella società borghese (inclusi
governi "di sinistra" come quello che la fece assassinare nel 1918)-
proprio quando si vuole sostenere la necessità di una partecipazione
del Prc al prossimo governo Prodi, cioè a un governo imperialista, cioè a un
governo della "barbarie" capitalista?
No
al potere dei lavoratori... Sì al potere della borghesia
"(...)
il governo non è una scelta di valore ma una variabile dipendente della fase.
Il governo, cioè, non è l'obiettivo o lo sbocco della politica di
alternativa ma può essere un passaggio necessario."
L'asserzione
mira a relativizzare l'ingresso al governo, a rassicurare i militanti sul
fatto che alla fin fine si tratta solo di un "passaggio necessario"
-che preparerà un giorno l'alternativa vera e propria: uno sciroppo
maleodorante che però fa bene ai bronchi.
Alcune
frasi nelle tesi precedenti, con pochi sapienti tratti di matita definiscono
il paesaggio stilizzato in cui verrà calato all'improvviso il governo. Si
tratta una manciata di vocaboli che danno per assodata la revisione del
marxismo tracciata superficialmente in alcuni dibattiti estivi e nelle note
interviste agostane del Segretario.
Alla
tesi 6, con l'aria di prendersela con lo stalinismo, si liquida la prospettiva
del potere operaio, ridotta al "nucleo duro che ha determinato
quell'esito" [lo stalinismo, n.d.r.]. Il riferimento implicito è alla
"conquista del potere" per via rivoluzionaria (cioè alla violenta
espropriazione degli espropriatori) che è stato posto alle fondamenta dei
partiti comunisti del Novecento da quei dirigenti (Lenin, ecc.) dichiarati
morti "e non solo fisicamente" nella nota intervista al Manifesto
del Segretario.
La
prospettiva del potere operaio è già stata rimpiazzata nella tesi 10 da
quella della "democrazia": o senza aggettivi o
"partecipata". Così quando si arriva alla tesi 11, avendo già
rimosso il senso marxista della "alternativa" (l'unico senso
possibile: quello di alternativa al potere e alla società borghese) si può
facilmente infilare una "necessità di dare vita a una alternativa
programmatica di governo", da concordare nella Gad, con Prodi, Amato e
Mastella (se quest'ultimo non sarà passato nel frattempo a Berlusconi).
Riformare
il capitalismo (irriformabile) insieme ai liberali (controriformatori)
La
sedicente "alternativa" di governo con i liberali si baserebbe (tesi
12) su "riforme di rottura col ciclo neoliberista". Cosicché,
bastano un paio di giri di frase (potenza della sintassi!) per ritrovarsi
insieme a Prodi e alla sua corte di banchieri ad aprire "la strada ad
un'innovazione del modello generale di organizzazione della società"
(sperando che i banchieri non facciano confusione con... le società per
azioni, le uniche di cui tradizionalmente si occupano).
Le
coordinate del programma restano -inevitabilmente- abbastanza vaghe:
"valorizzazione del lavoro", "redistribuzione del
reddito", "diritti individuali e collettivi" e non ci si spinge
oltre l'invocazione di "un nuovo intervento pubblico" (che dovrebbe
essere operato da Romano Prodi, già artefice delle più grandi
privatizzazioni europee degli ultimi vent'anni...).
Le
parole al potere
Nella
tesi
Che
altro aggiungere a proposito di questa mozione? Si tratta di un buon testo,
che ha il pregio di essere sintetico e ben scritto. Se le cose di questo mondo
fossero governate dalle parole, agli autori andrebbe riconosciuto di diritto
il ruolo di governatori del mondo (non solo qualche spelacchiata poltrona tra
D'Alema e Treu).
II
mozione (Grassi)
Al
governo nel capitalismo: ma battendo i pugni sul tavolo
di
Ruggero Mantovani
Il
problema del governo “è obbiettivamente il tema all’ordine del giorno”
del VI congresso del Prc.
Un’affermazione
assolutamente onesta quella contenuta nella premessa del II documento
congressuale, ma che, al contempo, rappresenta una straordinaria chiave
interpretativa della reale proposta politica in esso contenuta.
L’apparente
critica al documento di Fausto Bertinotti, che è possibile cogliere
nell’articolazione complessiva del documento Essere Comunisti, al di
là della recitazione simbolica dell’identità e della memoria del movimento
operaio e comunista, sul terreno politico
e programmatico avanza, in definitiva, l’antico compromesso, seppur
"progressivo", con la borghesia liberale.
Certo,
per
Ma
volendo discernere l’essenziale dall’accidente (suggerirebbe Rosa
Luxemburg), è evidente che le decantate virtù dei cosiddetti “paletti
programmatici” rappresentano la cornice formale entro cui il nostro partito,
a detta della II mozione, potrebbe finalmente svolgere la sua funzione:
“fornire un contributo indispensabile a qualificare in senso progressivo la
piattaforma programmatica del futuro governo”.
Una
proposta non certamente nuova che rende evidente il recupero della "via
italiana al socialismo", della via graduale: accettare e promuovere
alleanze con la cosiddetta borghesia democratica o progressista è, in
definitiva, l’imperativo politico della rifondazione neo togliattiana
proposta da Essere Comunisti.
Viene
avanzata una concezione idealistica del quadro politico: una sinistra
“moderata” (maggioranza Ds), che in questi anni sarebbe stata
“influenzata” dall’ideologia neoliberista e una sinistra radicale o di
alternativa, basata su tutte quelle forze che si sono mobilitate contro la
guerra e il neoliberismo, con cui occorrerebbe, sempre a detta della mozione
Essere Comunisti, “l’unità d’azione politica e programmatica”, la cui
funzione sarebbe “controbilanciare gli orientamenti moderati della parte
maggioritaria del
centrosinistra” (dall’Udeur alla maggioranza Ds).
Ciò
che si propone, al fondo, è la costruzione di una sinistra radicale, e in
essa di una Rifondazione Comunista, collocata stabilmente quale costola a
sinistra delle forze di rappresentanza della borghesia liberale.
Tutta
l’argomentazione proposta dalla II mozione congressuale risulta mancante di
una base di principio: ignora il carattere di classe del centro liberale come
rappresentazione della grande borghesia; dichiara apertamente la compatibilità
del Prc con un governo comprensivo degli interessi del capitalismo italiano;
non pone la rottura con quel centro liberale come asse centrale di una
politica di classe.
Sia
detto di passata, le dinamiche emerse dalla crisi capitalistica in particolare
in Italia negli anni Novanta, ribaltano tutta l’argomentazione avanzata da
Essere Comunisti.
La
vicenda italiana è stata segnata proprio dall’incontro tra il
centrosinistra e la grande borghesia, che, ricordiamo, solo dopo l’esito del
voto alle politiche del
Per
i gruppi dominanti, l’aggancio alla socialdemocrazia pidiessina è risultato
indispensabile non solo per superare nella contingenza le contestazioni
operaie del 1992 contro il governo Amato e stabilizzare il quadro politico
dopo la caduta del Governo Berlusconi nel 1994. Ma al contempo per disporre di
un personale politico che potesse gestire complessivamente le politiche
controriformatrici sul terreno nazionale ed internazionale; capace
d’investire i legami di massa del Pds ed organizzare un sistema di consenso
e sostegno sociale.
E
proprio l’abbraccio negli anni Novanta tra grande capitale e il
centrosinistra ha eroso e demotivato la base operaia, passivizzando il
conflitto, permettendo al capitalismo italiano un reale processo
d’integrazione nel polo imperialistico europeo.
Un
fenomeno che nel suo complesso ha inciso profondamente sulla stessa evoluzione
liberale dell’apparto Pds-Ds, che lungi da poter essere qualificato come una
forza classicamente “moderata”, è divenuto gestore diretto degli
interessi dell’imperialismo italiano.
Tutto
il contenuto politico-programmatico avanzato dal documento Essere Comunisti,
nonostante le denuncie sulla gestione e sul metodo imposto da Bertinotti, fa
emergere la subalternità della rifondazione al programma della borghesia
liberale.
Si
chiede a Prodi, paladino del rigore europeista, “un’Europa democratica e
pacifista”: ma nell’attuale quadro capitalistico.
Si
chiede a Prodi: l’abolizione della legge 30; della Bossi-Fini; della riforma
delle pensioni e della legge Moratti sulla scuola; nella consapevolezza che la
borghesia seppur disposta ad elargire qualche correttivo, per incassare la
pace sociale, contrasterebbe con tutte le sue forze la rivendicazione di un
programma di classe: abolizione del "pacchetto Treu", della legge
Dini sulle pensioni, dei campi di detenzione per gli immigrati, attacco alle
grandi rendite e ai profitti.
I
“paletti” oggi rivendicati dal documento Essere Comunisti non reggono alle
contraddizioni di una posizione che non esclude, ma rilancia, un compromesso
forte con il centro liberale borghese, testimoniata anche soggettivamente
dalle responsabilità assunte in questa direzione da suoi autorevoli
esponenti.
Si
domanda: come si concilia la richiesta “di introdurre misure efficaci al
fine di smantellare la controriforma istituzionale (devolution e
presidenzialismo) e per difendere
Un
documento di riforma che rivendica esplicitamente di completare e migliorare
la riforma già realizzata del titolo V della Costituzione, il cui
contenuto da un lato è un federalismo pro devolution, e dall’altro
punta ad adeguare la forma di governo al cosiddetto premierato inglese,
strumento ben collaudato per stabilizzare i governi borghesi.
La
“prospettiva del superamento del capitalismo”, decantata nel documento
Essere Comunisti (sostitutivo dell’abusato “socialismo o barbarie” del V
congresso), si scioglie come neve al sole: la prospettiva comunista diviene,
più modestamente, “una porta aperta”, in un futuro indefinibile “al sol
dell’avvenire”, ma domani nel prossimo governo Prodi bis.
Una
prospettiva che spazza via, al di là dei richiami identitari sulla necessità
della “battaglia contro il revisionismo”, il programma fondamentale del
marxismo rivoluzionario e lo stesso Lenin che, in un epistolario immaginario,
risponderebbe al documento Essere Comunisti: “alla coalizione aperta
mascherata, tra borghesia e socialdemocrazia i comunisti oppongono il fronte
unico di tutti gli operai contro il potere della borghesia. Questi governi
sono soltanto un inganno raffinato nei confronti delle masse”.
IV
mozione (Malabarba)
Al
governo nel capitalismo: ma restando
in anticamera
di
Ruggero Mantovani
Anche
per il IV documento congressuale denominato “Un’altra Rifondazione è
possibile”, “l’accordo programmatico di governo” rappresenta,
indubbiamente, la proposta centrale del nostro VI congresso.
Accomuna
i sostenitori del testo, si afferma, “una diversa proposta nel rapporto col
centrosinistra”, poiché quest’ultimo, per quanto non può essere
accumulato al centrodestra, per diversità di storia, cultura e radicamento
sociale “si presenta all’interno dello stesso schieramento
capitalistico”.
Si
ritiene, in definitiva, che la globalizzazione capitalistica e le sue
politiche liberiste, avrebbero “quasi cancellato [ma un residuo di speranza
per il IV documento come vedremo rimane, n.d.a.], gli spazi di mediazione e di
compromesso”.
Di
più, si afferma: ”se Bush propone la guerra preventiva, il centrosinistra
ha inaugurato la guerra umanitaria”.
A
questo punto il lettore potrebbe obbiettivamente convincersi che il IV
documento ponga la rottura con la cosiddetta sinistra liberale (maggioranza Ds)
e col centro tradizionale borghese (Margherita, Sdi e Udeur) e nel nome della
“resistenza dei movimenti”, di un “altro mondo possibile” e della
“sinistra d’alternativa”, avanzi la costruzione di un polo autonomo e di
classe alternativo ai poli dell’alternanza borghese.
Nulla
di tutto questo!
L’unità
col centrosinistra, si obietta in particolare a Bertinotti, che sarebbe
richiesta “dai lavoratori”, sempre a detta del IV documento, si
consoliderebbe “dalle istanze del movimento".
Ed
essendo “la questione del governo un passaggio da valutare di volta in volta
in funzione dell’analisi della fase”, il IV documento ammonisce: prima i
programmi e poi l’entrata nella Gad e nell’eventuale governo Prodi bis.
E’
forte di chissà quale grande novità per la storia del nostro partito, per
istaurare un rapporto ottimale col centrosinistra, il IV documento avanza di
“verificare e promuovere differenti gradazioni capaci di rimuovere il quadro
politico insieme alle forze di movimento e della sinistra alternativa”.
E
se almeno per adesso “un altro Prodi non è possibile”, è viceversa
“possibile” un accordo “politico-elettorale”, condizionato più o meno
ai taumaturgici paletti programmatici avanzati anche dal documento Essere
Comunisti.
Questo
pamphlet del tatticismo politico (alla faccia dell’autonomia dei
movimenti!), per il IV documento permetterebbe di non essere coinvolti in
responsabilità di governo, mantenere intatta la “nostra autonomia” e al
contempo renderebbe “immediatamente comprensibile l’eventuale necessità
di far nascere il governo”, giudicando per il futuro "di volta in
volta" i provvedimenti presi. E se neppure “questi impegni
irrinunciabili trovassero il consenso del centrosinistra”, il lettore a
questo punto, smarrito, non si deve perdere d’animo, poiché si propone
comunque un accordo-tecnico, nelle forme rese “possibili dalla legge
attuale” -e non dalla nostra autonomia di classe.
L’impostazione
“critica” del IV documento congressuale nei confronti della linea del
segretario del Prc, in definitiva, riflette tutte le contraddizioni e le
ambiguità, di metodo e di merito, maturate in questi anni da Erre nei
rapporti con il bertinottismo.
Bertinotti
è stato presentato da questa tendenza come il veicolo, sia pure empirico, di
un processo di radicalizzazione progressiva a sinistra di Rifondazione.
Qui
sta tutto il concentrato della subordinazione politica del IV documento al
bertinottismo, che emerge platealmente persino nelle pieghe di un’apparente
criticità alla prospettiva avanzata dal segretario.
Tutta
l’argomentazione proposta mancante
di una base di principio di classe: ignora che il centrosinistra è il braccio
politico degli interessi borghesi; dichiara di non avere “pregiudiziali”
verso un governo comprensivo degli interessi del capitalismo italiano; non
pone la rottura, come unica alternativa di una politica di classe con il
centro liberale.
Insomma,
si avanza oggi un rafforzamento del movimento, speculare, domani, al
“confronto con il centrosinistra”, proponendo, in definitiva, un
movimentismo incapace di prospettare un’alternativa di classe al compromesso
riformista avanzato con le 15 tesi di Bertinotti.
Al
contrario, tutte le istanze che sono emerse con la nascita dei
movimenti nel periodo 2001-2004, dimostrano la loro inconciliabilità
con gli interessi delle forze del capitalismo italiano e con la sua
rappresentanza politica.
Una
verità elementare che pone sia la necessità della rottura con il centro
liberale e sia un’alternativa
di classe e anticapitalista.
Non
si tratta di avanzare come fa il documento di Erre - Sinistra Critica un
programma più radicale o più antiliberista, che richieda alla borghesia
liberale “i rinnovi contrattuali, la lotta contro la legge 30, un dibattito
corretto sul salario” o la “realizzazione transitoria di nazionalizzazioni
di alcuni gangli produttivi”, o forme “innovate di scala mobile” per il
recupero di potere di acquisto di salari e pensioni.
Si
tratta di proporre un programma di rottura con il centro liberale borghese,
capace di cancellare le controriforme imposte dal padronato.
Si
tratta in definitiva di combinare la cancellazione della controriforma sulle
pensioni di Berlusconi con la cancellazione della controriforma Dini voluta
dall’Ulivo. Di combinare la cancellazione della legge 30 con l’abolizione
del "pacchetto Treu" imposto dal Governo Prodi. Di cancellare la
legge Bossi-Fini sull’immigrazione, includendo l’eliminazione dei campi di
detenzione voluti dal centrosinistra. Di produrre aumenti salariali, delle
pensioni e un vero salario garantito ai disoccupati, senza contropartita in
flessibilità. Di avanzare una forte espansione della spesa sociale, sanitaria
e dell’istruzione pubblica, finanziata con misure di tassazione progressiva
dei grandi patrimoni, rendite e profitti. Di nazionalizzare le imprese in
crisi, senza indennizzo ai padroni e sotto il controllo dei lavoratori.
Un
programma di alternativa che dimostra, ancora una volta, che l’antiliberismo
avanzato dal IV documento -in assenza dell’anticapitalismo- finisce per
riproporre con l’antica illusione riformista nuovi ambiti di compromesso di
classe con la borghesia liberale.
Un
nuovo compromesso che cancellerebbe il Prc quale rappresentanza sociale e
politica delle istanze popolari e dei movimenti sociali, che in questi anni
hanno rialzato testa.
Tesi
di maggioranza
Un
documento senza argomenti
di
Francesco Ricci
Già
nell'avvio del dibattito congressuale abbiamo notato che alla fin fine gli
argomenti con cui vengono sostenute le tesi di maggioranza sono pochi e
ricorrenti. Ci pare utile provare a riassumerli qui schematicamente, per
fornire alcune brevissime risposte.
I
dirigenti di maggioranza dicono: Il centrosinistra è cambiato, sotto la
spinta dei movimenti. Grazie a questo nuovo quadro, Prodi ci propone una
"nuova frontiera"
[così si è espresso un Bertinotti entusiasta dopo il discorso di Prodi
all'Assemblea della Gad a Milano, poche settimane fa].
Noi
rispondiamo: non c'è nessuna modifica reale del centrosinistra -se non in
peggio e fatta eccezione per il nome (ora si alterna al vecchio Ulivo
l'infelice acronimo Gad). Basta leggere le dichiarazioni quotidiane che tutti
i dirigenti del centrosinistra -senza eccezioni- rilasciano quotidianamente
sulle loro intenzioni rispetto al futuro governo. Nessun tema è lasciato
inevaso: dallo Stato sociale (da "riformare", ovviamente secondo i
parametri di Maastricht), alla flessibilità (da "regolamentare"),
alle pensioni (da "riformare con gradualità"), alla Scuola e al
Lavoro (si preannuncia l'intenzione di ripartire col lavoro dove lo ha
lasciato in sospeso Berlusconi), fino ad arrivare alla politica estera
(rilancio dell'armamento dell'Europa, piena disponibilità a "sostenere
la pace in armi" negli altri Paesi, come rivendica testualmente Romano
Prodi). Per tacere del terreno istituzionale, con D'Alema che propone una
riforma elettorale che sostanzialmente "abolisca la democrazia
rappresentativa", secondo il riassunto efficace datone da Piero
Sansonetti, direttore di Libeazione.
Ciò
è peraltro in continuità non solo con le precedenti esperienze di governo
che già hanno messo alla prova le medesime forze politiche (e persino gli
stessi personaggi) ma è fin da ora testimoniato dalle politiche che il
centrosinistra rinominato pratica nelle giunte locali, quasi sempre con il
sostegno -più o meno critico- del nostro partito.
Nelle
giunte dove governa
I
dirigenti di maggioranza dicono: un conto sono le dichiarazioni giornalistiche
un altro conto sarà il programma di governo.
Noi
rispondiamo: il programma non è
semplicemente un testo che può essere "sistemato", aggiungendo
qualche aggettivo o spostando due avverbi. Un programma di governo è dettato
-nella triste realtà- dalle forze sociali, di classe, che sostengono il
governo. Il blocco che si propone un ricambio di alternanza per il
post-Berlusconi è composto dalle principali famiglie del grande capitale
italiano, dalle grandi banche, dalle concentrazioni finanziarie. Saranno loro
a dettare il programma reale, al di là dei testi. I testi, peraltro, esistono
già da tempo e sono le piattaforme programmatiche presentate da più di un
anno da Prodi e da Giuliano Amato.
I
dirigenti di maggioranza dicono: Progetto Comunista ha una visione statica
della realtà, che invece va vista non come una fotografia ma come un film. Il
prossimo governo non sarà solo la sommatoria delle forze politiche della Gad,
esso sarà influenzato dalla società, dai movimenti. Si innescherà -grazie
al lavoro del Prc- un circolo virtuoso: i movimenti influenzeranno il governo
e la capacità di incidenza nelle politiche darà nuova linfa alla crescita
dei movimenti.
Noi
rispondiamo: è una teoria già proposta anche ai tempi del primo governo
Prodi. La realtà ha dimostrato, viceversa, che l'assenza di una forza
politica di opposizione di classe alle politiche borghesi ha portato alla
passivizzazione, alla demoralizzazione, al riflusso dei movimenti (che
esistevano anche in quella fase).
Prodi
può vantare ancora oggi -come principale biglietto da visita esibito alla
borghesia- la capacità che ebbe di imporre politiche anti-popolari in un
quadro di "pace sociale", con un record negativo delle ore di
sciopero.
Il
motivo vero per cui la borghesia preferisce un governo di centrosinistra (ed
ha accettato di malagrazia il governo Berlusconi, di cui ora vuole liberarsi)
è appunto perché -come spiegò bene Gianni Agnelli- può fare le stesse
politiche borghesi avvalendosi della collaborazione concertativa dei sindacati
e delle organizzazioni di massa, soffocando il conflitto sul nascere. La
grande borghesia vuole che anche il Prc sia partecipe pienamente del prossimo
governo appunto perché spera così di privare i movimenti di massa -che tanto
l'hanno spaventata in questi ultimi anni- di una potenziale direzione.
I
dirigenti di maggioranza dicono: Bisogna pur fermare Berlusconi, sconfiggere
le destre.
Noi
rispondiamo: anche questo argomento non è nuovo: fu utilizzato per sostenere
la necessità di un ingresso del Prc nella maggioranza del primo governo
Prodi; e lo impiegò anche Cossutta -contro il Prc- per dimostrare che
bisognava mantenere quel sostegno.
Berlusconi
può anche essere battuto elettoralmente nel 2006 dalla convergenza tra Prc e
Ulivo (
Sostituire
un governo Berlusconi con un nuovo governo Prodi significa soltanto
sconfiggere momentaneamente la destra (e non le politiche borghesi), dandole
modo di vincere di nuovo in seguito anche elettoralmente e con gli interessi
(come è già successo con la prima alternanza tra il Berlusconi I e il Prodi
I, a cui è succeduto un Berlusconi II).
I
dirigenti di maggioranza dicono: Progetto Comunista propone una chiusura
settaria, non si pone il problema di dialogare con la "domanda di unità"
che viene dai movimenti, dai lavoratori.
Noi
rispondiamo: in realtà solo la proposta avanzata da Progetto Comunista
consente al Prc di mantenere un rapporto con i movimenti (rapporto già oggi
incrinato proprio per la marcia forzata verso il governo) e di svilupparlo.
Progetto Comunista non propone una chiusura settaria, ma viceversa la
costruzione -nel vivo delle lotte di opposizione a tutte le politiche della
borghesia e a tutti i suoi governi- di un polo autonomo di classe, alternativo
ai due poli dell'alternanza borghese, fondato sull'indipendenza di classe del
movimento operaio e sulle ragioni sociali dei movimenti di questi anni:
inconciliabili con le politiche di Prodi e D'Alema. Propone cioè di entrare
da un versante di classe nelle contraddizioni tra larghe masse popolari e le
direzioni attuali: avanzando la richiesta della "rottura col centro
liberale" (maggioranza Ds, Margherita) a tutte le forze
socialdemocratiche che si richiamano alla stagione dei movimenti. Si tratta
della proposta di unificare le vertenze, le lotte di lavoratori e precari e
disoccupati attorno a una piattaforma di classe che -fin dalle sue indicazioni
minimali- necessariamente è incompatibile con la piattaforma di classe dei
liberali. E' una proposta che può essere rivolta da subito ad un'area
potenziale di 11 milioni -quegli 11 milioni che hanno sostenuto l'estensione
dell'art. 18 (mentre i liberali con cui dovremmo ora andare al governo stavano
tutti -non casualmente- dall'altra parte della barricata di classe). E allora
cosa ci separa dai lavoratori: la partecipazione alle lotte o l'ingresso in un
governo nemico di quelle lotte?