DIBATTITO DE IL MANIFESTO SULLA SINISTRA: L'INTERVENTO DI MARCO FERRANDO

Potete leggere qui l'articolo di Marco Ferrando pubblicato sul Manifesto giovedì nel quadro del dibattito sull'Assemblea promossa dal Manifesto che si è tenuta oggi a Roma, a cui come sinistra rivoluzionaria del Prc partecipavamo con le posizioni qui illustrate.

 
Francesco Ricci

Prima di tutto rompiamo col centro

Non è nuova la sinistra che accetta l'alternanza tra Berlusconi e Montezemolo

 


MARCO FERRANDO
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L'appuntamento del 15 gennaio è un'occasione importante di riflessione e confronto per tutta la sinistra sociale e politica italiana. Per questo è bene evitare di sprecarla, con una comune assunzione di responsabilità. Lo dico in relazione al rischio che il senso della discussione si riduca, in buona sostanza, a come mettere a frutto un capitale politico-elettorale del 13% sul terreno del compromesso di governo col centro liberale di Prodi e D'Alema, nell'eterno intento di «spostarlo a sinistra». Chiedo: davvero il ruolo «nuovo» della sinistra italiana (sinistra Ds, Pdci, Prc, Cgil) sarebbe quello di contribuire all'ennesima variante di centrosinistra con l'ennesimo auspicio di un suo «equilibrio più avanzato»? Davvero quella straordinaria stagione di movimenti che ci ha visto insieme dalla stessa parte della barricata - a fronte di un centro ulivista estraneo ed ostile - andrebbe investita in un nuovo compromesso storico col centro?

Non propongo qui un bilancio del passato (remoto e recente) che pur mi pare impietoso. Propongo una lettura del presente: più oggi avanza, nelle relazioni politiche e sindacali, la prospettiva d'alternanza e di concertazione - con la benedizione di Confindustria, delle banche e della grande stampa - più questo processo disperde le potenzialità dei movimenti e paralizza l'opposizione a Berlusconi, a vantaggio di Berlusconi. Si può non vederlo?

A fronte di un governo di guerra, l'opposizione alla guerra segna il passo, impantanandosi prima nelle simulazioni di un'unità nazionale «umanitaria», poi nelle mediazioni parlamentari col centro ulivista a scapito del ritiro immediato delle truppe, infine nella platonica e innocua lettera a Ciampi sull'articolo 11, prevedibilmente inascoltata. Il fatto che nel momento dei bombardamenti criminali su Falluja non vi sia stata neppure la parvenza di una mobilitazione è la riprova amara dell'impasse. Così, sul piano sociale, a fronte di una legge finanziaria da tutti denunciata come gravissima, si è replicato con puri atti di testimonianza (come lo sciopero di 4 ore indetto con mesi di ritardo e senza prospettive di continuità) che sono del tutto incapaci anche solo di scalfire i concreti rapporti di forza e di conseguire risultati. Nel mentre si moltiplicano le intese concertative tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil, a partire dal Sud.

Non si tratta di limiti o errori casuali, ma della pesante ricaduta, già ora, della prospettiva politica di alternanza. E il risultato è drammatico: un governo Berlusconi che a giugno-luglio l'Unità dava per «morto» ha potuto non solo sopravvivere ma rilanciare la propria offensiva populistico-plebiscitaria: varando la devolution, annunciando la soppressione della par condicio, persino lanciando la candidatura del Cavaliere alla Presidenza della Repubblica. Nel frattempo le dinamiche di lotta radicali e vincenti che avevano segnato la primavera scorsa, da Scanzano a Melfi, tendono a rifluire in un diffuso disincanto, una volta private di quella prospettiva di generalizzazione che proprio il rilancio della concertazione oggi pregiudica.

Di fronte a tutto questo, si può riproporre stancamente, come se nulla stesse accadendo, il canovaccio della Gad e della sua «contaminazione a sinistra», per di più nel momento in cui Prodi rivendica il «rilancio del mercato», D'Alema loda le virtù del maggioritario, e Rutelli equipara scuola pubblica e privata? E' necessario e urgente, a me pare, segnare una svolta.

Non si tratta di riproporre il confronto con i liberali, ma di prendere atto del suo esito: sinistra italiana e centro dell'Ulivo non esprimono idee diverse, ma opposte radici sociali e classe. Solo la rottura col centro dell'Ulivo e con i poteri forti che lo sorreggono può liberare le potenzialità di un'opposizione vera, radicale e di massa, capace di puntare alla cacciata di Berlusconi e di creare le condizioni di un'alternativa vera. L `esperienza ci dice che non si può stare, allo stesso tempo, con gli operai di Melfi e con Luca di Montezemolo, con il popolo di Scanzano e con Clemente Mastella, con i piccoli risparmiatori e con i banchieri amici di Parmalat. Una sinistra che si voglia «alternativa» deve assumersi le responsabilità di una scelta. E questa scelta è decisiva per la stessa natura e credibilità di quel «programma comune» dell'alternativa che giustamente viene invocato. Un programma non è una sequenza di punti o paletti indifferente alla soluzione politica che si persegue e al blocco sociale che le corrisponde. Un programma è innanzitutto la ragione sociale e la prospettiva politica che si scelgono. Dentro la scelta di campo della Gad, dentro un compromesso concertativo col liberalismo e i poteri forti, non c'è programma della sinistra italiana se non come esercitazione letteraria: nei fatti ci si rassegnerebbe a negoziare forme e cadenze del programma (controriformatore) dei liberali come peraltro è avvenuto e avviene in tutte le coalizioni di centrosinistra al mondo, incluso il Brasile di Lula.

Viceversa rompere con Prodi, realizzare unitariamente un polo autonomo di classe, è la condizione necessaria perché la sinistra italiana possa definire finalmente la propria proposta indipendente, programmatica e d'azione, in alternativa alle classi dirigenti: sul terreno di quella lotta anticapitalistica per un'alternativa di società e di potere che oltretutto, in questa epoca di crisi, è la sola che possa strappare, cammin facendo, riforme parziali e risultati reali.

Il 15 gennaio è dunque davvero uno snodo, tanto più nell'attuale momento politico. Se si continuerà a restare aggrappati alla Gad, se si continuerà a considerare Romano Prodi come il sole attorno a cui far ruotare i diversi pianeti della sinistra italiana, temo si imbocchi davvero, in ogni caso, il vicolo cieco della sconfitta: o l'alternanza di Montezemolo o la vittoria di Berlusconi. Se invece si realizzerà una svolta in direzione di un'autonoma assunzione di responsabilità (che non esclude ovviamente accordi tecnico-elettorali per battere le destre), allora tutto lo scenario sociale e politico italiano ne sarebbe segnato: e potrebbe aprirsi una stagione davvero nuova, capace di infondere nuove energie, rimotivando l'azione di milioni di lavoratori e di giovani attorno a una prospettiva finalmente sentita come propria: quella di cacciare Berlusconi dal versante delle lotte, non dei banchieri. Quella di una lotta finalmente ingaggiata non per partecipare, ma per vincere.

Progetto Comunista-Sinistra del Prc porterà il 15 gennaio questa proposta di svolta, e si impegnerà nell'intero movimento operaio e sindacale e in tutti i movimenti di lotta perché attorno ad essa si raccolga, in primo luogo, il settore più combattivo della giovane generazione: di quella giovane generazione che in questi anni ha rialzato la testa e che non vuole metterla sotto la ghigliottina del bipolarismo.

*Direzione Nazionale Prc, Progetto comunista-sinistra del Prc