L'appuntamento
del 15 gennaio è un'occasione importante di riflessione e confronto per tutta
la sinistra sociale e politica italiana. Per questo è bene evitare di
sprecarla, con una comune assunzione di responsabilità. Lo dico in relazione al
rischio che il senso della discussione si riduca, in buona sostanza, a come
mettere a frutto un capitale politico-elettorale del 13% sul terreno del
compromesso di governo col centro liberale di Prodi e D'Alema, nell'eterno
intento di «spostarlo a sinistra». Chiedo: davvero il ruolo «nuovo» della
sinistra italiana (sinistra Ds, Pdci, Prc, Cgil) sarebbe quello di contribuire
all'ennesima variante di centrosinistra con l'ennesimo auspicio di un suo «equilibrio
più avanzato»? Davvero quella straordinaria stagione di movimenti che ci ha
visto insieme dalla stessa parte della barricata - a fronte di un centro
ulivista estraneo ed ostile - andrebbe investita in un nuovo compromesso storico
col centro?
Non propongo qui un bilancio del passato (remoto e recente) che pur mi pare
impietoso. Propongo una lettura del presente: più oggi avanza, nelle relazioni
politiche e sindacali, la prospettiva d'alternanza e di concertazione - con la
benedizione di Confindustria, delle banche e della grande stampa - più questo
processo disperde le potenzialità dei movimenti e paralizza l'opposizione a
Berlusconi, a vantaggio di Berlusconi. Si può non vederlo?
A fronte di un governo di guerra, l'opposizione alla guerra segna il passo,
impantanandosi prima nelle simulazioni di un'unità nazionale «umanitaria»,
poi nelle mediazioni parlamentari col centro ulivista a scapito del ritiro
immediato delle truppe, infine nella platonica e innocua lettera a Ciampi
sull'articolo 11, prevedibilmente inascoltata. Il fatto che nel momento dei
bombardamenti criminali su Falluja non vi sia stata neppure la parvenza di una
mobilitazione è la riprova amara dell'impasse. Così, sul piano sociale, a
fronte di una legge finanziaria da tutti denunciata come gravissima, si è
replicato con puri atti di testimonianza (come lo sciopero di 4 ore indetto con
mesi di ritardo e senza prospettive di continuità) che sono del tutto incapaci
anche solo di scalfire i concreti rapporti di forza e di conseguire risultati.
Nel mentre si moltiplicano le intese concertative tra Confindustria e
Cgil-Cisl-Uil, a partire dal Sud.
Non si tratta di limiti o errori casuali, ma della pesante ricaduta, già ora,
della prospettiva politica di alternanza. E il risultato è drammatico: un
governo Berlusconi che a giugno-luglio l'Unità dava per «morto» ha
potuto non solo sopravvivere ma rilanciare la propria offensiva
populistico-plebiscitaria: varando la devolution, annunciando la soppressione
della par condicio, persino lanciando la candidatura del Cavaliere alla
Presidenza della Repubblica. Nel frattempo le dinamiche di lotta radicali e
vincenti che avevano segnato la primavera scorsa, da Scanzano a Melfi, tendono a
rifluire in un diffuso disincanto, una volta private di quella prospettiva di
generalizzazione che proprio il rilancio della concertazione oggi pregiudica.
Di fronte a tutto questo, si può riproporre stancamente, come se nulla stesse
accadendo, il canovaccio della Gad e della sua «contaminazione a sinistra»,
per di più nel momento in cui Prodi rivendica il «rilancio del mercato», D'Alema
loda le virtù del maggioritario, e Rutelli equipara scuola pubblica e privata?
E' necessario e urgente, a me pare, segnare una svolta.
Non si tratta di riproporre il confronto con i liberali, ma di prendere atto del
suo esito: sinistra italiana e centro dell'Ulivo non esprimono idee diverse, ma
opposte radici sociali e classe. Solo la rottura col centro dell'Ulivo e con i
poteri forti che lo sorreggono può liberare le potenzialità di un'opposizione
vera, radicale e di massa, capace di puntare alla cacciata di Berlusconi e di
creare le condizioni di un'alternativa vera. L `esperienza ci dice che non si può
stare, allo stesso tempo, con gli operai di Melfi e con Luca di Montezemolo, con
il popolo di Scanzano e con Clemente Mastella, con i piccoli risparmiatori e con
i banchieri amici di Parmalat. Una sinistra che si voglia «alternativa» deve
assumersi le responsabilità di una scelta. E questa scelta è decisiva per la
stessa natura e credibilità di quel «programma comune» dell'alternativa che
giustamente viene invocato. Un programma non è una sequenza di punti o paletti
indifferente alla soluzione politica che si persegue e al blocco sociale che le
corrisponde. Un programma è innanzitutto la ragione sociale e la prospettiva
politica che si scelgono. Dentro la scelta di campo della Gad, dentro un
compromesso concertativo col liberalismo e i poteri forti, non c'è programma
della sinistra italiana se non come esercitazione letteraria: nei fatti ci si
rassegnerebbe a negoziare forme e cadenze del programma (controriformatore) dei
liberali come peraltro è avvenuto e avviene in tutte le coalizioni di
centrosinistra al mondo, incluso il Brasile di Lula.
Viceversa rompere con Prodi, realizzare unitariamente un polo autonomo di
classe, è la condizione necessaria perché la sinistra italiana possa definire
finalmente la propria proposta indipendente, programmatica e d'azione, in
alternativa alle classi dirigenti: sul terreno di quella lotta anticapitalistica
per un'alternativa di società e di potere che oltretutto, in questa epoca di
crisi, è la sola che possa strappare, cammin facendo, riforme parziali e
risultati reali.
Il 15 gennaio è dunque davvero uno snodo, tanto più nell'attuale momento
politico. Se si continuerà a restare aggrappati alla Gad, se si continuerà a
considerare Romano Prodi come il sole attorno a cui far ruotare i diversi
pianeti della sinistra italiana, temo si imbocchi davvero, in ogni caso, il
vicolo cieco della sconfitta: o l'alternanza di Montezemolo o la vittoria di
Berlusconi. Se invece si realizzerà una svolta in direzione di un'autonoma
assunzione di responsabilità (che non esclude ovviamente accordi
tecnico-elettorali per battere le destre), allora tutto lo scenario sociale e
politico italiano ne sarebbe segnato: e potrebbe aprirsi una stagione davvero
nuova, capace di infondere nuove energie, rimotivando l'azione di milioni di
lavoratori e di giovani attorno a una prospettiva finalmente sentita come
propria: quella di cacciare Berlusconi dal versante delle lotte, non dei
banchieri. Quella di una lotta finalmente ingaggiata non per partecipare, ma per
vincere.
Progetto Comunista-Sinistra del Prc porterà il 15 gennaio questa proposta di
svolta, e si impegnerà nell'intero movimento operaio e sindacale e in tutti i
movimenti di lotta perché attorno ad essa si raccolga, in primo luogo, il
settore più combattivo della giovane generazione: di quella giovane generazione
che in questi anni ha rialzato la testa e che non vuole metterla sotto la
ghigliottina del bipolarismo.
*Direzione Nazionale Prc, Progetto comunista-sinistra del Prc