INTERVISTA A MARCO FERRANDO SULLA STORIA DEL PRC
I compagni che gestiscono il sito del Prc di Savona ci segnalano una intervisa a Marco Ferrando, portavoce di Progetto Comunista, sulla storia del Prc di quella federazione e più in generale sul futuro del partito.
Vi presentiamo le risposte
di Marco Ferrando all'intervista sulla storia del nostro partito inviata ai
fondatori del PRC nella nostra provincia. Le domande sono divise per categorie.
Le prime tre sono relative alle origini del PRC nel savonese, le successive sei
forniscono una sorta di "retroterra" per la comprensione dei processi
che hanno dato vita a Rifondazione Comunista, le ultime tre si proiettano nel
futuro del partito.
la
redazione del sito
Savona - 7 Gennaio 2004
Precisamente
quando e come è nato il PRC nella nostra provincia? Quali sono stati i
protagonisti della "Rifondazione del Comunismo" a Savona?
Il Partito nella nostra
provincia nacque formalmente come Movimento per la Rifondazione Comunista nel
1991. Questa fase, così come accaduto a livello nazionale, rappresentò il
passaggio preliminare della costituzione del Partito.
Tuttavia a Savona ci fu
negli anni precedenti, in particolare tra il 1989 e il 1991, un lavoro di
preparazione di quello che sarebbe stato lo stesso Movimento per la
Rifondazione. Un lavoro che vedeva sostanzialmente tre soggetti coinvolti: la
federazione locale di Democrazia Proletaria, nella quale vi era stato un
ricambio del gruppo dirigente con un cambio d'impostazione politica e di linea;
il gruppo locale del PCD che faceva riferimento a Piero Casaccia proveniente
dalla vecchia tradizione ML (un movimento di estrema sinistra, ndr) ed infine da
un gruppo di compagni del PCI in sofferenza a seguito della svolta occhettiana
guidati da Paola Vottero e Armando Codino.
La proposta fu lanciata
dalla Federazione di DP di cui ero diventato Segretario ed era una proposta
finalizzata alla costituzione di un "Coordinamento di comunisti" a
Savona trasversale alle diverse appartenenze politiche. L'idea era quella di
aggregare tutti i soggetti comunisti ed anticapitalisti nella nostra realtà nel
tentativo di occupare uno spazio politico a sinistra che si stava liberando a
fronte delle scelte del PCI nazionale. Per alcuni aspetti sul piano locale
anticipammo quella che sarebbe stata, su altre basi, un'intuizione un processo
di carattere politico nazionale.
Nacque così questo
"Coordinamento di comunisti" formalmente nel 1990 ed iniziò a
lavorare a cavallo tra il primo ed il secondo congresso del PCI "della
svolta" in particolare su un settore di base del Partito Comunista per
preparare le condizioni della "scissione" e della costituzione del
nuovo soggetto.
Un processo non semplice
perché a Savona, a differenza di altre realtà, e questo è un punto
importante, inizialmente nessun settore dirigente della federazione locale del
PCI era disponibile a muoversi verso il Movimento per la Rifondazione Comunista.
A Savona la seconda mozione del PCI, che si opponeva alla svolta di Occhetto
guidata da Umberto Scardaoni e Bruno Marengo aveva la maggioranza, ma nonostante
questo teneva una posizione, almeno inizialmente, molto "internista".
Prima rimasero all'interno del partito poi costituirono un loro raggruppamento
indipendente che raccoglieva sia gente interna al PCI, sia gente che era uscita,
ma non vollero avvicinarsi né al "Coordinamento di comunisti" che
avevamo lanciato, né al Movimento per la Rifondazione Comunista.
Questo indebolì il flusso
di uscita dal PCI verso il nuovo soggetto e questo spiega anche il perché
Rifondazione Comunista nasce a Savona con un gruppo dirigente costitutivo
essenzialmente proveniente dall'esperienza, o da diverse esperienze,
dell'estrema sinistra.
Oltre
ai militanti di una parte del PCI e di DP, da quali altri "vecchi"
partiti Rifondazione Comunista ha raccolto adesioni, consensi e militanti?
Come ho detto prima
essenzialmente da Democrazia Proletaria, dal PCD e da una parte del PCI. Le cose
cambiarono in seguito con lo sviluppo del Movimento per la Rifondazione
Comunista, dal biennio 91/92 fino alla costituzione formale del partito, grazie
all'afflusso di compagni di base provenienti dal vecchio PCI ormai PDS e al
ritorno alla politica attiva di compagni che avevano abbandonato il Partito
Comunista da una vita, come i compagni del PCI di Albenga quasi tutti usciti
all'epoca del "compromesso storico" e tornati con la nascita di
Rifondazione.
In quel quadro ci fu un
forte recupero di forze, di energie e di disponibilità. La Federazione di
Savona raggiunse fra i 700 e gli 800 iscritti nei primi anni '90. L'afflusso fu
quindi forte e consistente, ma non ci fu un "travaso" di gruppi
dirigenti, che si avvicinarono al partito in una fase successiva. Tra il 1992 e
1994 infatti aderirono al PRC diversi dirigenti, tra l'altro prestigiosi, del
vecchio PCI strutturando così un quadro della direzione collettiva della
Federazione.
Chi
sono stati i segretari della Federazione di Savona dai primi anni novanta ad
oggi? E che tipo di impronta hanno dato alla politica locale del PRC?
Personalmente sono stato
prima coordinatore del Movimento per la Rifondazione Comunista e poi il primo
segretario della federazione del partito fino alla fine del '94 cioè fino al 2°
Congresso Nazionale. Dopodiché vi sono state due esperienze di direzione del
PRC in cui la maggioranza della federazione faceva riferimento alla maggioranza
nazionale, quindi con un elemento di discontinuità rispetto alla prima
gestione, che furono rispettivamente le segreterie di Sergio Acquilino e di
Piero Casaccia.
Con il '98 c'è la scissione
del PDCI guidata dallo stesso Casaccia che non avrà una grande consistenza, ma
che comunque produrrà diversi danni al partito. In questo periodo di
transizione il segretario diventa Bruno Marengo anche se per poco tempo poiché
la scissione fu nell'autunno del '98 e il congresso meno di un anno dopo.
Il 4° Congresso Nazionale
cambia nuovamente la guida della federazione con la sinistra di Rifondazione che
riprende la maggioranza dei consensi. Inizia così la Segreteria Turchi. Con
l'ultimo congresso del partito ricambia nuovamente l'equilibrio; la maggioranza,
anche se con una differenza modesta, riprende il controllo della federazione ed
inizia la Segreteria Zunino.
Per quanto riguarda il segno
che i diversi segretari hanno dato è del tutto evidente che le diversità di
gestione hanno avuto un minimo di impatto sulle politiche locali, gestite sempre
nel quadro di quello che è stato l'orientamento nazionale.
Il tema di politica locale
che ha maggiormente investito la Federazione di Savona ed ha costituito uno dei
terreni di scontro politico più radicale, infinitamente più di tanti altri
contenziosi negli anni successivi, si produsse durante la mia segreteria attorno
al Comune di Savona, attorno all'eventualità o meno di un ingresso del PRC
nella maggioranza del comune. Si confrontarono, in questo scontro politico molto
intenso, due posizioni. La prima sosteneva che il nostro rappresentante in
Comune, nello specifico Franco Zunino, doveva dichiararsi indisponibile ad una
ipotesi di ricomposizione di governo con l'allora maggioranza di Centrosinistra;
mentre la posizione dello stesso Franco, sostenuta anche all'esterno del partito
da Umberto Scardaoni e da Franco Astengo, affermava la necessità di un
confronto programmatico avente come oggetto la verifica di un quadro di governo.
Quello come detto fu uno
scontro molto duro all'interno della Federazione che si risolse con un voto a
maggioranza molto contrastato, in una situazione in cui il gruppo dirigente
nazionale pressato da una parte del partito sul piano locale, questa almeno è
la ricostruzione storica che io faccio, cercò di intervenire attivamente in
questa crisi per favorire il ricambio, sostanzialmente per rimuovere o
destituire l'allora segreteria del partito.
Il paradosso della storia è
che, a curare gli interessi generali del partito contro le devianze politiche di
cui io sarei stato l'espressione, vennero Luciano Pettinari e Rino Serri che
sarebbero stati due compagni protagonisti della prima scissione nel 1995
all'epoca dei Comunisti Unitari poi confluiti nei Democratici di Sinistra. Oggi
Pettinari è il numero due dell'area di Cesare Salvi (Socialismo 2000, ndr)
mentre Serri, dopo aver esercitato responsabilità di governo come
sottosegretario nel Governo D'Alema, fa parte organicamente della maggioranza
dei DS. In poche parole si era verificato un'anticipazione in piccolo di quello
che sarebbe avvenuto con la vicenda Cossutta, con i custodi dell'unità che
diventano autori di una scissione.
Per
quali motivi nell'ormai lontano 1991 si è sentito il bisogno di dar vita ad un
movimento politico prima e ad un nuovo partito dopo, orgogliosamente comunista?
I motivi sono tutti legati
da un lato alla necessità della costruzione di una rappresentanza indipendente
degli interessi e delle esigenze sociali della classe operaia e delle classi
subalterne in generale e in secondo luogo all'opportunità di legare la
rappresentanza di quegli interessi ad una prospettiva di trasformazione della
società.
A fronte delle politiche
capitalistiche, che alla fine degli anni '80 e nei primi anni '90 incominciavano
a conoscere una vera e propria precipitazione, era la vigilia del decollo
dell'operazione di Maastricht e quindi di una stagione di austerità e sacrifici
per i lavoratori italiani ancor più pesanti di quelli che avevano dovuto subire
dalla fine degli anni '70 e per tutti gli anni '80, il gruppo della maggioranza
dirigente del PCI lasciò scoperto a sinistra uno spazio consentendo nei fatti
la costruzione di un soggetto politico che fosse in primo luogo la
rappresentanza di quegli interessi e di quelle esigenze che non trovarono più
un riferimento politico.
Per quanto concerne il
secondo aspetto prima citato, quello che fa la differenza tra un partito
comunista ed un partito classista, sindacalista o riformista di sinistra è il
fatto di legare la difesa "qui e ora" dell'esigenza del lavoratore,
del disoccupato, del giovane ad una prospettiva di rovesciamento della società
capitalistica e quindi di una alternativa di società e di potere. Compito di un
partito comunista è quello di legare la battaglia di oggi sulle singole
questioni ad una prospettiva generale; se manca questo ponte si finisce con
l'abbandonare perfino la coerenza della difesa "qui e ora" degli
interessi dei lavoratori.
Il Partito della
Rifondazione Comunista nacque quindi non come artificio politico organizzativo,
ma nacque dentro una vicenda storica. A sua volta questa esigenza aveva un
richiamo internazionale cioè il crollo del Muro di Berlino, il crollo della
stalinismo, la fine di una lunga pagina di storia del movimento operaio e
comunista e l'esigenza di riflettere sul bilancio di una storia e di concludere
questa riflessione non con una operazione di riciclaggio governativo, ma di
concluderlo con un rilancio di una prospettiva di rifondazione comunista,
anticapitalista autentica che riprendesse le ragioni e le ispirazioni del
comunismo originario.
Vuoi
aggiungere qualche considerazione sulle cause per le quali il PCI si è
trasformato in PDS, cessando di esistere come partito "comunista"? Dal
momento che è difficile immaginare che un partito abbandoni il proprio nome (e
le tradizioni ad esso associate) da un momento all'altro, quali ritieni siano
stati i passaggi compiuti dal PCI per giungere al suo scioglimento?
Quella
"trasformazione" rappresentò il punto di approdo di una lunga storia.
Per un grande periodo il PCI fu la rappresentanza maggioritaria della classe
operaia e delle classi subalterne in Italia. Tuttavia il suo apparato dirigente
fu sempre proiettato alla ricerca di un proprio inserimento di governo
nell'ambito della "Prima Repubblica". La stessa strategia del
"compromesso storico", che non fu un'invenzione di Berlinguer, ma fu
sperimentata per la prima volta nel dopoguerra con l'ingresso del PCI nel
governo di unità nazionale con De Gasperi, fu significativa in questo senso.
Politica tuttavia che rientrava nella svolta dell'intero movimento comunista
internazionale a partire dal 7° Congresso dell'Internazionale Comunista nel
1935 con il varo della cosiddetta politica dei "fronti popolari".
Il primo tentativo di
approdo di governo nell'immediato secondo dopoguerra fu disastroso per il PCI e
in primo luogo per i lavoratori che subirono con l'abbraccio tra Togliatti e De
Gasperi le politiche di restaurazione capitalistica e di ricostruzione dello
Stato, il disarmo del movimento partigiano, l'amnistia per i fascisti, la
liberalizzazione dei licenziamenti.
Dopo questa pagina il PCI
attraversò un lungo periodo di opposizione negli anni '40 e '50 e fu nel mirino
della campagna "anticomunista" organizzata da DC e Stati Uniti.
Tuttavia persino negli anni più difficili della resistenza e dell'opposizione
rispetto all'offensiva delle classi dominanti la bussola, dal punto di vista
strategico, era sempre quella di ricomporre un quadro di governo con il
principale partito della borghesia italiana cioè la Democrazia Cristiana.
L'occasione per ricomporre
questo quadro si crea per la prima volta alla metà degli anni '70 sullo sfondo
della grande ascesa dei movimenti operai e giovanili decollati con il 1968 che
trovarono nel PCI il proprio punto di riferimento. Su questa spinta il Partito
Comunista nel 1975 e nel 1976 conosce il suo grande picco elettorale e diventa
più che mai lo strumento di una domanda diffusa di cambiamento. Il senso comune
dell'epoca era quello di dire "via la DC, adesso la svolta".
Il gruppo dirigente del PCI
invece di raccogliere questa domanda di rottura con le classi dirigenti realizzò
il "compromesso storico" o meglio il "secondo compromesso
storico". Il PCI subì così l'effetto boomerang delle sue disastrose
politiche. Dal 1976 al 1978 furono anni pesanti che produssero il disincanto, la
demoralizzazione, il ritorno a casa di un'intera generazione che era stata
protagonista delle lotte dalla fine degli anni '60 all'inizio degli anni '70.
Gli anni ottanta sono gli
anni peggiori per il PCI, gli anni della totale stagnazione. Bruciata la grande
occasione degli anni settanta attraverso la politica del "compromesso
storico" e senza possibilità di recuperare una posizione di governo (nel
1979 perde il 5% dei voti), il Partito Comunista tiene solo come apparato, ma in
un quadro di atrofizzazione progressiva dei suoi rapporti di massa, delle sue
relazioni sociali.
Con l'89 e il crollo del
Muro di Berlino la grande occasione. Quello che aveva costituito il più grande
ostacolo per l'accesso del PCI al governo non era semplicemente determinato dai
rapporti di forza, ma era costituito dal suo legame ad un sistema di relazioni
internazionali figlio in ultima analisi della Rivoluzione d'Ottobre. Né la DC né
gli americani volevano che in Italia un partito legato a Mosca potesse
"metter naso" nella politica estera, nella politica interna, potesse
costituire suo malgrado un elemento di contraddizione rispetto al quadro
dell'omogeneità atlantica. Quello che Ronchei sul Corriere della Sera chiamò
il "fattore K" dove K sta per Kremlino.
Con il 1989 il Partito
Comunista Italiano poteva "finalmente" diventare una socialdemocrazia
e quindi poteva arrivare al governo come gli altri. Il PDS prima e i DS dopo
nascono con questo segno cioè come una nuova socialdemocrazia, che poi sarebbe
approdata progressivamente al liberalismo democratico, che sgravata dell'onere
dei vecchi legami internazionali e della storia del movimento comunista, poteva
trasformarsi direttamente in un partito centrale di governo. Il crollo della DC
sotto i fatti di tangentopoli e l'abbandono del "fattore K"
costituirono il contorno ideale a questa svolta.
In conclusione per
rispondere definitivamente alla domanda, il PCI si scioglie lungo un itinerario
storico in cui questo fatto è l'approdo definitivo. Non fu né un impazzimento,
né una improvvisazione di Occhetto.
Attualmente,
nella nostra provincia, siamo alleati con il Centrosinistra a Celle Ligure e a
Quiliano. Quali sono stati in passato i comuni nei quali abbiamo lavorato con il
Centrosinistra (in maggioranza o in minoranza)? Come è stato il rapporto? Siamo
riusciti a costruire qualcosa di positivo? Perché è venuto meno il nostro
rapporto?
Poiché dal 1996 seguo poco
la politica locale, per rispondere a questa domanda ho chiesto aiuto a Patrizia
Turchi.
"Il Comune più
importante è stato quello di Savona nel 1998. Con la guida Casaccia, si andò
ad una alleanza a perdere col sindaco Ruggeri. C'erano tutte le premesse perché
questa diventasse una "alleanza senza scappatoie". Ma la voglia di
governo era molto forte, con conseguente approvazione di un programma che vedeva
confermate le direttive precedenti (quelle promosse dalla breve stagione di
Centrodestra con Gervasio).
Quindi un tipo d'urbanistica
ad uso e consumo degli speculatori e di interessi privati (Margonara, Aurelia
bis connessa con imponenti lottizzazioni residenziali sul doppio versante
Savona-Albissole, Bofill, per citare alcune note o la progressiva
cementificazione della collina savonese), affiancata da una inesistente politica
per le classi deboli (case per i meno abbienti, tutela per gli sfratti, servizi
alla persona come nidi, assistenza agli anziani, oggi o inesistenti o dai costi
proibitivi), una politica cieca nei confronti di inquinamento, smog, tutela
dell'ambiente (parliamo di rifiuti, attenzioni agli alvei dei fiumi, tutela
contro gli incendi, traffico e politica della sosta). Senza contare importanti
terzializzazioni di servizi comunali (quella della riscossione dei tributi ad
esempio...), o trasformazioni di aziende speciali (come l'ATA in S.p.A., con
evidente e palese obiettivo di creare una società con scopo di lucro, sulle
spalle dei cittadini che vedono rincararsi le tasse - in quattro anni +35%! - ed
un servizio malfunzionante del quale non hanno più il controllo). Eravamo
davvero intrappolati, mentre Casaccia, ormai fatta la scelta cossuttiana, si
schierava nettamente con queste politiche.
La rottura fu inevitabile e
vide il Partito coeso su questa linea. Non vi era possibilità di costruire
alcunché, perché gli appetiti stimolati - Unione Industriali, Autorità
portuale, costruttori (una volta si chiamavano palazzinari!) - non consentivano
e non consentono tutt'oggi, la possibilità di fare marcia indietro da parte del
Centrosinistra, che per tenere insieme la sua maggioranza distribuisce poltrone
molto redditizie sia in giunta (da sei a dieci assessori), che in Enti di
secondo grado (i CdA di ATA e Opere Sociali sono stati terreno solo della
maggioranza, eliminando la voce dell'opposizione).
D'altra parte è stata la
cambiale con la quale Ruggeri ebbe facile vittoria nel 2002. La nostra posizione
fu coerente: proporsi in alternativa. Dapprima con un tentativo, fallito
all'ultimo minuto con Uniti per Savona (sorta di lista civica che raccoglieva
anime critiche non troppo schierate politicamente), e poi con una nostra lista
che vide sostanzialmente confermati il nostro trend di voti, seppur con un
numero di seggi dimezzato (per effetto del sistema maggioritario e del premio di
maggioranza!).
Oggi i cittadini hanno
maggior consapevolezza della nostra linea politica e questo ci aiuta, assieme
alla nostra posizione limpida di opposizione in Provincia, ad essere credibili.
Siamo, credibilmente, dalla parte delle classi meno abbienti, dei lavoratori e
dei giovani, dalla parte di quegli anziani che vedono soffiarsi diritti e valore
delle loro pensioni".
A
livello nazionale il PRC ha cercato direttamente o indirettamente di influire in
qualche modo nelle politiche del Centrosinistra tentando di spostarne le
politiche economiche e sociali a sinistra. Tuttavia l'accordo sotto la sigla
Progressisti nel 1994, la "desistenza" nel 1996 e la "non
belligeranza" nel 2001 hanno in qualche modo fallito. Puoi darci una
valutazione su quanto accaduto? In poche parole hai condiviso quelle scelte?
Il PRC, in quanto
"rifondazione comunista", aveva un senso storico se evitava di
riprendere sentieri già battuti e già falliti dal vecchio Partito Comunista
Italiano liberandosi così dalla sindrome del complesso del governo. Questo è
"il problema dei problemi" nella storia del movimento operaio
comunista e di riflesso anche nella breve vicenda del Partito della Rifondazione
Comunista.
Il rapporto con il
Centrosinistra è da questo punto di vista emblematico. L'Ulivo, infatti, non ha
rappresentato semplicemente una somma di politiche sbagliate o una somma di
idealità o visioni della società del futuro diverse o addirittura contrapposte
a quelle di Rifondazione, il Centrosinistra, ed in particolare il suo centro
liberale, è materialmente legato, attraverso rapporti politici consolidati nel
tempo, alle grandi famiglie del capitale (in particolare la FIAT e il mondo
delle grandi banche del nord) ed è pertanto espressione degli interessi
materiali di queste forze. I Progressisti prima, il Centrosinistra dopo e
l'attuale riorganizzazione con la formazione del "partito riformista"
sono tutte tappe della ricostruzione di una rappresentanza politica di quei
poteri forti del cuore del capitale finanziario del paese orfano della vecchia
DC.
La soluzione dei
Progressisti nacque come primo tentativo di costruire questa rappresentanza.
Fallita questa esperienza dopo la parentesi del primo Governo Berlusconi (che è
un soggetto estraneo a quell'assetto di potere) il Centrosinistra vince le
elezioni e torna così a governare la borghesia italiana doc che purtroppo
riesce a coinvolgere l'insieme del movimento operaio e Rifondazione Comunista
che paga un prezzo altissimo, non solo dal punto di vista elettorale, ma
soprattutto dal punto di vista della sua compromissione politica.
Ancora oggi non riesco a
capire come si possa non provare scandalo di fronte al fatto che il PRC ha
votato il record delle privatizzazioni in Europa, ha votato il "pacchetto
Treu", ha votato in campi di detenzione per gli immigrati, ha votato la
rottamazione per la FIAT. Non ha semplicemente fatto alcune scelte in
contraddizione con l'ideale comunista, ha materialmente partecipato alle
peggiori politiche antioperaie e antipopolari nel cuore degli anni '90. Una
triste realtà imposta da quel quadro di coalizione che non poteva dispensare
altre politiche.
Il Centrosinistra a seguito
di queste scelte di "massacro sociale" perpetuate anche con D'Alema e
Amato finisce per erodere le sue basi sociali di appoggio e nelle elezioni del
2001 ritorna Berlusconi che continua il "lavoro sporco" iniziato dai
governi precedenti.
Oggi, e questa è cronaca,
il Presidente del Consiglio viene aspramente criticato perfino da quelle fette
di classi dominanti che avevano investito in lui. La Confindustria di D'Amato,
la Banca d'Italia di Fazio, la Compagnia delle Opere (legata all'UDC, ndr) e la
Confcommercio di Billé fanno marcia indietro a aprono al Centrosinistra che,
ancora una volta, si candida a ricomporre attorno a se, oltre alla FIAT e alle
grandi banche del nord, i poteri forti delusi dal berlusconismo.
In questa situazione si
inserisce l'azione di Rifondazione Comunista che non deve commettere l'errore
del biennio 96/98. Gli stessi autori di quel disastro oggi ci ripropongono la
stessa soluzione di allora peggiorata perché propongono l'ingresso al governo.
Credo che questa sarebbe la distruzione delle ragioni sociali e politiche del
partito.
In
pochi anni Rifondazione Comunista è così passata, nella seconda metà degli
anni novanta, da "cuore dell'opposizione", ad aiuto esterno del
Governo Prodi per arrivare, dopo una nuova ricollocazione all'opposizione, a
questa nuova stagione politica che ci vede, sulla spinta del cosiddetto
"Movimento dei movimenti", nuovamente al dialogo con le forze del
Centrosinistra nel tentativo di "cacciare" il governo delle destre.
Come giudichi questo percorso?
È stato un percorso che non
ha costruito/formato il partito che al contrario dovrebbe avere una prospettiva
chiara e seguire un percorso coerente. Viceversa con il continuo
"saliscendi" dall'opposizione al governo, dal governo all'opposizione
unito alle svolte di 180° ha provocato un effetto di smarrimento tra gli stessi
iscritti. Il famoso turn over, che molti compagni valutano solo dal punto di
vista organizzativo, dipende dal fatto che il partito non ha trasmesso una
ragione forte, un'identità, un senso complessivo di un progetto. In definitiva
il PRC attrae nuove forze, ma espelle ciò che attrae con questo atteggiamento.
Quali
sono state le battaglie a livello locale e a livello nazionale che più hanno
caratterizzato questi anni di iniziativa politica?
Principalmente quelle sul
terreno sociale e quelle contro la guerra. Sul terreno sociale abbiamo
esercitato, soprattutto dopo la nostra ricollocazione all'opposizione, una
azione di contrasto alle politiche liberiste. Abbiamo così combattuto l'azione
dei governi del Centrosinistra successivi a Prodi che portavano avanti politiche
contro le fasce più deboli della società, così come oggi ci opponiamo alle
scelte del Governo Berlusconi.
Se non ci fosse Rifondazione
Comunista non ci sarebbe la voce dell'opposizione sociale. È tuttavia mancata
(e manca) la proposta di una piattaforma di lotta dalla quale partire per
costruire un rapporto diverso nella società. Nonostante questi limiti è
comunque indubbio che Rifondazione Comunista sia un punto di riferimento
importante per un settore di avanguardia operaia e giovanile significativo e
rappresenti nei fatti il "cuore dell'opposizione" sul versante
sociale.
Discorso analogo è
rappresentato dal nostro impegno contro la guerra. Rifondazione è stata l'unica
forza in determinati momenti, penso ad esempio alla vicenda dei Balcani, o la
principale forze in altri momenti che si è opposta alle politiche di guerra
condotte prima dal Centrosinistra e poi dal Centrodestra.
Questa opposizione alla
guerra è stata essenzialmente un'opposizione pacifista in altri termini non ha
educato sufficientemente a vedere e a leggere le radici capitalistiche e
imperialistiche della guerra e quindi a legare l'opposizione alla guerra ad una
prospettiva anticapitalistica ed antimperialista. Tuttavia resta il fatto che il
PRC è stato contro le politiche di guerra proprio perché era all'opposizione.
Quali
saranno invece i temi e le problematiche con cui si dovrà scontrare il nostro
partito nei prossimi anni?
La nostra collocazione
all'opposizione ci ha permesso in questi anni di occuparci delle tematiche
sopraccitate (terreno sociale e guerra, ndr), ci ha in pratica salvato dal
rischio mortale di una corresponsabilità (diretta o indiretta) delle politiche
delle classi dominanti italiane. Ad esempio se non ci fosse stata Rifondazione
Comunista non ci sarebbe stato un solo corteo sulla questione del Kossovo.
Paradossalmente proprio
perché il partito ha svolto questa funzione cruciale dal versante
dell'opposizione si misura indirettamente la catastrofe politica di una sua
ricollocazione al governo. Basta leggere il "manifesto programmatico"
di Prodi, il presidente designato del possibile governo ulivista, che rivendica
apertamente il ruolo di potenza dell'Europa nei Balcani e rivendica
esplicitamente il diritto all'uso, seppur spiacevole e in ultima istanza, della
forza per risolvere le controversie internazionali. In quella situazione sarà
più difficile difendere le nostre posizioni.
A
proposito di futuro. Quali sono le prospettive per il nostro Partito? In molti
parlano di un progetto per la costruzione di una "Sinistra
Alternativa". Condividi questo progetto?
Il percorso nel rapporto con
il Centrosinistra ha subito un'accelerazione letteralmente impressionante e una
svolta brutale. Se all'esterno anche le posizioni più moderate dell'Ulivo
sorridono alla svolta di Bertinotti, in Rifondazione Comunista ci sono grossi
ostacoli perché il Partito non è convinto della svolta. Il Segretario
Nazionale ha la maggioranza del PRC, ma non lo ha convinto e anche membri
autorevolissimi della Segreteria Nazionale riconoscono esplicitamente che il
consenso a questa linea non c'è.
Se il PRC entra nel governo
il partito rischierebbe di essere distrutto, almeno io vedo questo rischio, non
reggerebbe infatti né sul versante delle relazioni interne né sul versante del
rapporto con quel settore di avanguardia che gravita intorno a lui. Andrebbe
verso una consumazione delle sue ragioni fondative ed è per questo che noi di
Progetto Comunista siamo impegnati in una battaglia mirata a salvare un partito
e a salvare un patrimonio di energie, di battaglia politica, di presenza che
tutti noi abbiamo sostenuto in questi anni.
Per fronteggiare questa
svolta ci stiamo muovendo su due versanti. All'interno del partito chiediamo,
grazie ad una raccolta di firme che ha coinvolto anche ampi settori della
maggioranza, un Congresso straordinario poiché questa decisione non ha
coinvolto il partito ed è stata sottratta ad una verifica democratica. Al tempo
stesso facciamo anche una battaglia esterna. Abbiamo infatti presentato
l'"Appello ai movimenti per la difesa della loro autonomia"
sottoscritto e sospinto non solo dai compagni della minoranza di Rifondazione.
Cerchiamo attraverso il
lavoro "interno" e il lavoro "esterno" di produrre il
massimo di efficacia e di impatto sul partito e sulla sua rotta. Credo sia
difficile in Italia accettare la scomparsa di un'opposizione di classe comunista
a fronte di un governo della borghesia italiana sia esso di Centrodestra sia
esso di Centrosinistra.
Per quanto riguarda il
progetto di Sinistra Alternativa si tratta di vedere che cosa si intende con
questo termine. Se si vuole creare un unico soggetto politico con i COBAS, i
Disobbedienti, altri pezzi del movimento, i verdi "alternativi"
insomma costituire una sorta di Izquierda Unida movimentista (la formazione che
in Spagna unisce comunisti e Verdi, ndr) oltre ad essere largamente
impraticabile, manca di basi politiche perché queste forze sono estremamente
eterogenee dal punto di vista della collocazione, della funzione,
dell'insediamento e quant'altro.
La Sinistra Alternativa si
può anche intendere come la ricomposizione di un ceto politico parlamentare con
tutte quelle forze che si muovono a sinistra della maggioranza DS. In questo
caso si avrebbe la Sinistra Alternativa con Cossutta, con Salvi, con il gruppo
Grandi della sinistra DS, con i Verdi, ma questa sarebbe la Sinistra Alternativa
con la sinistra del Centrosinistra e se la Sinistra Alternativa è con la
sinistra del Centrosinistra è ben poco alternativa.
L'unico senso, al di la
della forma, della Sinistra Alternativa è quello di costruire un terzo polo
della politica italiana né con il Centrodestra, né con il Centrosinistra.
Colgo l'occasione per
sottolineare un aspetto per me importante. Quando Progetto Comunista parla di
"Polo autonomo di classe" non dice semplicemente "il PRC deve
rimanere fuori dai governi dell'Ulivo", ma fa una proposta aperta a tutte
le forze della sinistra del Centrosinistra. È infatti evidente che nell'Ulivo
c'è una forte contraddizione. Da una parte il centro liberale dall'altra il
mondo della CGIL, dell'ARCI, della sinistra DS. Una contraddizione che
bisognerebbe approfondire (e non annullare andando al governo con il centro
liberale dell'Ulivo) per costruire insieme a quei settori di società un campo
di forze che ha la sua radice nelle classi subalterne di questo paese che si
candidi nel suo insieme ad una alternativa di classe anticapitalistica in
Italia.
C'è
qualcos'altro che vuoi aggiungere?
Come Progetto Comunista
abbiamo sempre detto che bisogna cacciare questo governo sull'onda di una
mobilitazione popolare e non grazie ad un semplice ricambio dall'alto di classi
dirigenti. Gli esempi di lotta in questi mesi non sono mancati. Dall'esperienza
della FIOM in Emilia alla rivolta di Scanzano con 20 giorni di blocchi
dell'intera Basilicata passando per la protesta degli autoferrotranvieri che
esce dalla gabbia degli scioperi puramente formali e simbolici. In questo quadro
dovrebbe intervenire il nostro Partito che invece preferisce cercare un accordo
di Governo con il Centrosinistra.
In molti dicono che
l'accordo è inevitabile visto il sistema elettorale, ma proprio sul sistema
elettorale c'è una grandissima confusione nel Partito. Noi siamo per un accordo
elettorale con il Centrosinistra, ma tramite un effettivo accordo tecnico che
rappresenterebbe non semplicemente un qualcosa di quantitativamente diverso, ma
disegnerebbe qualcosa di esattamente opposto all'accordo politico-programmatico
di governo.
Esiste la necessità di
cacciare Berlusconi sul versante elettorale-istituzionale per rispondere ad una
forte domanda che viene dal Paese? Bene. In Italia ci sono tra i 70 e gli 80
collegi uninominali in cui una presentazione congiunta di un candidato del PRC e
di uno dell'Ulivo porta alla vittoria della Casa delle Libertà e sono i collegi
su cui si gioca "la partita" tra i due schieramenti. Per questi
collegi Rifondazione Comunista dovrebbe proporre pubblicamente un accordo
tecnico chiedendo un meccanismo di desistenza concordato nei confronti di
esponenti del Centrosinistra che siano stati con noi protagonisti di battaglie
comuni (come sull'articolo 18 e sulla guerra).
Un accordo del genere
sarebbe possibile (nonché auspicabile) poiché con questa formula il PRC
manterrebbe la propria autonomia e contemporaneamente darebbe una risposta
chiara alla richiesta che viene dai cittadini.