INCONTRO DI BUENOS AIRES 

(maggio - giugno 2000)

INTRODUZIONE

La battaglia per una vera rifondazione comunista nel nostro paese, cioè per la costruzione di un partito comunista marxista rivoluzionario è inseparabile da quella per la rifondazione comunista sul piano internazionale. Senza la rifondazione di una Internazionale rivoluzionaria del proletariato o almeno di un suo nucleo costruttore, non vi è soluzione sul piano nazionale per l’avanguardia proletaria.

Decenni di dominio stalinista-riformista sul movimento operaio italiano hanno fatto dimenticare, a livello di massa o di avanguardia larga, la verità elementare che ogni sviluppo del movimento operaio rivoluzionario è sempre stato legato alla sua organizzazione in forma internazionale.

Così l’introduzione del Manifesto del partito comunista del 1848 affermava: “E’ ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze e che alla fiaba dello spettro del comunismo contrappongano un manifesto del partito. A tal fine comunisti delle più varie nazionalità si sono riuniti a Londra e hanno redatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in lingua inglese, francese, tedesca, italiana, fiamminga, danese.

Come si vede, la Lega dei comunisti nasce come partito internazionale. E sempre così sarà per il marxismo rivoluzionario, attraverso le fasi, in parte diverse, ma sempre “mondiali”, della I, II e III Internazionale.

La realtà globale (non da oggi) del dominio capitalistico, della divisione internazionale del lavoro, della lotta di classe e soprattutto la realtà della prospettiva alternativa, cioè il socialismo – il cui consolidamento come sistema sociale è possibile solo su scala internazionale – sono le basi oggettive che rendono ineludibile  il carattere internazionale del partito proletario.

Lo stalinismo ha ridotto drasticamente la comprensione di questa verità elementare: prima trasformando l’Internazionale comunista da strumento rivoluzionario in strumento controrivoluzionario e poi sciogliendola ufficialmente, per dar vita alle varie “vie nazionali” alla collaborazione di classe o, in situazioni particolari, ad una trasformazione sociale deformata da un dominio burocratico, che ha poi portato alla restaurazione del capitalismo. La Quarta Internazionale, nel contempo, restava troppo debole per modificare a livello di massa questa situazione, anche perché dagli anni cinquanta subiva un processo di degenerazione politica e divisione organizzativa.

Questa mancanza di reale internazionalismo comunista (che non ha niente a che vedere con il generico solidarismo con le lotte di altri paesi) si è particolarmente espresso in Italia a causa del disastro provocato dalla politica opportunista del gruppo dirigente di “Bandiera rossa” che, nel 1968, portò alla quasi scomparsa di ogni presenza “trotskista” nel nostro paese e diede spazio alla nascita di varie forze politiche che, in un modo o nell’altro, dimostravano la loro natura “centrista” (cioè intermediaria tra marxismo e riformismo) anche, e in maniera decisiva, nella loro mancanza di internazionalismo reale.

Quindi la battaglia per la rifondazione della Internazionale rivoluzionaria è un elemento essenziale e ineludibile di una battaglia politica comunista. Chi, quindi, pur ponendosi su prospettive rivoluzionarie, non lo comprende si situa ancora  metodologicamente e programmaticamente fuori dal marxismo. Di qui la centralità dell’azione della nostra Associazione marxista rivoluzionaria “Proposta” su questo terreno e la necessità che l’insieme di Progetto comunista, la minoranza marxista rivoluzionaria del Prc, la faccia propria.

Una battaglia concreta intorno alla prospettiva della rifondazione nei tempi più brevi possibili della Quarta Internazionale. Quarta perché il generoso tentativo, iniziato negli anni trenta, di costruirla come organizzazione di massa non si è mai trasformato in realtà e perché senza riferimento alle posizioni programmatiche del marxismo rivoluzionario storico non c’è possibilità di costruire qualcosa di vitale. Infatti, come sempre, è vero che “chi non ha un passato, non ha un futuro”.

Nell’ultima fase su questo terreno ci sono stati dei modesti ma reali passi avanti. Ciò sia sul terreno internazionale con una nuova riunione nel maggio-giugno scorsi a Buenos Aires delle organizzazioni che lottano per la rifondazione della Quarta Internazionale; sia in Italia con l’apertura del dibattito su questa questione all’interno del Partito della rifondazione comunista  alla fine del giugno scorso.

Presentiamo qui i documenti internazionali essenziali del processo politico in corso (per quanto riguarda il collegato dibattito nel Prc rimandiamo al documento presentato nella Direzione nazionale del 29 giugno e all’introduzione su di esso, pubblicati su questo stesso numero della rivista).

Il primo testo che pubblichiamo, Prospettive  rivoluzionarie alla fine del XX secolo, ha in realtà già due anni. E’ il documento sulla situazione politica internazionale approvato, nelle linee generali, alla II Conferenza dell’Opposizione trotskista internazionale (Oti), la piccola corrente internazionale organizzata di cui l’Amr Proposta è sezione italiana, e che a sua volta partecipa al Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale. La conferenza si è svolta nel settembre del 1998. Come detto il testo è stato approvato nelle linee generali rimandando ad un successivo momento l’inserimento definitivo di alcune modifiche alla bozza originaria.

Ciò è avvenuto nella riunione del Comitato di coordinamento internazionale dell’Oti del febbraio 2000, che ha licenziato il testo definitivo. Questo resta ovviamente legato, a partire dal titolo, al momento della stesura originaria. Con ciò non ha perso nulla, a nostro giudizio, del suo valore politico. Anzi, ci pare che esso contenga una compiuta e attuale analisi della situazione in cui ci troviamo sul piano internazionale, in questa fase storica, individuando compiutamente le origini della situazione attuale e le prospettive generali (1).

Al testo dell’Oti seguono i diversi documenti varati nella riunione di Buenos Aires di fine maggio- primi di giugno di quest’anno.

Si è trattato di una riunione, o meglio di una serie di riunioni ed attività molto intense e significative che si sono sviluppate per dieci giorni. E’ iniziata con i cinque giorni del congresso del Partido Obrero (PO) di Argentina, a cui i delegati delle varie organizzazioni internazionali sono intervenuti non con semplici saluti, ma esprimendo le proprie valutazioni, anche critiche, sui punti generali in discussione. Il congresso ha indicato un significativo sviluppo del PO (la maggiore delle organizzazioni che lottano per la rifondazione della  Quarta Internazionale), con circa il 40% di militanti in più rispetto a quello precedente e con un importante successo elettorale a Buenos Aires. Infatti alle elezioni dello scorso maggio, poche settimane prima del congresso, il PO (superando la soglia del 2%) è riuscito ad eleggere il suo dirigente Jorge Altamira all’assemblea legislativa della “provincia” (l’Argentina è uno stato federale diviso in 32 province, tra cui la città capitale di Buenos Aires, i cui “legislatori” hanno quindi poteri più ampi di quelli dei nostri consigli regionali). Questo risultato è stato ottenuto con una campagna politica esemplare, basata su un programma chiaro di obbiettivi transitori e sulla rivendicazione di un governo operaio e della prospettiva socialista come unica alternativa realistica alla crisi politica, economica e sociale dell’Argentina.

Dal 29 maggio al 2 di giugno si è invece svolta la quinta riunione per la rifondazione della Quarta Internazionale. Essa è stata interrotta il pomeriggio del 31 maggio, quando i PO e anche i delegati internazionali hanno partecipato – organizzando una combattiva colonna di quasi duemila persone – ad una grande manifestazione di massa contro il Fondo monetario internazionale. Essa è stata organizzata, con la proclamazione di uno sciopero generale, dal settore più avanzato del movimento sindacale argentino (la Cgt, diretta da Hugo Moyano) ed ha visto la partecipazione di circa centomila persone. Negli stessi giorni della conferenza si è svolto anche, in orario serale, un ciclo di conferenze, tenute nell’Università di Buenos Aires, intorno al tema L’internazionalismo  operaio agli inizi del ventunesimo secolo, con diversi argomenti specifici su cui sono intervenuti vari delegati alla riunione internazionale, altri dirigenti del PO e professori universitari sia argentini che stranieri di area marxista rivoluzionaria.

La riunione internazionale si è conclusa il 3 giugno con un meeting di quasi 3000 persone, in maggioranza giovani, che, per tutto un pomeriggio hanno seguito – in un clima di straordinario entusiasmo – gli interventi dei delegati dei vari partiti ed organizzazioni che avevano partecipato alla riunione dei giorni precedenti, nonché quello del segretario generale della Cgt regionale di San Lorenzo (una delle più importanti “camere del lavoro” industriali del paese, che è su posizioni classiste e lavora stabilmente con il PO e le correnti sindacali di opposizione di sinistra da esso dirette nei vari sindacati di categoria).

Alla riunione internazionale hanno partecipato oltre alle organizzazioni già aderenti al Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale (2) anche: la Lega operaia marxista di Turchia, che aveva già partecipato come osservatrice a precedenti riunioni e che ha deciso la sua adesione formale prima di questa, e il  Comitato di costruzione del partito operaio (Cile) che ha deciso la sua adesione nel corso della riunione stessa.

Erano inoltre presenti come osservatori: un compagno attivo nel gruppo Resistenza comunista di Romania; l’organizzazione greca Gruppo della sinistra sociale, scissione del Partito comunista, che lavora in fronte unico con i nostri compagni del Partito operaio rivoluzionario (Eek); due importanti dirigenti sindacali boliviani, anche loro alleati dei nostri compagni della Opposizione trotskista; la redazione della rivista trotskista brasiliana “Lucha de Clases”, che ha un’area di sostenitori prevalentemente in ambienti intellettuali; e, soprattutto, il Partito russo dei comunisti-organizzazione regionale di Leningrado. Quest’ultima organizzazione è l’espressione più di sinistra della crisi e dispersione dell’antico Partito comunista dell’Urss. Da questo sono derivate non solo le forze neoborghesi (che raggruppano la grande maggioranza della vecchia burocrazia dirigente dell’Urss) ed il partito nazional-stalinista di Zjuganov; ma anche formazioni minori più a sinistra: alcune “staliniste dure”, altre, come il Partito russo dei comunisti, che si rivendicano confusamente alla “migliore tradizione” del comunismo russo. La organizzazione di Leningrado – che ha il sostegno di militanti di altre regioni del paese ed è diretta da compagni già critici del regime negli anni settanta e ottanta (anche se ovviamente in maniera clandestina, dato che certo il Pcus non ammetteva alcun dissenso) – ha sciolto i nodi dell’ambiguità. Ha così pubblicato nel 1998 un articolo del compagno Abramson intitolato significativamente In difesa di Leone Trotsky, rivendicando, non acriticamente, l’esperienza dell’opposizione di sinistra antistalinista e l’analisi trotskiana de La rivoluzione tradita. Ciò ha provocato la rottura con i settori semistalinisti o confusi del vecchio partito. I compagni del Prc-organizzazione regionale di Leningrado hanno poi preso parte – nell’agosto del 1999 – alla costituzione di un raggruppamento tra le varie organizzazioni e gruppi locali che in Russia si richiamano al marxismo rivoluzionario. Questo raggruppamento ha preso il nome di Movimento per un partito operaio. Esso dispone già  di un deputato al parlamento nazionale. Si tratta di un giovane dirigente del sindacato indipendente Zaschita (Difesa), Oleg Shein, che è stato eletto nell’importante città operaia di Astrakhan, sul Volga, battendo sia il candidato del “centro-destra” sia (in una città e in una regione dominata dal partito di Zjuganov) il candidato del PC nazional stalinista. Nello scorso mese di luglio la segretaria dell’Oti (e alcuni altri dirigenti, in particolare sindacali, dell’Amr Proposta) hanno potuto avere un lungo, fraterno e politicamente positivo incontro con Shein nel corso di un suo breve viaggio in Europa occidentale organizzato dal Comitato di solidarietà con i lavoratori russi con base a Londra (3). Il sindacato Zashita è al centro di significative lotte dell’avanguardia proletaria in Russia, in particolare contro il progetto legislativo di un nuovo reazionario Codice del lavoro. Su questo il 17 maggio scorso ha realizzato manifestazioni e scioperi in molte città, che hanno visto una partecipazione totale di trecentomila persone. Una nuova giornata nazionale di lotta è prevista per dicembre prossimo. Va appena aggiunto che il ruolo del Partito comunista di Zjuganov, finta opposizione e reale sostegno di Putin, nella lotta contro questo codice è nullo.

Va infine segnalato che due organizzazioni non hanno potuto essere presenti alla riunione di Buenos Aires per motivi pratici. Si tratta del Partito di liberazione del Kurdistan (Rizgari) e del Comitato d’azione per una repubblica unita e laica in Palestina.

Il dibattito nella riunione internazionale è stato franco e aperto, con un confronto politico chiaro anche sulle questioni su cui si sono espresse posizioni differenti. Questo ha riguardato soprattutto l’analisi dell’attuale situazione complessiva della crisi del capitalismo e il livello di sviluppo dell’azione rivoluzionaria delle masse; inoltre la caratterizzazione precisa della natura del revisionismo del trotskismo, in particolare del cosiddetto Segretariato unificato della Quarta Internazionale (rappresentato in Italia da “Bandiera rossa”).

Questi argomenti hanno visto contrapporsi le valutazioni dell’Oti, rappresentato a Buenos Aires dalla nostra Amr Proposta e dalla Lega trotskista (TL) degli Stati Uniti, a quelle delle altre organizzazioni del Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale, in primo luogo il PO argentino e l’Eek di Grecia. Non si tratta di divergenze nuove. Ne abbiamo parlato su questa rivista riferendo delle precedenti riunioni internazionali del nostro movimento. Per quanto ci riguarda continuiamo a pensare che un’enfatizzazione, un po’ “catastrofistica” della crisi capitalistica e del livello di reazione rivoluzionaria delle masse sia oggettivamente sbagliata, metodologicamente scorretta rispetto all’analisi scientifica della realtà che è propria del marxismo e potenzialmente pericolosa rispetto ai compiti e allo sviluppo delle organizzazioni rivoluzionarie. La lotta per sottolineare – di fronte alle valutazioni disfattiste dominanti anche nell’avanguardia larga del movimento operaio – il sussistere di una crisi capitalistica che perdura e si approfondisce e l’esistenza di reazioni di massa al dominio capitalistico è una necessità. Ma non può essere sviluppata sulla base di semplificazioni, in fondo idealistiche.

Vero è che questo non si traduce per le organizzazioni che partecipano al nostro movimento (come avvenne in passato per altre organizzazioni del movimento operaio rivoluzionario) in una politica avventuristica, in un’autoesaltazione rispetto alle proprie possibilità immediate o nell’esaltazione acritica dei movimenti, obliterando il compito di lottare per elevare la loro coscienza in senso rivoluzionario. Ciò evidentemente relativizza le divergenze. Non meravigli la loro presenza. Sempre, nella storia reale (e non nelle favole astoriche), lo sviluppo del movimento marxista si è accompagnato a scontri politici tra rivoluzionari (basti pensare a Lenin e Rosa Luxemburg). Perché il marxismo non può che nutrirsi del confronto delle posizioni politiche, a condizione che esso avvenga all’interno del suo quadro programmatico di principio generale. In ciò vi sono naturalmente dei rischi, ma senza ciò un reale processo di raggruppamento rivoluzionario è impossibile. Il mondo è pieno di sette, che spesso esprimono politiche opportuniste, ma che sono pronte a mettersi d’accordo solo con se stesse o con chi accetta integralmente ogni virgola delle loro posizioni tattiche e valutazioni del momento. Non così si può rifondare la Quarta Internazionale, tanto più dopo decenni di confusione politica e divisioni organizzative. In questo senso le divergenze politiche – ripetiamolo: a condizione che si pongano in un quadro di riferimento programmatico generale comune – non sono un dramma. E’ importante affrontare compiutamente e senza estremizzazioni il dibattito e far sì che esso coinvolga l’insieme dei/lle militanti (che possono certo avere nell’ambito della stessa organizzazione nazionale posizioni diverse) e non solo i gruppi dirigenti.

Proprio per sviluppare nella chiarezza le posizioni divergenti emerse (accanto ovviamente ad altre comuni a tutti o ad alcune in cui ad es. il PO e l’Oti esprimevano gli stessi giudizi e l’Eek alcune sfumature particolari) si sono quindi contrapposti due documenti generali che qui riproduciamo. Il primo, più ampio, Per un piano d’azione per rifondare la Quarta Internazionale, è basato sul testo sulla situazione internazionale già approvato dal congresso del PO e, una volta inseriti alcuni emendamenti, è stato votato dalla maggioranza delle organizzazioni del Movimento per rifondazione della Quarta Internazionale. Il secondo, più breve, Rifondare la Quarta Internazionale, è stato elaborato dalla delegazione dell’Oti e riprende in sintesi, aggiornandole, le posizioni contenute nel documento Prospettive rivoluzionarie alla fine del ventesimo secolo della conferenza dell’Oti del 1998. Questo testo è stato votato dalle due delegazioni presenti appartenenti all’Oti stessa.

E’ importante sottolineare che i due documenti hanno la stessa conclusione: l’impegno a sviluppare un’azione congiunta, politica e organizzativa, di intervento nell’avanguardia per realizzare (presumibilmente nel 2002) una conferenza internazionale per delegati delle organizzazioni impegnate nella battaglia per la rifondazione della Quarta Internazionale. Questa prospettiva, approvata quindi all’unanimità, rappresenta un vero salto di qualità e sottolinea, al di là di ogni differenza, il quadro di avanzamento che la riunione di Buenos Aires ha rappresentato. Tale avanzamento si è espresso anche nel voto all’unanimità della risoluzione Piano di azione internazionale che materializza i primi passaggi politici della campagna verso la conferenza per delegati e crea una prima struttura di coordinamento internazionale del movimento.

L’unanimità si è poi espressa anche sulle altre tre risoluzioni votate. La prima denuncia il ruolo giocato dalla sezione brasiliana del Segretariato unificato (attraverso la sua presenza come tendenza nel Partito dei lavoratori – PT) nel governo dello stato del Rio Grande del Sud, in cui ha espresso, nel concreto, una politica riformista di collaborazione di classe. Come delegati dell’Oti abbiamo votato a favore della risoluzione, anche se, in linea generale, non condividiamo la caratterizzazione del Segretariato unificato come “controrivoluzionario”, propria della maggioranza delle organizzazioni del Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale. Infatti una cosa è respingere una caratterizzazione che ci pare schematica, esagerata e negativa per un approccio positivo ai militanti, anche critici, di questa organizzazione internazionale; un’altra sarebbe non vedere fin dove può portare l’opportunismo revisionista del Segretariato unificato. Questo è palese nel caso della sezione brasiliana (la tendenza Democrazia socialista del PT) – una delle più importanti del SU ma anche quella più spostata sulla sua destra. Tramite il suo inserimento nel partito di massa diretto da Lula e l’ingresso nei governi locali – in particolare nel Rio Grande del sud – essa si è trasformata qualitativamente scendendo sul terreno del riformismo. La risoluzione votata ha un’importanza internazionale nel momento in cui, anche in Italia, il SU, cioè “Bandiera rossa” – anche attraverso strutture come Attac – esalta, con una campagna di fantasticherie, abusando della mancanza di informazione e dell’ingenuità di molti/e compagni/e, l’esperienza del Rio Grande del Sud e della sua capitale Porto Alegre. In realtà la politica riformista del SU in quella regione è stata così lampante da provocare l’opposizione non solo dei nostri compagni del Partito della causa operaia (Pco) e delle altre formazioni a sinistra del PT, ma anche quella di tutta la sinistra interna del PT stesso e persino di alcuni settori che potremmo qualificare di “centro” di questo partito. Prova ne sia il fatto che nelle recenti primarie interne al PT per elezioni al comune di Porto Alegre il sindaco e vicesindaco uscenti (del SU o ad esso legati) sono stati sonoramente sconfitti da una candidatura alternativa sostenuta anche dalla sinistra del PT. Ciò proprio a causa della volontà della base del PT di rompere con la politica di collaborazione di classe della precedente amministrazione.

Segue un documento di solidarietà con le importanti lotte dei disoccupati argentini per il lavoro e il salario sociale, parte di un movimento più generale di cui è stato espressione anche lo sciopero generale e la manifestazione del 31 maggio di cui abbiamo parlato precedentemente. In particolare tali lotte, in cui il PO ha un ruolo centrale, si sono espresse con lunghi blocchi stradali come nel caso delle località di Tartagal e Mosconi nel nord argentino, e si sono scontrate con la repressione del governo di centro sinistra.

L’ultimo testo è un saluto ai combattivi minatori rumeni e all’attuale segretario della loro organizzazione Vaduva Vasile. I minatori rumeni furono protagonisti prima degli scioperi contro la politica di Ceausescu,  poi delle mobilitazioni contro le forze di destra e, successivamente, contro le misure “liberalizzatrici” del governo di centro-sinistra. Oggi soffrono dell’offensiva neoliberale e della volontà di vendetta del governo di centro-destra di Emil Costantinescu (ex membro del partito comunista e docente universitario di “materialismo dialettico” al tempo di Ceausescu). Le miniere sono state quasi tutte chiuse e i minatori sono disoccupati, pur mantenendo un legame tra loro attraverso l’organizzazione diretta da Vasile. Questo è stato il prodotto della sconfitta finale dell’eroica marcia su Bucarest del gennaio-febbraio 1999. A seguito di essa diversi minatori sono stati imprigionati, tra cui il loro precedente leader Miron Kuzma, condannato a una lunga pena detentiva. Benchè Kuzma sia una persona politicamente ambigua egli è stato imprigionato dal governo della destra borghese per il suo ruolo dirigente nella lotta dei minatori e, pertanto, va difeso dal proletariato internazionale. Segnaliamo che il compagno Vasile, che ha posizioni politiche diverse da quelle del suo predecessore, ha inviato un messaggio personale al meeting conclusivo della riunione internazionale di Buenos Aires, auspicando il successo per la nostra iniziativa.

Le indicazioni di azione che le risoluzioni di Buenos Aires indicavano non sono rimaste sulla carta. Il defatigante lavoro per mantenere gli impegni presi e avanzare nel percorso politico è proseguito. Un momento importante è stato rappresentato dalla partecipazione di un’ampia delegazione del nostro movimento – composta da compagni/e dell’Eek di Grecia, della nostra Amr e della sezione britannica dell’Oti – alle iniziative (controconvegno e tre manifestazioni) contro la riunione del Fondo monetario internazionale a Praga a fine settembre. In esse noi abbiamo portato le nostre analisi, le nostre proposte, i nostri slogan (in primo luogo gli “Stati Uniti Socialisti d’Europa” e la “Rifondazione della Quarta Internazionale”).

Contemporaneamente si mobilitavano, con manifestazioni di solidarietà con le iniziative di Praga, i nostri compagni nel mondo: in primo luogo in Argentina, in Brasile e, significativamente, a Kiev in Ucraina. Qui, in un altro dei paesi vittime della restaurazione capitalistica, l’Opposizione trotskista – organizzazione di giovani militanti rivoluzionari che ha recentemente aderito all’Oti, diventandone la prima sezione in uno degli ex Stati operai burocratizzati – ha organizzato insieme ad altri gruppi che si richiamano al trotskismo ed alla gioventù del Partito comunista ucraino una manifestazione di un migliaio di persone che ha marciato sulla sede locale del Fmi.

Così, come sempre non linearmente, con inevitabili contraddizioni e lentezze, va però avanzando il processo verso l’obiettivo centrale posto di fronte all’avanguardia comunista nel mondo: la rifondazione della Internazionale rivoluzionaria del proletariato, la Quarta Internazionale. Noi auspichiamo che anche la pubblicazione di questi testi sia utile per permettere all’insieme dei/lle militanti comunisti/e rivoluzionari/e del nostro Paese di prendere pienamente il loro posto in questa battaglia fondamentale.

Note

 

1)      Chi voglia ricevere l’insieme dei documenti della Conferenza internazionale dell’Oti, inclusa la versione emendata dei due testi programmatici di base della nostra tendenza internazionale (Le basi programmatiche dell’Oti e La crisi della Quarta Internazionale e i compiti dei trotskisti conseguenti) può richiederli alla redazione della nostra rivista al costo di lire 5.000 a copia (oppure allegando alla richiesta 4 francoboli di posta prioritaria da 1200 lire).

2)      Le organizzazioni che partecipavano a pieno titolo all’iniziativa per la rifondazione della Quarta sulla base dell’appello di Genova del 1997 (vedi “Proposta” n. 19) prima della riunione di Buenos Aires (che ha visto l’aggiungersi dei compagni turchi e cileni) erano le seguenti: Partito operaio (PO, Argentina); Partito operaio rivoluzionario (Eek, Grecia); Partito della causa operaia (Pco, Brasile); Opposizione trotskista (OT, Bolivia); Collettivo “En defensa del marxismo” (Spagna); Opposizione trotskista internazionale (Oti/Ito) con le sue sezioni in Italia (Amr Proposta), Stati Uniti (Lega trotskista, TL), Gran Bretagna, India, Germania, Danimarca, cui si è aggiunta, dopo la conferenza di Buenos Aires, la Opposizione trotskista di Ucraina.

3)      Il Comitato di solidarietà internazionale con i lavoratori in Russia ha aderenti in vari paesi e pubblica irregolarmente un bollettino intitolato “Iskra”. Il suo indirizzo è: ISWoR, Box R, 46 Denmark Hill, London SE5 8RZ, England. Dispone di un sito internet all’Url: http://www.onelist.com/Iskra. L’indirizzo e-mail è: SMye5@aol.com; oppure: iskra@egroups.com (tramite questi indirizzi è possibile iscriversi nel gruppo di discussione internazionale Iskra-list). Per visitare gli archivi del comitato l’indirizzo è: http://www.onelist.com/messages/iskra.


UN PIANO D’AZIONE PER RIFONDARE LA QUARTA INTERNAZIONALE

Documento finale dell’incontro di Buenos Aires (29 maggio - 1 giugno 2000)

 

Le organizzazioni riunite a Buenos Aires hanno tenuto la loro quinta riunione internazionale in una situazione che conferma le basi politiche sulle quali si era fondata nel 1997 la loro iniziativa di rifondare la Quarta internazionale per fornire all’avanguardia operaia mondiale un orientamento marxista rivoluzionario dinanzi all’aggravarsi della crisi mondiale.

La Quarta Internazionale, basata sul metodo delle rivendicazioni transitorie, è lo strumento indispensabile perché la classe operaia superi la sua crisi di direzione e imponga alla crisi in corso uno sbocco socialista, l’unico storicamente progressivo.

Nell’attuale crisi, si verifica la bancarotta della concezione “gradualista”, prevalente nei più diversi settori della sinistra di diversi paesi, che valutano le tendenze del capitalismo in maniera lineare, constatandone le tendenze reazionarie ma senza concepirle come un processo di contraddizioni sempre più esplosive – nelle parole di Marx: “Il capitalismo è la contraddizione in movimento” – escludendo, di conseguenza, trasformazioni di quantità in qualità, vale a dire, spezzando la connessione tra la decomposizione del capitalismo e la tendenza al sorgere di situazioni rivoluzionarie. La manifestazione sempre più aperta delle contraddizioni del capitalismo, nel quadro della loro crisi storica, obbliga i lavoratori ad adottare una posizione rivoluzionaria, vale a dire a prendere coscienza di questa tendenza a crisi politiche profonde, alla polarizzazione politica e ad un’azione storica eccezionale della classe operaia.

La Quarta Internazionale, in base al suo programma e in base alla sua tradizione, ha dimostrato di essere lo strumento storico più coerente e più cosciente per preparare, sviluppare e ottenere la vittoria della rivoluzione proletaria: rifondarla subito è il primo obbligo di ogni militante o organizzazione operaia cosciente dei doveri e dei compiti che scaturiscono dal presente periodo politico.

Portata della crisi mondiale

Il crollo generalizzato delle Borse dei principali paesi, negli ultimi tre mesi, ha messo in evidenza il limite raggiunto dal recupero della cosiddetta crisi asiatica, iniziata in Thailandia nel corso del  1997 e culminata con la svalutazione brasiliana dei primi mesi del 1999. In realtà la catena di svalutazioni monetarie provocata dalla crisi in Asia, è servita soltanto ad accentuare la concorrenza internazionale e a mettere chiaramente in risalto l’enorme quantità di capitale eccedente che, a livello mondiale, spinge verso il basso il saggio del profitto del capitale; e ciò nonostante la riduzione dei salari, l’allungamento e l’intensificazione della giornata lavorativa, la razionalizzazione dei metodi produttivi applicati nei principali settori industriali e nonostante le grandi fusioni capitaliste, vale a dire una notevole centralizzazione del capitale. Il principale motivo del fallimento delle cosiddette fusioni e acquisizioni di imprese, si deve all’essere state soprattutto operazioni volte al conseguimento di guadagni finanziari e all’aver toccato soltanto marginalmente l’industria, ogni volta che la maggior parte di essi ha coinvolto i grandi gruppi economici dei servizi e finanziari.

L’accentuarsi della concorrenza capitalista internazionale provocata dalle svalutazioni asiatiche, ha frustrato le aspettative che la razionalizzazione produttiva di cui è stato protagonista il capitalismo nordamericano potesse ristabilire in termini duraturi il livello interno del saggio di profitto, così come a livello internazionale. Ha messo a nudo, ancora una volta, il carattere mondiale della tendenza alla caduta del saggio di profitto capitalistico. Il deficit commerciale nordamericano raggiunge già la cifra di 400 miliardi di dollari l’anno e l’offerta in eccedenza di merci straniere ha cominciato a intaccare la redditività dei grandi colossi degli Stati Uniti. La pretesa che gli Stati Uniti possano assorbire, sotto forma di importazioni, l’insieme dell’offerta mondiale di merci in eccedenza, il che si presume trasformerebbe il deficit commerciale nordamericano in un “fattore di stabilizzazione” dell’economia mondiale, si basa su un’illusione: che il dollaro sia un elemento di riferimento monetario universale e non, com’è effettivamente, uno strumento di lotta della borghesia nordamericana contro i suoi rivali capitalisti. La necessità di proteggere il dollaro mediante l’aumento dei tassi di interesse obbliga la borghesia nordamericana a “spararsi a un piede”: l’aumento dei tassi aumenta, nella stessa proporzione, l’ammontare del debito pubblico nordamericano, il più grande su scala internazionale.

Questa situazione fissa un limite alla possibilità di proseguire la gigantesca speculazione a Wall Street, alimentata da una politica di emissione monetaria, dal 6% all’8% annuo in un quadro di prezzi stabili, e un tasso di interesse ridotto. Ma senza questa speculazione, il mercato nordamericano si restringerebbe come il cuoio esposto alle intemperie, eliminando quello che al momento attuale è il principale mercato per il commercio internazionale. Al tempo stesso, dato che una gran parte di questa speculazione è stata finanziata dai capitali oziosi dell’Asia e dell’Europa, che sono la contropartita del deficit nordamericano, l’accentuarsi di questo deficit provocherebbe una fuga di capitali dagli Stati Uniti e la svalutazione del dollaro – il che a sua volta scatenerebbe una grande deflazione mondiale e la possibilità di uno squilibrio totale del mercato mondiale, dal momento che la moneta nordamericana si è trasformata nell’unica misura (fittizia) di valore del mercato mondiale. Questo perché a partire dalla “crisi del dollaro” del 1971, il sistema monetario internazionale è privo di un’ancora salda e si basa sulla capacità del governo nordamericano di imporre l’“ordine” a livello mondiale, in un intreccio fra economia e politica.

Le perdite miliardarie subite dai principali fondi speculativi, quali  il Quantum di Soros o il Tiger Management (il secondo per importanza negli Stati Uniti), costituiscono appena un anticipo della prospettiva di crollo della presente crisi. Gli speculatori internazionali hanno cominciato a riallineare le operazioni alla caduta a Wall Street, il che non smetterà di intaccare la valutazione del dollaro, perché ciò comporta un’uscita di capitali. Ma anche a prescindere da ciò, avrà un impatto profondo sulla società nordamericana, i cui consumi e investimenti sono fortemente condizionati dai guadagni di Borsa, fino al punto che le cosiddette imprese di Internet non si finanziano con capitale proprio bensì mediante l’emissione di azioni; al punto che le fusioni si effettuano, non col danaro, bensì mediante lo scambio di azioni; e al punto che l’indebitamento delle famiglie si avvicina al 150% delle loro entrate e un 50% di esse fanno investimenti in fondi di Borsa. Coloro che avevano seppellito, per l’ennesima volta, la legge del valore a partire dai miracoli della “new economy”, oggi osservano sgomenti i crolli borsistici del 90% delle imprese tecnologiche e l’inizio di fallimenti a catena. Il valore delle imprese non è determinato dalle cosiddette “aspettative” o da preferenze soggettive, bensì, in ultima istanza, dalla capitalizzazione dei profitti al tasso medio del mercato.

La tendenza al rialzo del tasso di interesse statunitense per contenere la bolla speculativa – che è già aumentato del 50% rispetto al livello dell’estate del 1998, quando era stato ridotto per salvare il fondo Ltcm (Long term capital management) e la decina di banche che lo sostenevano – avrà un effetto depressivo enorme, non soltanto a livello degli Stati Uniti ma specialmente nei paesi periferici che fanno i conti con un debito estero di proporzioni confiscatorie.

Il capitalismo, preso nel suo insieme, ha raggiunto da tempo un punto di maturità tale che il valore, ovvero la produzione per il mercato e per il profitto, si è trasformato in una base quanto mai ristretta per lo sviluppo delle forze produttive. Questa è la ragione storica della mancanza di vie d’uscita per la crisi che si trascina ormai da più di un quarto di secolo.

L’Asia

La prospettiva della crisi mondiale ha il suo specchio nel Giappone, che è entrato nel suo dodicesimo anno di depressione, e tutto ciò malgrado ci sia stata una iniezione di fondi statali nell’economia dell’ordine di due bilioni di dollari, e malgrado un tasso di interesse negativo. L’alternativa a questa depressione avrebbe dovuto essere che il Giappone consentisse ai suoi monopoli capitalisti di fare fallimento su grande scala per eliminare in tal modo dal mercato il capitale eccedente e ristabilire il saggio di profitto e l’incentivo agli investimenti; ma questo avrebbe semplicemente anticipato la depressione mondiale. Ora il Giappone aggiunge alla sua continua sovraccumulazione di capitale un virtuale fallimento finanziario dello Stato, che accumula un debito di 10 miliardi di dollari contro un prodotto interno di 4 miliardi. Se, per salvare lo Stato, il Giappone facesse rientrare in patria il suo capitale investito all’estero, con tale mossa potrebbe soltanto accelerare il crollo finanziario negli Stati Uniti e in Europa. Il Giappone si è visto obbligato ad aprire il suo stesso mercato, per la pressione in particolar modo degli Stati Uniti, e a consentire una messa in disparte di alcuni dei propri monopoli a favore di quelli nordamericani, in particolare nel settore finanziario e dei servizi, il che rappresenta un duro colpo  alle sue aspettative di giocare un ruolo decisivo nella concorrenza mondiale. Al tempo stesso, tuttavia, la sua recente decisione di creare un sistema di protezione finanziario asiatico, con l’appoggio della Corea del Sud e della Cina in particolare, dimostra che la crisi accentua la rivalità internazionale tra Stati Uniti e Giappone, e che  tende ad accentuarsi con essa l’instabilità di tutta l’Asia.

Nessuno dei paesi colpiti dalla crisi del 1997-98 ha ripreso la sua posizione precedente. La Thailandia, l’Indonesia e le Filippine hanno avuto un peggioramento e sono sull’orlo di un nuovo terremoto economico; la Corea del Sud ha visto cadere l’autonomia dei suoi colossi multinazionali, in special modo i poderosi Hyundai e Daewoo; in Cina si prospetta un fallimento generalizzato delle imprese statali e un’ondata di lotte gigantesche contro i licenziamenti che ne risulteranno. 

La crisi dell’Unione Europea

Uno dei sintomi più poderosi della tendenza alla disgregazione del capitalismo mondiale è rappresentato dalla continua svalutazione dell’Euro, benché esso fosse stato concepito proprio per equilibrare il sistema monetario internazionale, ovvero per dare al sistema monetario internazionale una duplice ancora, e per ampliare la base finanziaria, economica e politica della speculazione capitalista. Questa svalutazione dell’Euro riflette la perdita di competitività della borghesia europea dinanzi alla forte razionalizzazione economica degli Stati Uniti, il che accentua lo squilibrio dell’Unione Europea, a causa dei legami diseguali che mantengono i suoi paesi con il mercato mondiale.

Lo squilibrio finanziario e monetario internazionale sta facendo disastri in Inghilterra, dove la sopravalutazione della sterlina, sottoposta allo stesso processo speculativo del dollaro, ha scatenato un’ondata di fallimenti industriali delle principali compagnie internazionali. La notizia che la Borsa di Francoforte è sul punto di assorbire la Borsa di Londra, il che annuncia la perdita dell’ultimo bastione della borghesia inglese, anticipa che il pendolo dell’Inghilterra fra Stati Uniti ed Europa, prima di indirizzarsi da una parte o dall’altra, pone la possibilità di una grande crisi nazionale.

Per colmo di sventura, la borghesia europea teme, più che una perdita di valore della propria moneta, una svalutazione del dollaro, che sarebbe naturalmente seguita da una crisi finanziaria. Questa alternativa farebbe immediatamente saltare per aria la maggior parte dei fragili governi di centrosinistra e porrebbe all’ordine del giorno la formazione di governi di unità nazionale con dentro anche gli Haider. In Europa, il forte indebolimento dalla destra negli ultimi anni, compresi i suoi settori fascistegianti, pone in alcuni paesi la possibilità di un’accentuazione della tendenza al fronte popolare, che questa volta potrà contare sull’appoggio degli pseudo-trotskisti che sono passati nel campo democratico.

Questo squilibrio si accentua, a livello politico, con il veto all’integrazione dei paesi dell’Est, col che si chiude l’unico sbocco offerto dalla stessa Unione Europea. La restaurazione capitalistica nei paesi dell’Europa orientale si trova in questo momento di fronte alla sua crisi maggiore, dal momento che per avanzare verso l’integrazione nel mercato internazionale essi dovranno cedere tutte le proprie strutture, compresa la propria limitata autonomia politica, subire uno svuotamento economico e, nel caso di alcuni di essi (come la Polonia), fronteggiare l’espropriazione massiccia della propria agricoltura.

La decisione di formare un direttorio politico europeo capeggiato dalla Germania e dalla Francia, ma in definitiva dalla prima, rivela che l’Unione Europea non è gli Stati Uniti d’Europa; la UE è un direttorio delle borghesie imperialiste più forti del continente. La crisi mondiale ha nuovamente messo in evidenza il carattere utopico degli Stati Uniti capitalisti d’Europa, così come il loro carattere reazionario. L’Unione Europea è sinonimo di guerre, di reazione politica, di oppressione e confisca dei paesi arretrati.

La crisi della UE conferma ciò che era stato indicato da tempo dai marxisti: l’Unione Europea non sarebbe stata il terreno per nuove conquiste democratiche. Così viene a galla tutta la ciarlataneria di sinistra, tanto di origine staliniana quanto  pseudo-trotskista, dell’“Europa dei diritti democratici”. La decisione di formare un esercito dell’Unione Europea, forte di 50-60 mila soldati, adottata nei vertici europei di Helsinki (Finlandia) e Sintra (Portogallo), evidenza le crescenti velleità militari degli imperialisti europei. La formazione di un esercito europeo indipendente dalla Nato, tuttavia, per il momento è esclusa. Per questo, l’imperialismo statunitense, nonostante le sue contraddizioni con l’imperialismo europeo, non frappone ostacoli alla creazione di questa forza, benché questa sia un’espressione di una potenziale crisi militare interimperialistica. L’intervento militare europeo in aree esterne alla UE assume nel quadro della Nato un carattere complementare e subordinato all’intervento statunitense. Questo è avvenuto nel caso dell’intervento delle truppe italiane contro la rivoluzione albanese del 1997. L’Unione Europea è la Nato nei Balcani e la piattaforma per nuove guerre.

Questa è una conclusione di enorme portata che coloro che lottano per la Quarta Internazionale debbono saper mostrare ai lavoratori europei. Dinanzi all’Unione Europea del grande capitale, bellicista, oppressiva e sfruttatrice, sosteniamo la distruzione dell’Unione Europea, dei suoi stati e istituzioni e sosteniamo l’opposizione socialista all’Europa della Nato e alla borghesia imperialista. Ci impegniamo a realizzare una campagna politica europea per promuovere il programma della lotta per gli Stati uniti socialisti d’Europa, dall’Atlantico alla Russia.

Africa: la putrefazione capitalista in bella mostra

La catastrofe dell’Africa è chiaramente un’espressione acuta ed estrema della crisi mondiale. E’ quanto dimostra il crollo delle monete del Sudafrica e dello Zimbabwe, due economie considerate moderne nei loro settori di esportazione. Ma lo stesso vale per tutto il continente a Sud del Sahara e per l’Etiopia e l’Eritrea, le cui guerre civili e internazionali non sono altro che il risultato di una spietata lotta internazionale per l’appropriazione di minerali e materie prime, determinata dalla necessità di controllare un mercato mondiale saturo, e dal timore di cadute di prezzi che possono provocar la rovina di potentissimi colossi internazionali (Di Beer, la Anglo).

Si è prodotta in Africa una vera e propria polverizzazione dei fittizi apparati statali, il che a sua volta ha provocato una vera e propria calamità sociale fatta di fame e di malattie. La borghesia mondiale dovrà mettere in conto l’arretratezza dell’Africa, di cui essa è la principale responsabile, e che altro non è se non una manifestazione spietata della sua  stessa crisi mondiale e delle sue stesse tendenze distruttive. Il nazionalismo nero di contenuto borghese o piccolo borghese, come si può vedere in base alla condotta di tutti i suoi leader, da Mandela a Kabila, è stato spazzato via dalla crisi mondiale; soltanto un’ampia alleanza indipendente del proletariato del Sudafrica, della Nigeria e dell’Angola, assieme a quello molto minoritario di altri paesi e alle masse di diseredati, potrà dar luogo a  una rinascita africana, nel quadro di una mobilitazione socialista a livello mondiale.

L’America Latina

Un vero e proprio processo di rovina si sta verificando nei paesi periferici. In America Latina, i cosiddetti aggiustamenti virtuosi sono semplicemente falliti; menzioniamo la Bolivia e il Perù, cui si aggiungono l’Equador, la Colombia, il Paraguay, l’Argentina e, contro ogni apparenza, il Brasile,  il cui debito estero come percentuale del prodotto lordo è cresciuto ancora di più come conseguenza della svalutazione.

L’incremento del tasso di interesse statunitense ha liquidato per sempre la possibilità di una politica di aggiustamento senza inflazione in America Latina. Nonostante l’enorme aumento nel livello di sfruttamento delle masse latinoamericane reso possibile da tali “aggiustamenti”, le loro economie e le loro borghesie non sono riusciti a trovare un proprio spazio nel mercato mondiale. Sono stati essenzialmente un negoziato fra i grandi colossi internazionali dei servizi. Vale a dire che sono stati un meccanismo limitato per arrestare la tendenza al crollo del grande capitale internazionale nel suo insieme. La svalutazione brasiliana e l’adozione del dollaro in Equador sono stati la manifestazione più acuta di questa crisi d’insieme del cosiddetto modello neoliberale. Ora stanno venendo al pettine i nodi della crisi di queste politiche economiche in Argentina, in Colombia e in Perù, e nei tre casi ciò si combina con delle crisi politiche in diversi stadi di sviluppo.

Presa nel suo insieme, la crisi ha compromesso l’esperienza del Mercosur, che le borghesie latinoamericane vedevano come una prospettiva di sviluppo continentale. Un settore crescente della borghesia statunitense vuole avere una nuova possibilità di investimenti e di speculazioni, trasformando il Mercosur in un’appendice monetaria degli Stati Uniti, e per questo motivo spinge per l’adozione di una moneta unica del Mercosur in un regime di convertibilità. Un’espressione della pressione in questa direzione è la richiesta dell’adozione del dollaro da parte dell’economia argentina. Ma un’immediata adozione del dollaro in Argentina, non appena parta una politica deflazionistica negli Stati Uniti e nel bel mezzo di una forte recessione interna, potrebbe portare ad una crisi con caratteri rivoluzionari. Sarebbe una variante, su una scala molto più grande, di quel che è avvenuto in Equador all’inizio del 2000.

La crisi politica latinoamericana si aggrava seguendo il ritmo della decomposizione economica e delle grandi mobilitazioni di massa. L’insurrezione indigena in Equador, la “guerra dell’acqua” in Bolivia (nel quadro di un processo di agitazione dei contadini ed operai e della truppa della polizia e dell’esercito), le occupazioni di edifici pubblici e di latifondi da parte del MST (movimento dei contadini senza terra) brasiliano, gli scioperi studenteschi in Messico, le mobilitazioni contadine in Paraguai, la crisi politica e le mobilitazioni contro la frode elettorale in Perù, l’aperta decomposizione dello Stato colombiano e il movimento dei picchetti stradali in Argentina; tutto questo fa parte di un unico processo continentale. In Colombia, i “negoziati di pace” tra un governo che affonda (non controlla il parlamento, né l’esercito, né tanto meno i paramilitari) e la guerriglia sono un miraggio che nasconde la preparazione accelerata di un intervento militare nordamericano. Ma l’imperialismo non è più in grado, come in passato, di poter poggiare questo intervento armato su dittature militari come quelle di Onganía o di Geisel. Il quadro di libertà democratiche e di organizzazione delle masse latinoamericane pone dinanzi all’imperialismo la prospettiva che un suo intervento in Colombia provochi in America Latina crisi politiche generalizzate e insurrezioni popolari.

L’esperienza della democratizzazione in America Latina negli ultimi vent’anni si è svolta nel quadro di un arretramento economico senza precedenti, il che ha consumato tutto il capitale politico che restava ai movimenti nazionalisti e di sinistra, e ha consumato con una rapidità impressionante i tentativi piccolo borghesi di colmare il vuoto. L’esperienza di Chávez, in Venezuela, il quale per poter difendere il bilancio statale e pagare il debito estero ha ridotto la produzione di petrolio, licenziato migliaia di operai e smantellato un pezzo del capitale statale esistente; le esperienze di sinistra del Frente Amplio a Montevideo, o del PT a Porto Alegre, o del Fmln in Salvador, e in generale di tutti movimenti che fanno parte del Forum di San Paolo, che si distinguono per il loro servilismo nei riguardi del grande capitale e per la loro assoluta incapacità di soddisfare le più elementari rivendicazioni delle masse; più ancora quella del Frepaso in Argentina; tutte queste esperienze si vanno consumando, sia pure con ritmi diversi, per l’impatto della crisi mondiale. Al tempo stesso, tutte queste esperienze portano alla stessa conclusione: nessuna tendenza borghese o piccolo borghese potrà offrire una via d’uscita alla crisi storica in corso e, di conseguenza, potrà frenare la tendenza a una crisi rivoluzionaria generalizzata, nella quale potrebbe soltanto fare la parte dei pompiere controrivoluzionario, che è l’unica funzione storica per essa possibile, vale a dire la sua funzione antistorica inevitabile.

Dinanzi alla minaccia di un’aggressione yankee contro la Colombia, alla disintegrazione economica del continente e alle lotte di massa che vanno dal Río Grande alla Terra del Fuoco, facciamo appello a una campagna di mobilitazione continentale contro l’intervento imperialista. Per questo, portiamo avanti il programma seguente: confisca dei latifondisti e consegna della terra ai contadini; espulsione dell’imperialismo; espropriazione delle banche; no al pagamento del debito estero; controllo operaio della produzione; per gli Stati uniti socialisti dell’America Latina. Per portare questo programma alla vittoria è necessario superare i tentativi di centrosinistra e movimentisti attraverso la costruzione di partiti rivoluzionari e della Quarta internazionale.

Un’espressione indiretta della portata della crisi è l’apparire nei paesi imperialisti di una corrente che vorrebbe limitare gli aspetti più estremi e barbari mediante la regolamentazione del capitale attraverso la leva fiscale. Pensare di poter contrastare la crisi capitalistica con una politica di “redistribuzione della ricchezza”, in particolare mediante l’applicazione della cosiddetta “Tobin tax” (un prelievo dell’1% sui movimenti internazionali di capitale, con cui alimentare un “fondo per eliminare la povertà mondiale”), non è soltanto un’utopia, è una posizione reazionaria. Alla base di questo movimento, che ha preso il nome di Attac, c’è l’idea che si possa correggere con degli strumenti fiscali la tendenza del capitale al parassitismo e alla putrefazione. La posizione di Attac nega la natura di classe dello Stato e dell’insieme degli strumenti dei quali esso dispone, compresi quelli fiscali. Ignora inoltre la natura politico-economica dei bilanci statali e dello Stato e il suo metabolismo politico-economico con la società capitalista sulla quale si regge. Non vede come in definitiva il sistema fiscale, in tutte le sue varianti, sia uno strumento del capitale per proteggere l’accumulazione del capitale e per arraffare plusvalore con strumenti extraeconomici, ma anche uno strumento di guerra e di oppressione. Rivendica il capitale “produttivo”, fingendo di ignorare che è fratello siamese del capitale “speculativo” e che ambedue sono un prodotto del plusvalore che viene strappato all’insieme dei lavoratori, che ambedue hanno il medesimo interesse al supersfruttamento.

Sotto il dominio del capitale, il sistema fiscale (diretto o indiretto) è sempre, in ultima istanza, un sistema di espropriazione dei lavoratori e dei piccoli produttori a favore del grande capitale. Inoltre una Tobin Tax implica un rafforzamento del potere statale della borghesia contro la classe operaia e, al tempo stesso, un aumento del livello delle tasse nei confronti dei produttori diretti.

Contro questa utopia reazionaria, difendiamo la rivendicazione transitoria del programma operaio, espressa nel Manifesto comunista e nel Programma di transizione: imposizione progressiva ed espropriazione del grande capitale quali misure transitorie del governo operaio nella lotta per passare dal capitalismo al socialismo, quale che sia la sua origine (il capitale fittizio non è altro che l’ipertrofia del capitale finanziario, fusione del capitale bancario con quello industriale).

Per praticare questo programma è necessario rifondare la Quarta internazionale.

La soluzione del capitale

La lunga durata della crisi economica capitalista, che con esplosioni sempre più intense, si trascina dall’inizio degli anni settanta, mentre mostra i limiti della borghesia mondiale nel trovare una soluzione, al tempo stesso la traccia a grandi linee. Si tratta di giungere ad una completa ristrutturazione della divisione del lavoro su scala internazionale, sotto la leadership di un direttorio dei grandi capitali, egemonizzato dagli Stati Uniti. Ma questo processo di ristrutturazione comporta, proprio per riuscire ad essere una soluzione, una distruzione massiccia dei capitali eccedenti, la riappropriazione della massa dei profitti mondiali da parte dei monopoli restanti, un aumento senza precedenti dello sfruttamento della forza-lavoro mondiale e naturalmente una internazionalizzazione del mercato su una scala colossale. Questo significa non solo il totale assorbimento del vecchio spazio anticapitalista rappresentato dai territori che furono dell’Urss, dalla Cina e dai paesi ad esse collegati; non solo la liquidazione dei restanti margini di autonomia della periferia; ma anche e soprattutto una modifica radicale del rapporto fra il capitale e la forza-lavoro nelle stesse metropoli. Ovvero un periodo di crisi politiche eccezionali e di grandi lotte.

Ciò che la crisi in corso mostra con chiarezza (com’era avvenuto anche nel corso delle principali crisi mondiali precedenti), è il fatto che la riappropriazione degli ex Stati operai e anche la colonizzazione completa dei grandi spazi semi indipendenti (Brasile, India, Sudafrica, Indonesia, Australasia), non si può attuare senza una ristrutturazione preliminare nei rapporti fra Stati Uniti, Europa e Giappone e senza l’eliminazione nelle stesse metropoli delle conquiste sociali storiche degli operai e delle loro libertà democratiche e di organizzazione. E’ significativo che l’ampliamento dell’UE ad Est si veda adesso condizionato dalla necessità previa di modificare politicamente la stessa UE.

La guerra della Nato contro gli Balcani è stata molto istruttiva in questo senso, perché l’occupazione militare è oggi in una grave impasse sotto ogni aspetto; da una parte, per via delle contraddizioni tra Europa e Stati Uniti, che hanno interessi ed obiettivi diversi, compreso per ciò che riguarda l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia centrale; dall’altra, per via della contraddizione tra gli strumenti politici da mettere in opera per conseguire tali obiettivi e i vincoli politici democratici, costituzionali e di organizzazione popolare vigenti negli Stati Uniti e nei paesi europei. Il rifiuto da parte del Pentagono di impegnare le truppe di terra nelle zone in guerra; l’opposizione in Europa e all’interno degli Stati Uniti al progetto di difesa antimissilistica propugnata dal Pentagono; la nuova rivalità tra Europa e Stati Uniti nelle questioni della difesa; e in senso più generale l’opposizione che si è sviluppata in relazione alla crisi economica mondiale, i crolli borsistici e le crisi monetarie; tutto questo traccia un limite a qualunque tentativo di ricolonizzazione mondiale della vecchia e della nuova periferia delle metropoli capitalistiche nel quadro dei rapporti politici esistenti. Lo prova l’incapacità dell’imperialismo di mettere in piedi un protettorato in Kosovo.

Non esiste qualcosa come un fronte unico controrivoluzionario mondiale. La stessa cosa vale per le fantasie geopolitiche di un tentativo di conquista l’Asia centrale da parte dell’imperialismo yankee o di circondare con un anello politico militare la Russia e la Cina; e anche per la favola di creare una Nato per la quale le funzioni delle antiche legioni romane sarebbero effettuate nel prossimo futuro da eserciti nazionali provvisti di armamenti standardizzati e interconnessi da un centro operativo basato sui satelliti di comunicazione. L’imperialismo mondiale non ha una capacità di iniziativa maggiore di quella a cui lo obbliga lo sviluppo della crisi mondiale, lo condiziona il livello della lotta di classe e dell’organizzazione delle masse e gli permette la crisi di direzione della classe operaia internazionale.

La guerra dei Balcani è stata, pure, un terreno di delimitazione politica essenziale nel campo della sinistra e implica offre conclusioni della massima importanza per la lotta per la Quarta Internazionale. Mentre alcuni, come il Segretariato unificato (SU), si sono posizionati durante la guerra nel campo del pacifismo imperialista (rivendicando una “soluzione politica” promossa dall’Unione europea!), coloro che si battono per la rifondazione della Internazionale operaia sono stati alla testa per l’espulsione dell’imperialismo dai Balcani e per l’unità socialista dei suoi popoli. Siamo stati l’unica corrente internazionale capace di produrre un raggruppamento internazionalista e rivoluzionario: la Conferenza socialista balcanica contro la Nato, che ha dato vita alla nascita del Centro Christian Rakovsky di cui fanno parte partiti e organizzazioni di differenti Paesi balcanici e della Russia. Questa conferenza ha votato un programma rivoluzionario e internazionalista contro il dissanguamento dei Balcani: fuori la Nato, per il rovesciamento rivoluzionario delle camarille restaurazionistiche, autodeterminazione dei popoli, per la Federazione socialista dei Balcani.

Russia: l’impasse della restaurazione capitalistica

In questa tappa della crisi mondiale l’imperialismo si avvale dei servizi delle burocrazie riconvertite al capitalismo per procedere nella restaurazione capitalistica negli ex Stati operai in dissoluzione e nelle varie crisi internazionali. La Nato ha sostenuto il regime di Eltsin che si è unito al fronte imperialista per ottenere la capitolazione di Milosevic; ha del pari appoggiato Putin nello strangolamento delle aspirazioni nazionali cecene, dal momento che il regime restaurazionistico ha dimostrato la sua vocazione normalizzatrice nella convulsa regione del Caucaso.

La guerra di Cecenia mette in evidenze le tendenze alla disgregazione dello Stato russo, la qual cosa altro non è che una delle espressioni dell’impantanamento del processo di restaurazione capitalistica in Russia nel suo insieme. Il regime restaurazionistico, ora Putin come in precedenza Eltsin, è stato incapace di rimpiazzare la centralizzazione burocratico-militare della “periferia” russa propria dello stalinismo con l’attrazione del “progresso” che, si supponeva, sarebbe arrivato con la restaurazione capitalistica. Al contrario, le regioni pretendono di separarsi per non “affondare” esse stesse insieme con la Russia. La Cecenia, come altre regioni, è rimasta unita alla Russia volontariamente soltanto quando la Rivoluzione d’Ottobre – dopo aver rimosso con metodi rivoluzionari la centralizzazione burocratico-militare zarista – offrì ai popoli del Caucaso  una associazione libera e democratica e la prospettiva dello sviluppo culturale e sociale nel quadro di una economia pianificata.

La restaurazione capitalistica non può offrire né l’una né l’altra cosa. Per questo Putin lancia una guerra di oppressione nazionale contro la nazione cecena con l’appoggio non solo dell’oligarchia russa ma anche del capitale finanziario internazionale. Questo spiega il rifinanziamento del debito russo da parte del Club di Londra, che ha significato per l’oligarchia russa il condono da parte delle principali banche occidentali di debiti per decine di miliardi di dollari. E per questo, inoltre, è stato firmato un accordo di principio per la firma di un “patto di stabilità” nel Caucaso sotto l’egida dell’Ocse che è una replica del “patto di stabilità” per i Balcani; vale a dire, l’instaurazione dell’economia di mercato al costo che sarà necessario.

Le aspirazioni nazionali dei popoli del Caucaso non avranno modo di realizzarsi se non mediante una lotta comune contro gli imperialismi occidentali e contro la burocrazia e l’oligarchia russe. Per il proletariato della Russia è preferibile la sconfitta del suo nuovo regime sfruttatore per mano dei movimenti realmente nazionali della “sua” periferia. Siamo contrari alla guerra di oppressione nazionale di Putin contro la nazione cecena. Senza la vittoria del proletariato contro la burocrazia restaurazionista e l’instaurazione della dittatura del proletariato non ci sarà libertà per la Cecenia o per qualsiasi altra nazione oppressa della ex Unione sovietica.

La crisi dell’agosto 1998 ha indicato di nuovo i limiti e le enormi convulsioni nazionali e sociali della penetrazione capitalistica in Russia. Ha prodotto una crisi nel sistema bancario mondiale, come hanno messo in evidenza il fallimento del fondo Ltcm e le frodi finanziarie scoperte nella Republic Bank di New York, nella New York Bank e nelle maggiori banche svizzere. Le relazioni fra l’oligarchia russa e la borghesia mondiale ha conosciuto un momento di crisi dal quale si cerca di uscire allargando i confini della restaurazione capitalistica e passando alla privatizzazione dell’immenso territorio russo. La nuova tappa della restaurazione, che avrà luogo contemporaneamente a una nuova crisi finanziaria internazionale, minaccia di creare in Russia una convulsione millenaria.

La natura sociale della Russia

Il destino delle trasformazioni sociali inaugurate dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 non è ancora stato definitivamente deciso. La burocrazia ha distrutto lo Stato operaio ma è lungi dall’aver conseguito la restaurazione del capitalismo. Lo Stato, come fattore coercitivo, viene utilizzato dalla burocrazia per proteggere un insieme di relazioni sociali che mirano a ristabilire il capitalismo. Ancor prima delle privatizzazioni lo Stato russo aveva cessato di essere uno Stato operaio perché, sotto il comando della camarilla restaurazionista, la proprietà statale aveva perso ogni carattere sociale per convertirsi in una fonte di accumulazione privata, anche se non ancora capitalistica, propedeutica dell’accumulazione capitalistica, a beneficio della burocrazia. E’ precisamente questo ciò che succede oggi in Cina.

La borghesia mondiale e la burocrazia restaurazionista sono lontane dall’aver imposto in Russia una società capitalistica. La burocrazia si è appropriata delle imprese ma non è stata in grado di avviare un processo di accumulazione e di riproduzione, la qual cosa suppone un insieme di relazioni sociali strutturate in termini mercantili. Le imprese private difettano di mercati esteri e anche la vendita delle materie prime all’estero ha ancora caratteri precari. La Russia difetta di un sistema bancario e di una moneta credibili, di un sistema legale e di un regime fiscale adeguati. In Russia non esiste ancora un vero mercato del lavoro, per cui il lavoro astratto non costituisce la media del valore della ricchezza sociale. La burocrazia ha restaurato la proprietà privata ma non ancora le relazioni sociali proprie dei regimi fondati sulla proprietà privata.

La classe operaia costituisce una parte della classe operaia mondiale. L’attuale generazione operaia non ha conosciuto la vittoria bolscevica né la controrivoluzione stalinista; non è neppure passata attraverso l’esperienza della guerra contro il nazismo. Tuttavia, per fare fronte alla lotta più elementare per le sue rivendicazioni urgenti, la classe operaia russa si vede obbligata a recuperare la coscienza della Rivoluzione d’Ottobre, che è la questione storica irrisolta della Russia. Per questo riappaiono, dopo settant’anni, Trotsky e Stalin come figure della discussione politica quotidiana. Putin elogiando Stalin nel promuovere la centralizzazione burocratica dello Stato, ha introdotto un fattore di chiarificazione politica rispetto al periodo di Eltsin nel quale i restaurazionisti apparivano come la “sinistra”. Questa è la manifestazione, ancora dal punto di vista soggettivo, della coscienza delle masse, che il destino delle trasformazioni sociali inaugurate dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 non sono state ancora seppellite.

Il destino finale delle trasformazione inaugurate dalla Rivoluzione d’Ottobre sarà oggetto tuttavia di una gigantesca lotta di classe, anche internazionale. Come spiegava Trotsky nella Rivoluzione tradita la Rivoluzione d’Ottobre continua a vivere nella crisi mortale del capitalismo.

Noi ci proponiamo di unire alla prospettiva della lotta per rifondare la Quarta Internazionale quei gruppi militanti che lottano contro la restaurazione capitalistica in tutta l’Europa orientale.

Lo stesso vale per la Cina. Il suo ingresso nell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc) significa l’impegno della burocrazia a chiudere e a privatizzare (cosa già in corso) migliaia di imprese e miniere “obsolete” e ad aprire l’economia cinese a una penetrazione senza precedenti del capitale finanziario. Per l'imperialismo, la massiccia entrata di capitali in Cina dovrebbe servire a monopolizzare interi settori industriali. L’ingresso della Cina nella Omc significa l’inizio di una tendenza a trasformarsi in una semicolonia e a soffrire una disintegrazione simile a quella che sta provocando la penetrazione del capitalismo internazionale in Russia.

Il processo di restaurazione capitalistica in Cina ha approfondito su scala senza precedenti tutte le ineguaglianze (sociali, regionali, fra la campagna e la città, di genere), creando acute tensioni sociali. Con la chiusura e la privatizzazione delle imprese statali, stabilite in accordo con gli Stati Uniti, saranno licenziati milioni di operai, che si aggiungeranno alla massa di cento milioni di disoccupati rurali. Questo ha già cominciato a provocare scioperi, manifestazioni, cortei di strada e occupazioni di fabbrica su una scala mai vista al mondo. Lo borghesia mondiale mostra una viva preoccupazione per lo sviluppo degli avvenimenti in Cina.

La crisi capitalistica mondiale, con i metodi che le sono propri, ha allargato lo spazio storico della rivoluzione socialista mondiale ad una scala che non ha precedenti.

Centrosinistra e fronte popolare

L’ascesa di governi di fronte popolare di centrosinistra non solo accompagna l’emergenza di grandi lotte di massa (e anche di situazioni rivoluzionarie) in America latina in Asia e in Africa. E’ anche un fenomeno generalizzato in Europa, culla dell'imperialismo, e potrebbe esserlo entro breve anche in Giappone. Questo significa che il ricorso al fronte popolare, nella forma di “centrosinistra” o di “sinistra unita”, che fu a suo tempo la risorsa principale della controrivoluzione in Spagna, in Francia (1936) e in Cile (1970-73), viene usato anche adesso anche se in uno stadio iniziale di polarizzazione politica e di sviluppo politico delle masse, come una sorta di “fronte popolare preventivo”. Si tratta di un indicatore certo dell’avanzare della crisi e del timore dell'imperialismo di fronte alle sue potenziali conseguenze rivoluzionarie.

Il rapido fallimento politico della piccola borghesia democratizzante e “progressista” e dei suoi alleati “di sinistra” al potere, può aprire una alternativa rivoluzionaria se è sfruttata al fine che la classe operaia arrivi alle conclusioni cruciali: la necessità del partito di classe, del governo operaio e contadino, dell’unità internazionale del proletariato. La condizione per questa accelerazione è l’esistenza di un’avanguardia rivoluzionaria, quartinternazionalista, organizzata in partito di classe, ed è per questo che occorre procedere il più rapidamente possibile verso la Quarta Internazionale.

L’affermazione che centrosinistra e fronti popolari sono solo l’anticamera del ritorno delle destre denota una concezione contemplativa, parolaia e disfattista. Si può aprire il cammino verso al rivoluzione a condizione che esista una avanguardia rivoluzionaria capace di agire. I partiti che assicurano che il centrosinistra, con la sua politica, prepara il ritorno della destra hanno una concezione lineare della crisi politica e lasciano aperta l’unica conclusione che la sola via d’uscita è che i governi di centrosinistra si correggano. Questo è ciò che propongono, nelle parole e nei fatti, il Pcf e la Lcr, e in generale il Segretariato unificato e tutti gli stalinisti riconvertiti.

Le organizzazioni che lottano per la rifondazione della Quarta Internazionale chiamano Lutte Ouvriére a rompere con l’atteggiamento di passività sul piano internazionale e a intervenire decisamente con forza nel processo di discussione e di organizzazione per rifondare la Quarta Internazionale.  

Movimentismo controrivoluzionario o partiti rivoluzionari e Quarta Internazionale

Alla vigilia di nuove e maggiori convulsioni economiche e politiche a livello Internazionale, l’imperialismo non può contare neppure lontanamente sull’aiuto di burocrazie operaie o di sinistra capaci della forza e dell’autorità del passato. La socialdemocrazia è un’ombra pallidissima di quello che fu; lo stalinismo è un cadavere mal sepolto; i nazionalismi di vario segno si sono convertiti in bande di predoni. Per questo motivo l’imperialismo dedica sforzi giganteschi per prevenire ogni polarizzazione politica. Mentre si vede obbligato a preparare la guerra o a lasciare che la repressione faccia il suo lavoro sporco di pulizia, mette in campo una politica dalla faccia democratica che bene si adatta alla situazione internazionale che si accompagna alla dissoluzione dell’Urss e al fatto che lo stesso imperialismo ha accumulato una ricchezza monetaria senza precedenti storici. Questa politica è anche quella più adatta al completo controllo dei mezzi di comunicazione, delle diverse chiese e sette e alla assenza di una qualsiasi direzione rivoluzionaria del proletariato. Quest'ultimo fattore è ciò che consente all’imperialismo di temporeggiare anche in presenza di movimenti di guerriglia molto sviluppati. Nessun movimento autenticamente rivoluzionario può ignorare l’importanza che ha la risorsa democratica come strumento di contenimento, controllo e dispersione del movimento di massa da parte dell’imperialismo.  E’ necessario aiutare i lavoratori a superare questo ostacolo nel corso della loro esperienza quotidiana, seguendo risolutamente la regola che la storia può saltare le tappe ma il partito rivoluzionario non può saltare le tappe dell’evoluzione della coscienza delle masse sfruttate.

Il ricorso alla “democrazia” e l’acuta differenziazione sociale fra una parte della piccola borghesia, da un lato, e le masse disperate, dall’altro, costituiscono l’ambito nel quale è cresciuto il movimentismo di sinistra che si alimenta dello stalinismo, del nazionalismo, in parte della socialdemocrazia e per la parte maggiore di intellettualismo accademico. Il movimentismo sintetizza tutte le tare controrivoluzionarie che si sono annidate in passato nel movimento operaio; ad esempio la concezione secondo cui il movimento pratico è tutto e l’obiettivo strategico nulla; o quella secondo cui la lotta fra partiti e tendenze deve lasciare il posto a un pluralismo reciprocamente complice (che si oppone al confronto politico preferendogli il metodo del consociativismo); oppure una terza concezione secondo cui la volontà popolare è il 51% dei voti, non il proletariato che trascina nella lotta gli strati intermedi; o una quarta, contrapposta alla dittatura del proletariato, che afferma tutto dentro la democrazia, nulla fuori di essa; infine, il movimentismo si dichiara a favore di una organizzazione larga senza confini, e dunque contro una organizzazione centralizzata in funzione della lotta. Da quando Engels avvertiva che la democrazia pura sarebbe stata l’ultimo bastione della controrivoluzione, passando attraverso il fronte popolare, il movimentismo è il programma che si contrappone all’indipendenza di classe, alla costruzione di una direzione politica della classe operaia, vale a dire è il programma che si oppone alla rivoluzione socialista e a una soluzione socialista alla crisi mortale del capitalismo.

In America latina il movimentismo si manifesta nel Forum di San Paolo che mantiene molti legami con l’imperialismo. Pochi anni fa ha riunito in Messico Lula, Chacho Alvarez, Cuanhtémoc Cardénas e diversi ex guerriglieri sotto l’egida del messicano Jorge Castaneda ma fondamentalmente per ispirazione del Partito democratico statunitense. I principali partiti del Forum sostengono i governi di turno nelle varie aree, si tratti dell’uruguaiano Batlle, del brasiliano Cardoso o del destro nicaraguense Aleman. In Brasile, la direzione ufficiale del Partito dei lavoratori (PT) si è opposta alla occupazione di case da parte del Movimento dei lavoratori senza terra (Mst). In Argentina Alvarez e gran parte di coloro che stavano nel comitato centrale del Partito comunista fino alla fondazione del Frepaso, si sono uniti al governo repressivo e pro imperialista di Alianza. Il Forum di San Paolo unisce con un cordone ombelicale il Segretariato unificato della Quarta Internazionale e l’imperialismo; cosa che oggi si manifesta senza pudore con la partecipazione del Segretariato unificato al governo del Rio Grande del Sud in Brasile. La sezione ufficiale del Forum in Argentina è Izquierda Unida a cui partecipa anche il “trotskista” Mst.

L’importanza che diamo al Forum di San Paolo dipende dal fatto che in America latina si avverte maggiormente la vicinanza di convulsioni rivoluzionarie. Per questo esso è servito come laboratorio delle tendenze politiche sia del Forum stesso sia delle diverse forze politiche che ne fanno parte.

Diversi settori della sinistra europea hanno avuto modo di praticare uno pseudo internazionalismo attraverso l’adesione al movimento Attac che, con il pretesto della “lotta alla globalizzazione”, propone una soluzione alla crisi nel quadro del capitalismo imperialista (l’applicazione della Tobin tax). Non poteva esser altrimenti, visto che l’origine di Attac si deve ad alcuni settori dell’imperialismo europeo e dei suoi tradizionali portavoce, incluse pubblicazioni che hanno aperto generosamente le loro pagine a una “sinistra rivoluzionaria” che precedentemente rifiutava.

I limiti politici della grande mobilitazione di Seattle si devono all’influenza politica di questi settori. Il preteso “libero commercio e la Wto” sono una finzione, perché il trattato della Organizzazione mondiale del commercio ha ben poco di libero e ha sottomesso il commercio mondiale a una regolamentazione inedita in passato che riflette gli interessi del monopolio imperialista (la sua sistematica violazione è, d’altra parte, un’espressione della lotta interimperialistica e della crisi mondiale). Combattere il “commercio” non porta da alcuna parte; è anche reazionario.  Il potere del capitale si concentra nello Stato, includendo nello Stato le relazioni internazionali fra Stati per una mutua assicurazione contro la rivoluzione sociale. La lotta contro gli Stati che organizzano gli attacchi contro i lavoratori e contro le nazioni oppresse è l’unica base possibile per un vero internazionalismo, che deve cominciare con il combattere il nemico nel proprio paese. In definitiva, è una politica di pressione e di “riforma” della borghesia. Con la prospettiva opposta, cioè con una prospettiva operaia indipendente, chiamiamo a realizzare una campagna negli Stati Uniti che culmini in una conferenza in una importante città nordamericana.

Il movimentismo è realmente l’ultima risorsa della controrivoluzione per combattere la formazione di partiti rivoluzionari, ossia per combattere la piena formazione storica della classe operaia. Quando falliscono gli argini dello Stato borghese, esso resta un’ultima variante per la dispersione dell’energia della classe operaia: manca di programma, manca di politica, manca di organizzazione e di direzione. Il movimentismo non esita a trasformarsi in una organizzazione verticale quando si tratta di contrastare una direzione rivoluzionaria che ha l’appoggio popolare (è quello che è accaduto con il movimentismo nazionalista in America latina dagli anni trenta in poi), anche se è più probabile che esso si disintegri per le conseguenze delle sue contraddizioni, della crisi politica e,  certamente, dell’avanzamento del socialismo rivoluzionario. Fra il movimentismo e il partito, oscillano in modo centrista coloro che proclamano la necessità di costruire il partito rivoluzionario e la Quarta Internazionale ma non vedono la necessità di concretizzare questo proposito.

Per una aggregazione politica rivoluzionaria

Il cosiddetto Segretariato unificato è riuscito a realizzare una sintesi di tutte le politiche anti-rivoluzionarie esistenti nella sinistra, e lo ha fatto in nome della Quarta Internazionale. La Quarta Internazionale deve essere rifondata anche per mettere fine a questa finzione politica.

Dopo il ripudio della dittatura del proletariato in nome della “democrazia” e la dissoluzione delle sue principali sezioni in schieramenti di fronte popolare, il SU è passato a far parte del fronte teorico e pratico internazionale del movimentismo, promosso in alternativa alla costruzione del partito e, logicamente, come alternativa all’Internazionale; il SU non è un partito, è un blocco di arrivisti che si dedicano a fare l’entrismo in tutti i movimentismi esistenti.

Un recente fronte del SU, in Portogallo, la coalizione “Politica XXI”, rivendica “storicamente” al “già morto” socialismo di aver contribuito a “umanizzare” il capitalismo e, per questo, di averlo reso sostenibile. Nella rivendicazione del “pluralismo democratico” contro l’“autoritarismo di sinistra” già era contenuto il principio della dissoluzione del partito nel movimentismo, che si basa sul più antidemocratico principio secondo cui le divergenze politiche non si devono esplicitare e discutere ma nascondere in funzione della “pluralità delle opinioni”. Il movimentismo rappresenta un blocco allo sviluppo della coscienza politica dei lavoratori.

La rivendicazione esplicita del capitalismo e il movimentismo vanno insieme, ma il secondo è uno strumento del primo. In Brasile, la partecipazione con ruolo dirigente del SU nel governo del Rio Grande del Sud e nella amministrazione di Porto Allegre (capitale dello Stato). In SU non solo pratica una politica capitalistica (rispettando e aumentando i sussidi al grande capitale varati dal governo precedente, distruggendo la previdenza sociale con una politica peggiore di quella del governo nazionale, di destra, di Fernando Henrique Cardoso) ma è addirittura un fattore di trascinamento a destra del governo del PT. Il SU ha messo mano a tutti gli strumenti politici e repressivi dello Stato per combattere e sconfiggere un poderoso sciopero degli insegnanti e dei maestri del Rio Grande del Sud. E’ strano che la ripartizione burocratica delle briciole del “bilancio partecipato”, teorizzata principalmente dal SU, sia una politica ufficialmente raccomandata dalla Banca mondiale?

Il SU è andato molto avanti sulla via dei propositi anti-rivoluzionari. La sua sezione francese, la Lega comunista rivoluzionaria, si prepara a cambiare il nome di “comunista” e a ripudiare Lenin, Trotsky e la Rivoluzione d’Ottobre (identificati come precursori dello stalinismo). Si tratta del punto di approdo logico di un’ampia degenerazione politica.

Non si tratta di esempi isolati ma di aspetti centrali dio una politica internazionale che offre il singolare pericolo di praticare una politica di salvataggio capitalistico in nome dell’“internazionalismo”. Il SU non solo ha appoggiato ma ha addirittura teorizzato sul “patto di stabilità” imposto dall’imperialismo alla Iugoslavia e ai Balcani e lo ha fatto da mezzi di stampa prestigiosi del grande capitale. Lo stesso è accaduto con il suo appoggio all’intervento “umanitario” dell’imperialismo, attraverso l’Onu, a Timor est.

Per i militanti rivoluzionari e combattivi del SU non rimane altra via d’uscita che la denuncia di questa politica e la rottura, nella prospettiva di unire gli sforzi nella lotta per la rifondazione della Quarta Internazionale, impedendo che la storica bandiera di Leone Trotsky sia usata come ariete per una politica antioperaia.

Una campagna per la rifondazione della Quarta Internazionale

La riunione internazionale di Buenos Aires riafferma il suo giudizio circa il carattere storico  della presente crisi capitalistica e l’attualità del compito della rifondazione della Quarta Internazionale per superare la crisi di direzione del proletariato internazionale. Riaffermiamo le dichiarazioni dei precedenti quattro incontri e i quattro punti programmatici della dichiarazione di Genova del 1997 e ribadiamo la sua validità nella pratica della nostra lotta.

Riteniamo necessario far fare senza indugi un passo avanti deciso nella campagna mondiale per la rifondazione della Quarta Internazionale che consiste in una azione pratica e organizzata: in un piano di azione. Questa campagna deve approfondire il metodo politico stabilito nell’incontro di Buenos Aires: tavole rotonde, agitazione e iniziative politiche di massa. Deve servire per attrarre nuove organizzazioni  alla lotta per la rifondazione e per sviluppare tra i lavoratori e le masse oppresse dei paesi in cui militiamo la consapevolezza della necessità di una Internazionale operaia e rivoluzionaria.

Per questo promuoviamo un coordinamento più stretto e organizzato  dei partiti e delle tendenze aderenti alla Dichiarazione di Genova.

Il progresso dell’impegno per la rifondazione della Quarta Internazionale esige dai suoi partecipanti la massima chiarezza politica e organizzativa. Questo significa che mettiamo la parola d’ordine della rifondazione della Quarta Internazionale e le attività relative alle campagne decise al centro dell’attività politica dei partiti che la sostengono. Per questo ci impegniamo a promuovere sulla stampa regolare delle nostre organizzazioni una campagna sistematica per la rifondazione della Quarta Internazionale. Per questo integriamo un quinto punto ai quattro della dichiarazione costitutiva di Genova: che tutti i membri del movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale si impegnano a pubblicare organi di stampa regolari, in cui si farà campagna sistematica per la rifondazione della Quarta Internazionale.

Con questi impegni politici e organizzativi chiamiamo a preparare una conferenza internazionale per delegati eletti dalla base da ciascuno dei partiti e delle organizzazioni partecipanti, che serva per elaborare in modo definitivo il programma e i metodi di organizzazione e di intervento nella lotta di classe internazionale dei nostri partiti, come un vero partito mondiale, come una vera Internazionale, come la Quarta Internazionale.

Buenos Aires, 31 maggio 2000

Partido Obrero (Argentina) • Partido de los Trabajadores (Uruguay) • Oposición Trotskista (Bolivia) • Partido da Causa Operaria (Brasile) • Comité Constructor del Partido Obrero (Cile) • Colectivo “En defensa del marxismo” (Spagna) • Partito rivoluzionario dei lavoratori (Grecia) • Lega rivoluzionaria dei lavoratori (Turchia)


Rifondare la Quarta Internazionale

 

Documentato presentato dall’Opposizione trotskista internazionale all’incontro di Buenos Aires (29 maggio – 1 giugno 2000)

 

1 - La situazione mondiale è caratterizzata dalla crisi e dall’instabilità del dominio capitalista. I capitalisti attaccano i lavoratori per mantenere i loro profitti, e i lavoratori resistono. Economicamente la crisi capitalista si può osservare nel massiccio eccesso di capacità e nella sovraccumulazione di capitale su scala planetaria; nella crescente ineguaglianza del benessere e del tenore di vita; nello sviluppo della speculazione e del carattere parassitario del capitale finanziario ad un livello mai visto dagli anni Venti; nella conseguente crisi finanziaria che ha sconvolto l’Asia, la Russia e il Brasile nel 1997-98; nell’incapacità del capitalismo di offrire una prospettiva di sviluppo all’Africa, e nel timore dei capitalisti di un crollo nei paesi capitalisti avanzati dopo i profitti e le crescenti speculazioni degli anni Novanta.

Politicamente la tendenza delle masse alla resistenza è evidenziata da una serie di esplosioni nel mondo intero, tra cui le insurrezioni in Albania, in Indonesia, in Ecuador e in Colombia; gli scioperi studenteschi in Messico e il legame tra gli studenti e i sindacati negli Stati Uniti contro l’Omc; il ritiro forzato di Israele dal Libano e la debolezza dei governi in molti paesi.

 

2 - Questa instabilità costituisce l’espressione del crollo di tutti gli elementi dell’equilibrio capitalistico del dopoguerra. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’economia capitalistica mondiale è cresciuta in modo relativamente rapido nel contesto rappresentato dal “compromesso dello stato sociale” nei paesi capitalistici avanzati, dal predominio degli Stati Uniti sui paesi imperialisti, dalla decolonizzazione e dal neocolonialismo, e dal sostegno reciproco, nella pratica, tra lo stalinismo e l’imperialismo.

Con la fine degli anni Sessanta il capitalismo mondiale è entrato in un periodo di crisi, dato che l’equilibrio precedente ha lasciato il posto nei paesi capitalistici avanzati all’intensificazione della lotta di classe, alle rivalità interimperialistiche, a un’intensificazione della pressione imperialista e della resistenza nelle semicolonie, e ai conflitti tra regimi stalinisti e imperialismo in Vietnam e Afghanistan e la campagna guerrafondaia di Carter e di Reagan.

 

3 - All’inizio degli anni Settanta la classe operaia si trovava sull’offensiva, visto che i capitalisti si trovavano costretti a fare concessioni agli operai e ai giovani nei paesi imperialistici, e alle lotte di liberazione nazionale e ai movimenti nazionalisti borghesi nelle semicolonie, ed erano stati sconfitti in Vietnam. In assenza di una direzione rivoluzionaria coerente, tuttavia, le lotte operaie hanno ottenuto vittorie importanti ma poi si sono fermate, lasciando ai capitalisti il tempo per riorganizzare le forze e lanciare la controffensiva. Negli anni Ottanta la classe operaia ha subito degli arretramenti nella maggior parte dei paesi; nel 1991 l’Unione Sovietica è diventata vittima delle sue contraddizioni interne e delle pressioni imperialiste ed è crollata. I capitalisti hanno sperato di imporre un “nuovo ordine mondiale” neoliberale fondato su uno sfrenato sfruttamento capitalistico, mascherato da democrazia e rafforzato da interventi militari “umanitari”.

 

4 - Nonostante i propri successi, i capitalisti non sono stati capaci di stabilire un nuovo equilibrio né sul piano economico né su quello politico.

Alcuni osservatori, anche di sinistra, vedono la possibilità di una nuova espansione economica a lungo termine sospinta dalle conquiste tecnologiche nei settori dei computer, delle telecomunicazioni e delle biotecnologie, l’espansione globale del commercio e degli investimenti, l’aumento senza precedenti del tasso di sfruttamento e l’apertura dell’ex Unione Sovietica, dell’Europa dell’Est e della Cina alla penetrazione imperialista. Ma si tratta di una possibilità illusoria.

Un massiccio eccesso di capacità produttiva, le rivalità interimperialistiche e la resistenza dei lavoratori impediscono ai capitalisti di trarre vantaggio dalle loro possibilità tecnologiche. I capitalisti non possono garantire quelle concessioni che sarebbero necessarie per assicurare la pace sociale e permettere il funzionamento della democrazia o delle dittature. Il nuovo ordine mondiale ha fatto fallimento.

 

5 - A cominciare da metà degli anni Novanta i lavoratori hanno cominciato a opporre resistenza all’ordine neoliberale. Le lotte sociali e di classe sono diventate più frequenti e l’avanguardia ampia della classe operaia ha cominciato a riprendersi dallo shock e dalla confusione causati dalle sconfitte degli anni Ottanta e Novanta, in primo luogo dal crollo dell’Unione Sovietica, e sta cercando le ragioni delle sconfitte e i modi per riuscire a superarli. Se lo stalinismo, la socialdemocrazia, il mero sindacalismo e il nazionalismo piccolo-borghese sono discreditati, elementi dell’avanguardia hanno cominciato a rivolgersi ad alternative più radicali, tra cui al trotskismo.

 

6 - Lo sviluppo della lotta di classe è ancora molto diseguale e non ha raggiunto un livello tale da minacciare il dominio capitalistco su scala mondiale. Per ora i capitalisti sono in grado di perpetrare i loro attacchi alla classe operaia mediante manovre all’interno di uno spettro politico ristretto tra il centro-destra e il centro-sinistra, senza dover ricorrere a fronti popolari come quelli degli anni Trenta, alle dittature militari o al fascismo. Ma l’incapacità dei capitalisti di rendere stabile il loro sistema e la resistenza proletaria mostrano che la prospettiva rivoluzionaria resta valida.

 

7 - La soluzione proletaria alla crisi capitalista è la rivoluzione mondiale. Gli apparati stalinisti e socialdemocratici non condurranno la lotta per il potere operaio, dato che i loro interessi materiali li legano all’ordine borghese. Né lo faranno i gruppi dell’ex estrema sinistra – alcuni dei quali dicono ancora oggi di essere trotskisti – che si sono adattati alla società borghese in nome di una democrazia radicale o sociale, e non vedono la necessità del potere operaio come precondizione per uscire dall’impasse del capitalismo.

 

8 - Gli strumenti  necessari alla classe operaia per conquistare il potere sono i partiti rivoluzionari e un’Internazionale rivoluzionaria. La ragione per cui le esplosioni degli anni passati sono state tutte contenute risiede nel fatto che non sono state dirette da partiti rivoluzionari e quindi sono sfociate in collaborazioni di fronte popolare o di tipo nazionalista con la borghesia locale e, in molti casi, con l’imperialismo. Il compito dei marxisti rivoluzionari consiste nel costruire una direzione in grado di intervenire negli sviluppi rivoluzionari della lotta di classe e dirigere la classe operaia alla conquista del potere.

 

9 - Il partito rivoluzionario deve basarsi sull’unico programma genuinamente rivoluzionario, il programma della Quarta Internazionale. Nessuna delle organizzazioni internazionali esistenti è la Quarta Internazionale. Sono tutte minuscole e quasi tutte soffrono di deviazioni centriste, di un tipo o dell’altro, anche se non si sono rappacificate con l’ordine capitalistico.

Il Segretariato unificato, in particolare, si è sempre più allontanato dal trotskismo, pur continuando a proclamare di essere la Quarta Internazionale, creando così un ostacolo a coloro i quali vogliono costruire una Quarta Internazionale genuinamente rivoluzionaria.

Oggi i rivoluzionari si trovano dispersi sia nelle varie organizzazioni trotskiste sia in organizzazioni non trotskiste e nell’avanguardia non organizzata. Un compito chiave dei trotskisti conseguenti è unire questi rivoluzionari in una Quarta Internazionale con egemonia di massa, smascherando le direzioni centriste nella lotta di classe e sconfiggendole politicamente.

 

10 - I firmatari della dichiarazione di Genova hanno lavorato insieme per oltre tre anni per rifondare la Quarta Internazionale. Abbiamo fatto qualche progresso da quando il Partito operaio rivoluzionario di Grecia ha aderito alla nostra lotta nel 1997, tra cui il più importante è stato l’adesione della Lega marxista operaia di Turchia. Ma siamo ancora lontani dall’aver raggiunto lo scopo. Abbiamo bisogno di coordinare e consolidare il nostro lavoro internazionale e i nostri sforzi in modo da attrarre altre forze alla lotta per rifondare la Quarta Internazionale.

A questo scopo organizzeremo una conferenza di delegati provenienti da tutte le organizzazioni che cercano di rifondare la Quarta Internazionale come necessaria risposta alla crisi capitalistica e alla aspirazione dei lavoratori a lottare per una soluzione alternativa. Anche se non siamo in grado di attrarre forze sufficienti per un’effettiva rifondazione della Quarta Internazionale, questa conferenza aiuterà la costruzione di un Movimento per la Quarta Internazionale e costituirà un passo in avanti nella soluzione della crisi di direzione proletaria.

Buenos Aires, 2 giugno 2000

 

Opposizione trotskista internazionale, Associazione marxista rivoluzionaria “Proposta” (Italia), Trotskist League (Stati Uniti)