INCONTRO DI BUENOS AIRES
(maggio - giugno 2000)
INTRODUZIONE
La battaglia
per una vera rifondazione comunista nel nostro paese, cioè per la costruzione
di un partito comunista marxista rivoluzionario è inseparabile da quella per la
rifondazione comunista sul piano internazionale. Senza la rifondazione di una
Internazionale rivoluzionaria del proletariato o almeno di un suo nucleo
costruttore, non vi è soluzione sul piano nazionale per l’avanguardia
proletaria.
Decenni di
dominio stalinista-riformista sul movimento operaio italiano hanno fatto
dimenticare, a livello di massa o di avanguardia larga, la verità elementare
che ogni sviluppo del movimento operaio rivoluzionario è sempre stato legato
alla sua organizzazione in forma internazionale.
Così
l’introduzione del Manifesto del partito comunista del 1848 affermava:
“E’ ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il
loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze e che alla fiaba dello
spettro del comunismo contrappongano un manifesto del partito. A tal fine
comunisti delle più varie nazionalità si sono riuniti a Londra e hanno redatto
il seguente manifesto, che viene pubblicato in lingua inglese, francese,
tedesca, italiana, fiamminga, danese.”
Come
si vede, la Lega dei comunisti nasce come partito internazionale. E sempre così
sarà per il marxismo rivoluzionario, attraverso le fasi, in parte diverse, ma
sempre “mondiali”, della I, II e III Internazionale.
La realtà
globale (non da oggi) del dominio capitalistico, della divisione internazionale
del lavoro, della lotta di classe e soprattutto la realtà della prospettiva
alternativa, cioè il socialismo – il cui consolidamento come sistema sociale
è possibile solo su scala internazionale – sono le basi oggettive che rendono
ineludibile il carattere
internazionale del partito proletario.
Lo
stalinismo ha ridotto drasticamente la comprensione di questa verità
elementare: prima trasformando l’Internazionale comunista da strumento
rivoluzionario in strumento controrivoluzionario e poi sciogliendola
ufficialmente, per dar vita alle varie “vie nazionali” alla collaborazione
di classe o, in situazioni particolari, ad una trasformazione sociale deformata
da un dominio burocratico, che ha poi portato alla restaurazione del
capitalismo. La Quarta Internazionale, nel contempo, restava troppo debole per
modificare a livello di massa questa situazione, anche perché dagli anni
cinquanta subiva un processo di degenerazione politica e divisione
organizzativa.
Questa
mancanza di reale internazionalismo comunista (che non ha niente a che vedere
con il generico solidarismo con le lotte di altri paesi) si è particolarmente
espresso in Italia a causa del disastro provocato dalla politica opportunista
del gruppo dirigente di “Bandiera rossa” che, nel 1968, portò alla quasi
scomparsa di ogni presenza “trotskista” nel nostro paese e diede spazio alla
nascita di varie forze politiche che, in un modo o nell’altro, dimostravano la
loro natura “centrista” (cioè intermediaria tra marxismo e riformismo)
anche, e in maniera decisiva, nella loro mancanza di internazionalismo reale.
Quindi la
battaglia per la rifondazione della Internazionale rivoluzionaria è un elemento
essenziale e ineludibile di una battaglia politica comunista. Chi, quindi, pur
ponendosi su prospettive rivoluzionarie, non lo comprende si situa ancora metodologicamente e programmaticamente fuori dal marxismo. Di
qui la centralità dell’azione della nostra Associazione marxista
rivoluzionaria “Proposta” su questo terreno e la necessità che l’insieme
di Progetto comunista, la minoranza marxista rivoluzionaria del Prc, la faccia
propria.
Una
battaglia concreta intorno alla prospettiva della rifondazione nei tempi più
brevi possibili della Quarta Internazionale. Quarta perché il generoso
tentativo, iniziato negli anni trenta, di costruirla come organizzazione di
massa non si è mai trasformato in realtà e perché senza riferimento alle
posizioni programmatiche del marxismo rivoluzionario storico non c’è
possibilità di costruire qualcosa di vitale. Infatti, come sempre, è vero che
“chi non ha un passato, non ha un futuro”.
Nell’ultima
fase su questo terreno ci sono stati dei modesti ma reali passi avanti. Ciò sia
sul terreno internazionale con una nuova riunione nel maggio-giugno scorsi a
Buenos Aires delle organizzazioni che lottano per la rifondazione della Quarta
Internazionale; sia in Italia con l’apertura del dibattito su questa questione
all’interno del Partito della rifondazione comunista
alla fine del giugno scorso.
Presentiamo
qui i documenti internazionali essenziali del processo politico in corso (per
quanto riguarda il collegato dibattito nel Prc rimandiamo al documento
presentato nella Direzione nazionale del 29 giugno e all’introduzione su di
esso, pubblicati su questo stesso numero della rivista).
Il primo
testo che pubblichiamo, Prospettive rivoluzionarie
alla fine del XX secolo, ha in realtà già due anni. E’ il documento
sulla situazione politica internazionale approvato, nelle linee generali, alla
II Conferenza dell’Opposizione trotskista internazionale (Oti), la piccola
corrente internazionale organizzata di cui l’Amr Proposta è sezione italiana,
e che a sua volta partecipa al Movimento per la rifondazione della Quarta
Internazionale. La conferenza si è svolta nel settembre del 1998. Come detto il
testo è stato approvato nelle linee generali rimandando ad un successivo
momento l’inserimento definitivo di alcune modifiche alla bozza originaria.
Ciò è
avvenuto nella riunione del Comitato di coordinamento internazionale dell’Oti
del febbraio 2000, che ha licenziato il testo definitivo. Questo resta
ovviamente legato, a partire dal titolo, al momento della stesura originaria.
Con ciò non ha perso nulla, a nostro giudizio, del suo valore politico. Anzi,
ci pare che esso contenga una compiuta e attuale analisi della situazione in cui
ci troviamo sul piano internazionale, in questa fase storica, individuando
compiutamente le origini della situazione attuale e le prospettive generali (1).
Al testo
dell’Oti seguono i diversi documenti varati nella riunione di Buenos Aires di
fine maggio- primi di giugno di quest’anno.
Si è
trattato di una riunione, o meglio di una serie di riunioni ed attività molto
intense e significative che si sono sviluppate per dieci giorni. E’ iniziata
con i cinque giorni del congresso del Partido Obrero (PO) di Argentina, a cui i
delegati delle varie organizzazioni internazionali sono intervenuti non con
semplici saluti, ma esprimendo le proprie valutazioni, anche critiche, sui punti
generali in discussione. Il congresso ha indicato un significativo sviluppo del
PO (la maggiore delle organizzazioni che lottano per la rifondazione della Quarta Internazionale), con circa il 40% di militanti in più
rispetto a quello precedente e con un importante successo elettorale a Buenos
Aires. Infatti alle elezioni dello scorso maggio, poche settimane prima del
congresso, il PO (superando la soglia del 2%) è riuscito ad eleggere il suo
dirigente Jorge Altamira all’assemblea legislativa della “provincia”
(l’Argentina è uno stato federale diviso in 32 province, tra cui la città
capitale di Buenos Aires, i cui “legislatori” hanno quindi poteri più ampi
di quelli dei nostri consigli regionali). Questo risultato è stato ottenuto con
una campagna politica esemplare, basata su un programma chiaro di obbiettivi
transitori e sulla rivendicazione di un governo operaio e della prospettiva
socialista come unica alternativa realistica alla crisi politica, economica e
sociale dell’Argentina.
Dal 29
maggio al 2 di giugno si è invece svolta la quinta riunione per la rifondazione
della Quarta Internazionale. Essa è stata interrotta il pomeriggio del 31
maggio, quando i PO e anche i delegati internazionali hanno partecipato –
organizzando una combattiva colonna di quasi duemila persone – ad una grande
manifestazione di massa contro il Fondo monetario internazionale. Essa è stata
organizzata, con la proclamazione di uno sciopero generale, dal settore più
avanzato del movimento sindacale argentino (la Cgt, diretta da Hugo Moyano) ed
ha visto la partecipazione di circa centomila persone. Negli stessi giorni della
conferenza si è svolto anche, in orario serale, un ciclo di conferenze, tenute
nell’Università di Buenos Aires, intorno al tema L’internazionalismo
operaio agli inizi del ventunesimo secolo, con diversi argomenti
specifici su cui sono intervenuti vari delegati alla riunione internazionale,
altri dirigenti del PO e professori universitari sia argentini che stranieri di
area marxista rivoluzionaria.
La riunione
internazionale si è conclusa il 3 giugno con un meeting di quasi 3000 persone,
in maggioranza giovani, che, per tutto un pomeriggio hanno seguito – in un
clima di straordinario entusiasmo – gli interventi dei delegati dei vari
partiti ed organizzazioni che avevano partecipato alla riunione dei giorni
precedenti, nonché quello del segretario generale della Cgt regionale di San
Lorenzo (una delle più importanti “camere del lavoro” industriali del
paese, che è su posizioni classiste e lavora stabilmente con il PO e le
correnti sindacali di opposizione di sinistra da esso dirette nei vari sindacati
di categoria).
Alla
riunione internazionale hanno partecipato oltre alle organizzazioni già
aderenti al Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale (2) anche:
la Lega operaia marxista di Turchia, che aveva già partecipato come
osservatrice a precedenti riunioni e che ha deciso la sua adesione formale prima
di questa, e il Comitato di
costruzione del partito operaio (Cile) che ha deciso la sua adesione nel corso
della riunione stessa.
Erano
inoltre presenti come osservatori: un compagno attivo nel gruppo Resistenza
comunista di Romania; l’organizzazione greca Gruppo della sinistra sociale,
scissione del Partito comunista, che lavora in fronte unico con i nostri
compagni del Partito operaio rivoluzionario (Eek); due importanti dirigenti
sindacali boliviani, anche loro alleati dei nostri compagni della Opposizione
trotskista; la redazione della rivista trotskista brasiliana “Lucha de Clases”,
che ha un’area di sostenitori prevalentemente in ambienti intellettuali; e,
soprattutto, il Partito russo dei comunisti-organizzazione regionale di
Leningrado. Quest’ultima organizzazione è l’espressione più di sinistra
della crisi e dispersione dell’antico Partito comunista dell’Urss. Da questo
sono derivate non solo le forze neoborghesi (che raggruppano la grande
maggioranza della vecchia burocrazia dirigente dell’Urss) ed il partito
nazional-stalinista di Zjuganov; ma anche formazioni minori più a sinistra:
alcune “staliniste dure”, altre, come il Partito russo dei comunisti, che si
rivendicano confusamente alla “migliore tradizione” del comunismo russo. La
organizzazione di Leningrado – che ha il sostegno di militanti di altre
regioni del paese ed è diretta da compagni già critici del regime negli anni
settanta e ottanta (anche se ovviamente in maniera clandestina, dato che certo
il Pcus non ammetteva alcun dissenso) – ha sciolto i nodi dell’ambiguità.
Ha così pubblicato nel 1998 un articolo del compagno Abramson intitolato
significativamente In difesa di Leone Trotsky, rivendicando, non
acriticamente, l’esperienza dell’opposizione di sinistra antistalinista e
l’analisi trotskiana de La rivoluzione tradita. Ciò ha provocato la
rottura con i settori semistalinisti o confusi del vecchio partito. I compagni
del Prc-organizzazione regionale di Leningrado hanno poi preso parte –
nell’agosto del 1999 – alla costituzione di un raggruppamento tra le varie
organizzazioni e gruppi locali che in Russia si richiamano al marxismo
rivoluzionario. Questo raggruppamento ha preso il nome di Movimento per un
partito operaio. Esso dispone già di
un deputato al parlamento nazionale. Si tratta di un giovane dirigente del
sindacato indipendente Zaschita (Difesa), Oleg Shein, che è stato eletto
nell’importante città operaia di Astrakhan, sul Volga, battendo sia il
candidato del “centro-destra” sia (in una città e in una regione dominata
dal partito di Zjuganov) il candidato del PC nazional stalinista. Nello scorso
mese di luglio la segretaria dell’Oti (e alcuni altri dirigenti, in
particolare sindacali, dell’Amr Proposta) hanno potuto avere un lungo,
fraterno e politicamente positivo incontro con Shein nel corso di un suo breve
viaggio in Europa occidentale organizzato dal Comitato di solidarietà con i
lavoratori russi con base a Londra (3). Il sindacato Zashita è al centro di
significative lotte dell’avanguardia proletaria in Russia, in particolare
contro il progetto legislativo di un nuovo reazionario Codice del lavoro. Su
questo il 17 maggio scorso ha realizzato manifestazioni e scioperi in molte città,
che hanno visto una partecipazione totale di trecentomila persone. Una nuova
giornata nazionale di lotta è prevista per dicembre prossimo. Va appena
aggiunto che il ruolo del Partito comunista di Zjuganov, finta opposizione e
reale sostegno di Putin, nella lotta contro questo codice è nullo.
Va infine
segnalato che due organizzazioni non hanno potuto essere presenti alla riunione
di Buenos Aires per motivi pratici. Si tratta del Partito di liberazione del
Kurdistan (Rizgari) e del Comitato d’azione per una repubblica unita e laica
in Palestina.
Il dibattito
nella riunione internazionale è stato franco e aperto, con un confronto
politico chiaro anche sulle questioni su cui si sono espresse posizioni
differenti. Questo ha riguardato soprattutto l’analisi dell’attuale
situazione complessiva della crisi del capitalismo e il livello di sviluppo
dell’azione rivoluzionaria delle masse; inoltre la caratterizzazione precisa
della natura del revisionismo del trotskismo, in particolare del cosiddetto
Segretariato unificato della Quarta Internazionale (rappresentato in Italia da
“Bandiera rossa”).
Questi
argomenti hanno visto contrapporsi le valutazioni dell’Oti, rappresentato a
Buenos Aires dalla nostra Amr Proposta e dalla Lega trotskista (TL) degli Stati
Uniti, a quelle delle altre organizzazioni del Movimento per la rifondazione
della Quarta Internazionale, in primo luogo il PO argentino e l’Eek di Grecia.
Non si tratta di divergenze nuove. Ne abbiamo parlato su questa rivista
riferendo delle precedenti riunioni internazionali del nostro movimento. Per
quanto ci riguarda continuiamo a pensare che un’enfatizzazione, un po’
“catastrofistica” della crisi capitalistica e del livello di reazione
rivoluzionaria delle masse sia oggettivamente sbagliata, metodologicamente
scorretta rispetto all’analisi scientifica della realtà che è propria del
marxismo e potenzialmente pericolosa rispetto ai compiti e allo sviluppo delle
organizzazioni rivoluzionarie. La lotta per sottolineare – di fronte alle
valutazioni disfattiste dominanti anche nell’avanguardia larga del movimento
operaio – il sussistere di una crisi capitalistica che perdura e si
approfondisce e l’esistenza di reazioni di massa al dominio capitalistico è
una necessità. Ma non può essere sviluppata sulla base di semplificazioni, in
fondo idealistiche.
Vero è che
questo non si traduce per le organizzazioni che partecipano al nostro movimento
(come avvenne in passato per altre organizzazioni del movimento operaio
rivoluzionario) in una politica avventuristica, in un’autoesaltazione rispetto
alle proprie possibilità immediate o nell’esaltazione acritica dei movimenti,
obliterando il compito di lottare per elevare la loro coscienza in senso
rivoluzionario. Ciò evidentemente relativizza le divergenze. Non meravigli la
loro presenza. Sempre, nella storia reale (e non nelle favole astoriche), lo
sviluppo del movimento marxista si è accompagnato a scontri politici tra
rivoluzionari (basti pensare a Lenin e Rosa Luxemburg). Perché il marxismo non
può che nutrirsi del confronto delle posizioni politiche, a condizione che esso
avvenga all’interno del suo quadro programmatico di principio generale. In ciò
vi sono naturalmente dei rischi, ma senza ciò un reale processo di
raggruppamento rivoluzionario è impossibile. Il mondo è pieno di sette, che
spesso esprimono politiche opportuniste, ma che sono pronte a mettersi
d’accordo solo con se stesse o con chi accetta integralmente ogni virgola
delle loro posizioni tattiche e valutazioni del momento. Non così si può
rifondare la Quarta Internazionale, tanto più dopo decenni di confusione
politica e divisioni organizzative. In questo senso le divergenze politiche –
ripetiamolo: a condizione che si pongano in un quadro di riferimento
programmatico generale comune – non sono un dramma. E’ importante affrontare
compiutamente e senza estremizzazioni il dibattito e far sì che esso coinvolga
l’insieme dei/lle militanti (che possono certo avere nell’ambito della
stessa organizzazione nazionale posizioni diverse) e non solo i gruppi
dirigenti.
Proprio per
sviluppare nella chiarezza le posizioni divergenti emerse (accanto ovviamente ad
altre comuni a tutti o ad alcune in cui ad es. il PO e l’Oti esprimevano gli
stessi giudizi e l’Eek alcune sfumature particolari) si sono quindi
contrapposti due documenti generali che qui riproduciamo. Il primo, più ampio, Per
un piano d’azione per rifondare la Quarta Internazionale, è basato sul
testo sulla situazione internazionale già approvato dal congresso del PO e, una
volta inseriti alcuni emendamenti, è stato votato dalla maggioranza delle
organizzazioni del Movimento per rifondazione della Quarta Internazionale. Il
secondo, più breve, Rifondare la Quarta Internazionale, è stato
elaborato dalla delegazione dell’Oti e riprende in sintesi, aggiornandole, le
posizioni contenute nel documento Prospettive rivoluzionarie alla fine del
ventesimo secolo della conferenza dell’Oti del 1998. Questo testo è stato
votato dalle due delegazioni presenti appartenenti all’Oti stessa.
E’
importante sottolineare che i due documenti hanno la stessa conclusione:
l’impegno a sviluppare un’azione congiunta, politica e organizzativa, di
intervento nell’avanguardia per realizzare (presumibilmente nel 2002) una
conferenza internazionale per delegati delle organizzazioni impegnate nella
battaglia per la rifondazione della Quarta Internazionale. Questa prospettiva,
approvata quindi all’unanimità, rappresenta un vero salto di qualità e
sottolinea, al di là di ogni differenza, il quadro di avanzamento che la
riunione di Buenos Aires ha rappresentato. Tale avanzamento si è espresso anche
nel voto all’unanimità della risoluzione Piano di azione internazionale
che materializza i primi passaggi politici della campagna verso la conferenza
per delegati e crea una prima struttura di coordinamento internazionale del
movimento.
L’unanimità
si è poi espressa anche sulle altre tre risoluzioni votate. La prima denuncia
il ruolo giocato dalla sezione brasiliana del Segretariato unificato (attraverso
la sua presenza come tendenza nel Partito dei lavoratori – PT) nel governo
dello stato del Rio Grande del Sud, in cui ha espresso, nel concreto, una
politica riformista di collaborazione di classe. Come delegati dell’Oti
abbiamo votato a favore della risoluzione, anche se, in linea generale, non
condividiamo la caratterizzazione del Segretariato unificato come
“controrivoluzionario”, propria della maggioranza delle organizzazioni del
Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale. Infatti una cosa è
respingere una caratterizzazione che ci pare schematica, esagerata e negativa
per un approccio positivo ai militanti, anche critici, di questa organizzazione
internazionale; un’altra sarebbe non vedere fin dove può portare
l’opportunismo revisionista del Segretariato unificato. Questo è palese nel
caso della sezione brasiliana (la tendenza Democrazia socialista del PT) – una
delle più importanti del SU ma anche quella più spostata sulla sua destra.
Tramite il suo inserimento nel partito di massa diretto da Lula e l’ingresso
nei governi locali – in particolare nel Rio Grande del sud – essa si è
trasformata qualitativamente scendendo sul terreno del riformismo. La
risoluzione votata ha un’importanza internazionale nel momento in cui, anche
in Italia, il SU, cioè “Bandiera rossa” – anche attraverso strutture come
Attac – esalta, con una campagna di fantasticherie, abusando della mancanza di
informazione e dell’ingenuità di molti/e compagni/e, l’esperienza del Rio
Grande del Sud e della sua capitale Porto Alegre. In realtà la politica
riformista del SU in quella regione è stata così lampante da provocare
l’opposizione non solo dei nostri compagni del Partito della causa operaia (Pco)
e delle altre formazioni a sinistra del PT, ma anche quella di tutta la sinistra
interna del PT stesso e persino di alcuni settori che potremmo qualificare di
“centro” di questo partito. Prova ne sia il fatto che nelle recenti primarie
interne al PT per elezioni al comune di Porto Alegre il sindaco e vicesindaco
uscenti (del SU o ad esso legati) sono stati sonoramente sconfitti da una
candidatura alternativa sostenuta anche dalla sinistra del PT. Ciò proprio a
causa della volontà della base del PT di rompere con la politica di
collaborazione di classe della precedente amministrazione.
Segue un
documento di solidarietà con le importanti lotte dei disoccupati argentini per
il lavoro e il salario sociale, parte di un movimento più generale di cui è
stato espressione anche lo sciopero generale e la manifestazione del 31 maggio
di cui abbiamo parlato precedentemente. In particolare tali lotte, in cui il PO
ha un ruolo centrale, si sono espresse con lunghi blocchi stradali come nel caso
delle località di Tartagal e Mosconi nel nord argentino, e si sono scontrate
con la repressione del governo di centro sinistra.
L’ultimo
testo è un saluto ai combattivi minatori rumeni e all’attuale segretario
della loro organizzazione Vaduva Vasile. I minatori rumeni furono protagonisti
prima degli scioperi contro la politica di Ceausescu,
poi delle mobilitazioni contro le forze di destra e, successivamente,
contro le misure “liberalizzatrici” del governo di centro-sinistra. Oggi
soffrono dell’offensiva neoliberale e della volontà di vendetta del governo
di centro-destra di Emil Costantinescu (ex membro del partito comunista e
docente universitario di “materialismo dialettico” al tempo di Ceausescu).
Le miniere sono state quasi tutte chiuse e i minatori sono disoccupati, pur
mantenendo un legame tra loro attraverso l’organizzazione diretta da Vasile.
Questo è stato il prodotto della sconfitta finale dell’eroica marcia su
Bucarest del gennaio-febbraio 1999. A seguito di essa diversi minatori sono
stati imprigionati, tra cui il loro precedente leader Miron Kuzma, condannato a
una lunga pena detentiva. Benchè Kuzma sia una persona politicamente ambigua
egli è stato imprigionato dal governo della destra borghese per il suo ruolo
dirigente nella lotta dei minatori e, pertanto, va difeso dal proletariato
internazionale. Segnaliamo che il compagno Vasile, che ha posizioni politiche
diverse da quelle del suo predecessore, ha inviato un messaggio personale al
meeting conclusivo della riunione internazionale di Buenos Aires, auspicando il
successo per la nostra iniziativa.
Le
indicazioni di azione che le risoluzioni di Buenos Aires indicavano non sono
rimaste sulla carta. Il defatigante lavoro per mantenere gli impegni presi e
avanzare nel percorso politico è proseguito. Un momento importante è stato
rappresentato dalla partecipazione di un’ampia delegazione del nostro
movimento – composta da compagni/e dell’Eek di Grecia, della nostra Amr e
della sezione britannica dell’Oti – alle iniziative (controconvegno e tre
manifestazioni) contro la riunione del Fondo monetario internazionale a Praga a
fine settembre. In esse noi abbiamo portato le nostre analisi, le nostre
proposte, i nostri slogan (in primo luogo gli “Stati Uniti Socialisti
d’Europa” e la “Rifondazione della Quarta Internazionale”).
Contemporaneamente
si mobilitavano, con manifestazioni di solidarietà con le iniziative di Praga,
i nostri compagni nel mondo: in primo luogo in Argentina, in Brasile e,
significativamente, a Kiev in Ucraina. Qui, in un altro dei paesi vittime della
restaurazione capitalistica, l’Opposizione trotskista – organizzazione di
giovani militanti rivoluzionari che ha recentemente aderito all’Oti,
diventandone la prima sezione in uno degli ex Stati operai burocratizzati – ha
organizzato insieme ad altri gruppi che si richiamano al trotskismo ed alla
gioventù del Partito comunista ucraino una manifestazione di un migliaio di
persone che ha marciato sulla sede locale del Fmi.
Così, come
sempre non linearmente, con inevitabili contraddizioni e lentezze, va però
avanzando il processo verso l’obiettivo centrale posto di fronte
all’avanguardia comunista nel mondo: la rifondazione della Internazionale
rivoluzionaria del proletariato, la Quarta Internazionale. Noi auspichiamo che
anche la pubblicazione di questi testi sia utile per permettere all’insieme
dei/lle militanti comunisti/e rivoluzionari/e del nostro Paese di prendere
pienamente il loro posto in questa battaglia fondamentale.
Note
1)
Chi voglia ricevere l’insieme dei documenti della Conferenza
internazionale dell’Oti, inclusa la versione emendata dei due testi
programmatici di base della nostra tendenza internazionale (Le basi
programmatiche dell’Oti e La crisi della Quarta Internazionale e i
compiti dei trotskisti conseguenti) può richiederli alla redazione della
nostra rivista al costo di lire 5.000 a copia (oppure allegando alla richiesta 4
francoboli di posta prioritaria da 1200 lire).
2)
Le organizzazioni che partecipavano a pieno titolo all’iniziativa per
la rifondazione della Quarta sulla base dell’appello di Genova del 1997 (vedi
“Proposta” n. 19) prima della riunione di Buenos Aires (che ha visto
l’aggiungersi dei compagni turchi e cileni) erano le seguenti: Partito operaio
(PO, Argentina); Partito operaio rivoluzionario (Eek, Grecia); Partito della
causa operaia (Pco, Brasile); Opposizione trotskista (OT, Bolivia); Collettivo
“En defensa del marxismo” (Spagna); Opposizione trotskista internazionale (Oti/Ito)
con le sue sezioni in Italia (Amr Proposta), Stati Uniti (Lega trotskista, TL),
Gran Bretagna, India, Germania, Danimarca, cui si è aggiunta, dopo la
conferenza di Buenos Aires, la Opposizione trotskista di Ucraina.
3) Il Comitato di solidarietà internazionale con i lavoratori in Russia ha aderenti in vari paesi e pubblica irregolarmente un bollettino intitolato “Iskra”. Il suo indirizzo è: ISWoR, Box R, 46 Denmark Hill, London SE5 8RZ, England. Dispone di un sito internet all’Url: http://www.onelist.com/Iskra. L’indirizzo e-mail è: SMye5@aol.com; oppure: iskra@egroups.com (tramite questi indirizzi è possibile iscriversi nel gruppo di discussione internazionale Iskra-list). Per visitare gli archivi del comitato l’indirizzo è: http://www.onelist.com/messages/iskra.
UN
PIANO D’AZIONE PER RIFONDARE LA QUARTA INTERNAZIONALE
Documento
finale dell’incontro di Buenos Aires (29 maggio - 1 giugno 2000)
Le
organizzazioni riunite a Buenos Aires hanno tenuto la loro quinta riunione
internazionale in una situazione che conferma le basi politiche sulle quali si
era fondata nel 1997 la loro iniziativa di rifondare la Quarta internazionale
per fornire all’avanguardia operaia mondiale un orientamento marxista
rivoluzionario dinanzi all’aggravarsi della crisi mondiale.
La
Quarta Internazionale, basata sul metodo delle rivendicazioni transitorie, è lo
strumento indispensabile perché la classe operaia superi la sua crisi di
direzione e imponga alla crisi in corso uno sbocco socialista, l’unico
storicamente progressivo.
Nell’attuale
crisi, si verifica la bancarotta della concezione “gradualista”, prevalente
nei più diversi settori della sinistra di diversi paesi, che valutano le
tendenze del capitalismo in maniera lineare, constatandone le tendenze
reazionarie ma senza concepirle come un processo di contraddizioni sempre più
esplosive – nelle parole di Marx: “Il capitalismo è la contraddizione in
movimento” – escludendo, di conseguenza, trasformazioni di quantità in
qualità, vale a dire, spezzando la connessione tra la decomposizione del
capitalismo e la tendenza al sorgere di situazioni rivoluzionarie. La
manifestazione sempre più aperta delle contraddizioni del capitalismo, nel
quadro della loro crisi storica, obbliga i lavoratori ad adottare una posizione
rivoluzionaria, vale a dire a prendere coscienza di questa tendenza a crisi
politiche profonde, alla polarizzazione politica e ad un’azione storica
eccezionale della classe operaia.
La
Quarta Internazionale, in base al suo programma e in base alla sua tradizione,
ha dimostrato di essere lo strumento storico più coerente e più cosciente per
preparare, sviluppare e ottenere la vittoria della rivoluzione proletaria:
rifondarla subito è il primo obbligo di ogni militante o organizzazione operaia
cosciente dei doveri e dei compiti che scaturiscono dal presente periodo
politico.
Portata
della crisi mondiale
Il
crollo generalizzato delle Borse dei principali paesi, negli ultimi tre mesi, ha
messo in evidenza il limite raggiunto dal recupero della cosiddetta crisi
asiatica, iniziata in Thailandia nel corso del
1997 e culminata con la svalutazione brasiliana dei primi mesi del 1999.
In realtà la catena di svalutazioni monetarie provocata dalla crisi in Asia, è
servita soltanto ad accentuare la concorrenza internazionale e a mettere
chiaramente in risalto l’enorme quantità di capitale eccedente che, a livello
mondiale, spinge verso il basso il saggio del profitto del capitale; e ciò
nonostante la riduzione dei salari, l’allungamento e l’intensificazione
della giornata lavorativa, la razionalizzazione dei metodi produttivi applicati
nei principali settori industriali e nonostante le grandi fusioni capitaliste,
vale a dire una notevole centralizzazione del capitale. Il principale motivo del
fallimento delle cosiddette fusioni e acquisizioni di imprese, si deve
all’essere state soprattutto operazioni volte al conseguimento di guadagni
finanziari e all’aver toccato soltanto marginalmente l’industria, ogni volta
che la maggior parte di essi ha coinvolto i grandi gruppi economici dei servizi
e finanziari.
L’accentuarsi
della concorrenza capitalista internazionale provocata dalle svalutazioni
asiatiche, ha frustrato le aspettative che la razionalizzazione produttiva di
cui è stato protagonista il capitalismo nordamericano potesse ristabilire in
termini duraturi il livello interno del saggio di profitto, così come a livello
internazionale. Ha messo a nudo, ancora una volta, il carattere mondiale della
tendenza alla caduta del saggio di profitto capitalistico. Il deficit
commerciale nordamericano raggiunge già la cifra di 400 miliardi di dollari
l’anno e l’offerta in eccedenza di merci straniere ha cominciato a intaccare
la redditività dei grandi colossi degli Stati Uniti. La pretesa che gli Stati
Uniti possano assorbire, sotto forma di importazioni, l’insieme dell’offerta
mondiale di merci in eccedenza, il che si presume trasformerebbe il deficit
commerciale nordamericano in un “fattore di stabilizzazione” dell’economia
mondiale, si basa su un’illusione: che il dollaro sia un elemento di
riferimento monetario universale e non, com’è effettivamente, uno strumento
di lotta della borghesia nordamericana contro i suoi rivali capitalisti. La
necessità di proteggere il dollaro mediante l’aumento dei tassi di interesse
obbliga la borghesia nordamericana a “spararsi a un piede”: l’aumento dei
tassi aumenta, nella stessa proporzione, l’ammontare del debito pubblico
nordamericano, il più grande su scala internazionale.
Questa
situazione fissa un limite alla possibilità di proseguire la gigantesca
speculazione a Wall Street, alimentata da una politica di emissione monetaria,
dal 6% all’8% annuo in un quadro di prezzi stabili, e un tasso di interesse
ridotto. Ma senza questa speculazione, il mercato nordamericano si
restringerebbe come il cuoio esposto alle intemperie, eliminando quello che al
momento attuale è il principale mercato per il commercio internazionale. Al
tempo stesso, dato che una gran parte di questa speculazione è stata finanziata
dai capitali oziosi dell’Asia e dell’Europa, che sono la contropartita del
deficit nordamericano, l’accentuarsi di questo deficit provocherebbe una fuga
di capitali dagli Stati Uniti e la svalutazione del dollaro – il che a sua
volta scatenerebbe una grande deflazione mondiale e la possibilità di uno
squilibrio totale del mercato mondiale, dal momento che la moneta nordamericana
si è trasformata nell’unica misura (fittizia) di valore del mercato mondiale.
Questo perché a partire dalla “crisi del dollaro” del 1971, il sistema
monetario internazionale è privo di un’ancora salda e si basa sulla capacità
del governo nordamericano di imporre l’“ordine” a livello mondiale, in un
intreccio fra economia e politica.
Le
perdite miliardarie subite dai principali fondi speculativi, quali
il Quantum di Soros o il Tiger Management (il secondo per importanza
negli Stati Uniti), costituiscono appena un anticipo della prospettiva di crollo
della presente crisi. Gli speculatori internazionali hanno cominciato a
riallineare le operazioni alla caduta a Wall Street, il che non smetterà di
intaccare la valutazione del dollaro, perché ciò comporta un’uscita di
capitali. Ma anche a prescindere da ciò, avrà un impatto profondo sulla società
nordamericana, i cui consumi e investimenti sono fortemente condizionati dai
guadagni di Borsa, fino al punto che le cosiddette imprese di Internet non si
finanziano con capitale proprio bensì mediante l’emissione di azioni; al
punto che le fusioni si effettuano, non col danaro, bensì mediante lo scambio
di azioni; e al punto che l’indebitamento delle famiglie si avvicina al 150%
delle loro entrate e un 50% di esse fanno investimenti in fondi di Borsa. Coloro
che avevano seppellito, per l’ennesima volta, la legge del valore a partire
dai miracoli della “new economy”, oggi osservano sgomenti i crolli
borsistici del 90% delle imprese tecnologiche e l’inizio di fallimenti a
catena. Il valore delle imprese non è determinato dalle cosiddette
“aspettative” o da preferenze soggettive, bensì, in ultima istanza, dalla
capitalizzazione dei profitti al tasso medio del mercato.
La
tendenza al rialzo del tasso di interesse statunitense per contenere la bolla
speculativa – che è già aumentato del 50% rispetto al livello dell’estate
del 1998, quando era stato ridotto per salvare il fondo Ltcm (Long term capital
management) e la decina di banche che lo sostenevano – avrà un effetto
depressivo enorme, non soltanto a livello degli Stati Uniti ma specialmente nei
paesi periferici che fanno i conti con un debito estero di proporzioni
confiscatorie.
Il
capitalismo, preso nel suo insieme, ha raggiunto da tempo un punto di maturità
tale che il valore, ovvero la produzione per il mercato e per il profitto, si è
trasformato in una base quanto mai ristretta per lo sviluppo delle forze
produttive. Questa è la ragione storica della mancanza di vie d’uscita per la
crisi che si trascina ormai da più di un quarto di secolo.
L’Asia
La
prospettiva della crisi mondiale ha il suo specchio nel Giappone, che è entrato
nel suo dodicesimo anno di depressione, e tutto ciò malgrado ci sia stata una
iniezione di fondi statali nell’economia dell’ordine di due bilioni di
dollari, e malgrado un tasso di interesse negativo. L’alternativa a questa
depressione avrebbe dovuto essere che il Giappone consentisse ai suoi monopoli
capitalisti di fare fallimento su grande scala per eliminare in tal modo dal
mercato il capitale eccedente e ristabilire il saggio di profitto e
l’incentivo agli investimenti; ma questo avrebbe semplicemente anticipato la
depressione mondiale. Ora il Giappone aggiunge alla sua continua
sovraccumulazione di capitale un virtuale fallimento finanziario dello Stato,
che accumula un debito di 10 miliardi di dollari contro un prodotto interno di 4
miliardi. Se, per salvare lo Stato, il Giappone facesse rientrare in patria il
suo capitale investito all’estero, con tale mossa potrebbe soltanto accelerare
il crollo finanziario negli Stati Uniti e in Europa. Il Giappone si è visto
obbligato ad aprire il suo stesso mercato, per la pressione in particolar modo
degli Stati Uniti, e a consentire una messa in disparte di alcuni dei propri
monopoli a favore di quelli nordamericani, in particolare nel settore
finanziario e dei servizi, il che rappresenta un duro colpo
alle sue aspettative di giocare un ruolo decisivo nella concorrenza
mondiale. Al tempo stesso, tuttavia, la sua recente decisione di creare un
sistema di protezione finanziario asiatico, con l’appoggio della Corea del Sud
e della Cina in particolare, dimostra che la crisi accentua la rivalità
internazionale tra Stati Uniti e Giappone, e che tende ad accentuarsi con essa l’instabilità di tutta
l’Asia.
Nessuno
dei paesi colpiti dalla crisi del 1997-98 ha ripreso la sua posizione
precedente. La Thailandia, l’Indonesia e le Filippine hanno avuto un
peggioramento e sono sull’orlo di un nuovo terremoto economico; la Corea del
Sud ha visto cadere l’autonomia dei suoi colossi multinazionali, in special
modo i poderosi Hyundai e Daewoo; in Cina si prospetta un fallimento
generalizzato delle imprese statali e un’ondata di lotte gigantesche contro i
licenziamenti che ne risulteranno.
La
crisi dell’Unione Europea
Uno
dei sintomi più poderosi della tendenza alla disgregazione del capitalismo
mondiale è rappresentato dalla continua svalutazione dell’Euro, benché esso
fosse stato concepito proprio per equilibrare il sistema monetario
internazionale, ovvero per dare al sistema monetario internazionale una duplice
ancora, e per ampliare la base finanziaria, economica e politica della
speculazione capitalista. Questa svalutazione dell’Euro riflette la perdita di
competitività della borghesia europea dinanzi alla forte razionalizzazione
economica degli Stati Uniti, il che accentua lo squilibrio dell’Unione
Europea, a causa dei legami diseguali che mantengono i suoi paesi con il mercato
mondiale.
Lo
squilibrio finanziario e monetario internazionale sta facendo disastri in
Inghilterra, dove la sopravalutazione della sterlina, sottoposta allo stesso
processo speculativo del dollaro, ha scatenato un’ondata di fallimenti
industriali delle principali compagnie internazionali. La notizia che la Borsa
di Francoforte è sul punto di assorbire la Borsa di Londra, il che annuncia la
perdita dell’ultimo bastione della borghesia inglese, anticipa che il pendolo
dell’Inghilterra fra Stati Uniti ed Europa, prima di indirizzarsi da una parte
o dall’altra, pone la possibilità di una grande crisi nazionale.
Per
colmo di sventura, la borghesia europea teme, più che una perdita di valore
della propria moneta, una svalutazione del dollaro, che sarebbe naturalmente
seguita da una crisi finanziaria. Questa alternativa farebbe immediatamente
saltare per aria la maggior parte dei fragili governi di centrosinistra e
porrebbe all’ordine del giorno la formazione di governi di unità nazionale
con dentro anche gli Haider. In Europa, il forte indebolimento dalla destra
negli ultimi anni, compresi i suoi settori fascistegianti, pone in alcuni paesi
la possibilità di un’accentuazione della tendenza al fronte popolare, che
questa volta potrà contare sull’appoggio degli pseudo-trotskisti che sono
passati nel campo democratico.
Questo
squilibrio si accentua, a livello politico, con il veto all’integrazione dei
paesi dell’Est, col che si chiude l’unico sbocco offerto dalla stessa Unione
Europea. La restaurazione capitalistica nei paesi dell’Europa orientale si
trova in questo momento di fronte alla sua crisi maggiore, dal momento che per
avanzare verso l’integrazione nel mercato internazionale essi dovranno cedere
tutte le proprie strutture, compresa la propria limitata autonomia politica,
subire uno svuotamento economico e, nel caso di alcuni di essi (come la
Polonia), fronteggiare l’espropriazione massiccia della propria agricoltura.
La
decisione di formare un direttorio politico europeo capeggiato dalla Germania e
dalla Francia, ma in definitiva dalla prima, rivela che l’Unione Europea non
è gli Stati Uniti d’Europa; la UE è un direttorio delle borghesie
imperialiste più forti del continente. La crisi mondiale ha nuovamente messo in
evidenza il carattere utopico degli Stati Uniti capitalisti d’Europa, così
come il loro carattere reazionario. L’Unione Europea è sinonimo di guerre, di
reazione politica, di oppressione e confisca dei paesi arretrati.
La crisi della UE conferma ciò che era
stato indicato da tempo dai marxisti: l’Unione Europea non sarebbe stata il
terreno per nuove conquiste democratiche. Così viene a galla tutta la
ciarlataneria di sinistra, tanto di origine staliniana quanto
pseudo-trotskista, dell’“Europa dei diritti democratici”. La
decisione di formare un esercito dell’Unione Europea, forte di 50-60 mila
soldati, adottata nei vertici europei di Helsinki (Finlandia) e Sintra
(Portogallo), evidenza le crescenti velleità militari degli imperialisti
europei. La formazione di un esercito europeo indipendente dalla Nato, tuttavia,
per il momento è esclusa. Per questo, l’imperialismo statunitense, nonostante
le sue contraddizioni con l’imperialismo europeo, non frappone ostacoli alla
creazione di questa forza, benché questa sia un’espressione di una potenziale
crisi militare interimperialistica. L’intervento militare europeo in aree
esterne alla UE assume nel quadro della Nato un carattere complementare e
subordinato all’intervento statunitense. Questo è avvenuto nel caso
dell’intervento delle truppe italiane contro la rivoluzione albanese del 1997.
L’Unione Europea è la Nato nei Balcani e la piattaforma per nuove guerre.
Questa
è una conclusione di enorme portata che coloro che lottano per la Quarta
Internazionale debbono saper mostrare ai lavoratori europei. Dinanzi
all’Unione Europea del grande capitale, bellicista, oppressiva e sfruttatrice,
sosteniamo la distruzione dell’Unione Europea, dei suoi stati e istituzioni e
sosteniamo l’opposizione socialista all’Europa della Nato e alla borghesia
imperialista. Ci impegniamo a realizzare una campagna politica europea per
promuovere il programma della lotta per gli Stati uniti socialisti d’Europa,
dall’Atlantico alla Russia.
Africa:
la putrefazione capitalista in bella mostra
La catastrofe dell’Africa è
chiaramente un’espressione acuta ed estrema della crisi mondiale. E’ quanto
dimostra il crollo delle monete del Sudafrica e dello Zimbabwe, due economie
considerate moderne nei loro settori di esportazione. Ma lo stesso vale per
tutto il continente a Sud del Sahara e per l’Etiopia e l’Eritrea, le cui
guerre civili e internazionali non sono altro che il risultato di una spietata
lotta internazionale per l’appropriazione di minerali e materie prime,
determinata dalla necessità di controllare un mercato mondiale saturo, e dal
timore di cadute di prezzi che possono provocar la rovina di potentissimi
colossi internazionali (Di Beer, la Anglo).
Si è prodotta in Africa una vera e
propria polverizzazione dei fittizi apparati statali, il che a sua volta ha
provocato una vera e propria calamità sociale fatta di fame e di malattie. La
borghesia mondiale dovrà mettere in conto l’arretratezza dell’Africa, di
cui essa è la principale responsabile, e che altro non è se non una
manifestazione spietata della sua stessa
crisi mondiale e delle sue stesse tendenze distruttive. Il nazionalismo nero di
contenuto borghese o piccolo borghese, come si può vedere in base alla condotta
di tutti i suoi leader, da Mandela a Kabila, è stato spazzato via dalla crisi
mondiale; soltanto un’ampia alleanza indipendente del proletariato del
Sudafrica, della Nigeria e dell’Angola, assieme a quello molto minoritario di
altri paesi e alle masse di diseredati, potrà dar luogo a
una rinascita africana, nel quadro di una mobilitazione socialista a
livello mondiale.
L’America
Latina
Un
vero e proprio processo di rovina si sta verificando nei paesi periferici. In
America Latina, i cosiddetti aggiustamenti virtuosi sono semplicemente falliti;
menzioniamo la Bolivia e il Perù, cui si aggiungono l’Equador, la Colombia,
il Paraguay, l’Argentina e, contro ogni apparenza, il Brasile,
il cui debito estero come percentuale del prodotto lordo è cresciuto
ancora di più come conseguenza della svalutazione.
L’incremento del tasso di interesse
statunitense ha liquidato per sempre la possibilità di una
politica di aggiustamento senza inflazione in America Latina. Nonostante
l’enorme aumento nel livello di sfruttamento delle masse latinoamericane reso
possibile da tali “aggiustamenti”, le loro economie e le loro borghesie non
sono riusciti a trovare un proprio spazio nel mercato mondiale. Sono stati
essenzialmente un negoziato fra i grandi colossi internazionali dei servizi.
Vale a dire che sono stati un meccanismo limitato per arrestare la tendenza al
crollo del grande capitale internazionale nel suo insieme. La svalutazione
brasiliana e l’adozione del dollaro in Equador sono stati la manifestazione più
acuta di questa crisi d’insieme del cosiddetto modello neoliberale. Ora stanno
venendo al pettine i nodi della crisi di queste politiche economiche in
Argentina, in Colombia e in Perù, e nei tre casi ciò si combina con delle
crisi politiche in diversi stadi di sviluppo.
Presa nel suo insieme, la crisi ha
compromesso l’esperienza del Mercosur, che le borghesie latinoamericane
vedevano come una prospettiva di sviluppo continentale. Un settore crescente
della borghesia statunitense vuole avere una nuova possibilità di investimenti
e di speculazioni, trasformando il Mercosur in un’appendice monetaria degli
Stati Uniti, e per questo motivo spinge per l’adozione di una moneta unica del
Mercosur in un regime di convertibilità. Un’espressione della pressione in
questa direzione è la richiesta dell’adozione del dollaro da parte
dell’economia argentina. Ma un’immediata adozione del dollaro in Argentina,
non appena parta una politica deflazionistica negli Stati Uniti e nel bel mezzo
di una forte recessione interna, potrebbe portare ad una crisi con caratteri
rivoluzionari. Sarebbe una variante, su una scala molto più grande, di quel che
è avvenuto in Equador all’inizio del 2000.
La
crisi politica latinoamericana si aggrava seguendo il ritmo della decomposizione
economica e delle grandi mobilitazioni di massa. L’insurrezione indigena in
Equador, la “guerra dell’acqua” in Bolivia (nel quadro di un processo di
agitazione dei contadini ed operai e della truppa della polizia e
dell’esercito), le occupazioni di edifici pubblici e di latifondi da parte del
MST (movimento dei contadini senza terra) brasiliano, gli scioperi studenteschi
in Messico, le mobilitazioni contadine in Paraguai, la crisi politica e le
mobilitazioni contro la frode elettorale in Perù, l’aperta decomposizione
dello Stato colombiano e il movimento dei picchetti stradali in Argentina; tutto
questo fa parte di un unico processo continentale. In Colombia, i “negoziati
di pace” tra un governo che affonda (non controlla il parlamento, né
l’esercito, né tanto meno i paramilitari) e la guerriglia sono un miraggio
che nasconde la preparazione accelerata di un intervento militare nordamericano.
Ma l’imperialismo non è più in grado, come in passato, di poter poggiare
questo intervento armato su dittature militari come quelle di Onganía o di
Geisel. Il quadro di libertà democratiche e di organizzazione delle masse
latinoamericane pone dinanzi all’imperialismo la prospettiva che un suo
intervento in Colombia provochi in America Latina crisi politiche generalizzate
e insurrezioni popolari.
L’esperienza
della democratizzazione in America Latina negli ultimi vent’anni si è svolta
nel quadro di un arretramento economico senza precedenti, il che ha consumato
tutto il capitale politico che restava ai movimenti nazionalisti e di sinistra,
e ha consumato con una rapidità impressionante i tentativi piccolo borghesi di
colmare il vuoto. L’esperienza di Chávez, in Venezuela, il quale per poter
difendere il bilancio statale e pagare il debito estero ha ridotto la produzione
di petrolio, licenziato migliaia di operai e smantellato un pezzo del capitale
statale esistente; le esperienze di sinistra del Frente Amplio a Montevideo, o
del PT a Porto Alegre, o del Fmln in Salvador, e in generale di tutti movimenti
che fanno parte del Forum di San Paolo, che si distinguono per il loro
servilismo nei riguardi del grande capitale e per la loro assoluta incapacità
di soddisfare le più elementari rivendicazioni delle masse; più ancora quella
del Frepaso in Argentina; tutte queste esperienze si vanno consumando, sia pure
con ritmi diversi, per l’impatto della crisi mondiale. Al tempo stesso, tutte
queste esperienze portano alla stessa conclusione: nessuna tendenza borghese o
piccolo borghese potrà offrire una via d’uscita alla crisi storica in corso
e, di conseguenza, potrà frenare la tendenza a una crisi rivoluzionaria
generalizzata, nella quale potrebbe soltanto fare la parte dei pompiere
controrivoluzionario, che è l’unica funzione storica per essa possibile, vale
a dire la sua funzione antistorica inevitabile.
Dinanzi
alla minaccia di un’aggressione yankee contro la Colombia, alla
disintegrazione economica del continente e alle lotte di massa che vanno dal Río
Grande alla Terra del Fuoco, facciamo appello a una campagna di mobilitazione
continentale contro l’intervento imperialista. Per questo, portiamo avanti il
programma seguente: confisca dei latifondisti e consegna della terra ai
contadini; espulsione dell’imperialismo; espropriazione delle banche; no al
pagamento del debito estero; controllo operaio della produzione; per gli Stati
uniti socialisti dell’America Latina. Per portare questo programma alla
vittoria è necessario superare i tentativi di centrosinistra e movimentisti
attraverso la costruzione di partiti rivoluzionari e della Quarta
internazionale.
Un’espressione
indiretta della portata della crisi è l’apparire nei paesi imperialisti di
una corrente che vorrebbe limitare gli aspetti più estremi e barbari mediante
la regolamentazione del capitale attraverso la leva fiscale. Pensare di poter
contrastare la crisi capitalistica con una politica di “redistribuzione della
ricchezza”, in particolare mediante l’applicazione della cosiddetta “Tobin
tax” (un prelievo dell’1% sui movimenti internazionali di capitale, con cui
alimentare un “fondo per eliminare la povertà mondiale”), non è soltanto
un’utopia, è una posizione reazionaria. Alla base di questo movimento, che ha
preso il nome di Attac, c’è l’idea che si possa correggere con degli
strumenti fiscali la tendenza del capitale al parassitismo e alla putrefazione.
La posizione di Attac nega la natura di classe dello Stato e dell’insieme
degli strumenti dei quali esso dispone, compresi quelli fiscali. Ignora inoltre
la natura politico-economica dei bilanci statali e dello Stato e il suo
metabolismo politico-economico con la società capitalista sulla quale si regge.
Non vede come in definitiva il sistema fiscale, in tutte le sue varianti, sia
uno strumento del capitale per proteggere l’accumulazione del capitale e per
arraffare plusvalore con strumenti extraeconomici, ma anche uno strumento di
guerra e di oppressione. Rivendica il capitale “produttivo”, fingendo di
ignorare che è fratello siamese del capitale “speculativo” e che ambedue
sono un prodotto del plusvalore che viene strappato all’insieme dei
lavoratori, che ambedue hanno il medesimo interesse al supersfruttamento.
Sotto
il dominio del capitale, il sistema fiscale (diretto o indiretto) è sempre, in
ultima istanza, un sistema di espropriazione dei lavoratori e dei piccoli
produttori a favore del grande capitale. Inoltre una Tobin Tax implica un
rafforzamento del potere statale della borghesia contro la classe operaia e, al
tempo stesso, un aumento del livello delle tasse nei confronti dei produttori
diretti.
Contro
questa utopia reazionaria, difendiamo la rivendicazione transitoria del
programma operaio, espressa nel Manifesto comunista e nel Programma di
transizione: imposizione progressiva ed espropriazione del grande capitale
quali misure transitorie del governo operaio nella lotta per passare dal
capitalismo al socialismo, quale che sia la sua origine (il capitale fittizio
non è altro che l’ipertrofia del capitale finanziario, fusione del capitale
bancario con quello industriale).
Per
praticare questo programma è necessario rifondare la Quarta internazionale.
La
soluzione del capitale
La
lunga durata della crisi economica capitalista, che con esplosioni sempre più
intense, si trascina dall’inizio degli anni settanta, mentre mostra i limiti
della borghesia mondiale nel trovare una soluzione, al tempo stesso la traccia a
grandi linee. Si tratta di giungere ad una completa ristrutturazione della
divisione del lavoro su scala internazionale, sotto la leadership di un
direttorio dei grandi capitali, egemonizzato dagli Stati Uniti. Ma questo
processo di ristrutturazione comporta, proprio per riuscire ad essere una
soluzione, una distruzione massiccia dei capitali eccedenti, la riappropriazione
della massa dei profitti mondiali da parte dei monopoli restanti, un aumento
senza precedenti dello sfruttamento della forza-lavoro mondiale e naturalmente
una internazionalizzazione del mercato su una scala colossale. Questo significa
non solo il totale assorbimento del vecchio spazio anticapitalista rappresentato
dai territori che furono dell’Urss, dalla Cina e dai paesi ad esse collegati;
non solo la liquidazione dei restanti margini di autonomia della periferia; ma
anche e soprattutto una modifica radicale del rapporto fra il capitale e la
forza-lavoro nelle stesse metropoli. Ovvero un periodo di crisi politiche
eccezionali e di grandi lotte.
Ciò
che la crisi in corso mostra con chiarezza (com’era avvenuto anche nel corso
delle principali crisi mondiali precedenti), è il fatto che la riappropriazione
degli ex Stati operai e anche la colonizzazione completa dei grandi spazi semi
indipendenti (Brasile, India, Sudafrica, Indonesia, Australasia), non si può
attuare senza una ristrutturazione preliminare nei rapporti fra Stati Uniti,
Europa e Giappone e senza l’eliminazione nelle stesse metropoli delle
conquiste sociali storiche degli operai e delle loro libertà democratiche e di
organizzazione. E’ significativo che l’ampliamento dell’UE ad Est si veda
adesso condizionato dalla necessità previa di modificare politicamente la
stessa UE.
La
guerra della Nato contro gli Balcani è stata molto istruttiva in questo senso,
perché l’occupazione militare è oggi in una grave impasse sotto ogni
aspetto; da una parte, per via delle contraddizioni tra Europa e Stati Uniti,
che hanno interessi ed obiettivi diversi, compreso per ciò che riguarda
l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia centrale; dall’altra, per via della
contraddizione tra gli strumenti politici da mettere in opera per conseguire
tali obiettivi e i vincoli politici democratici, costituzionali e di
organizzazione popolare vigenti negli Stati Uniti e nei paesi europei. Il
rifiuto da parte del Pentagono di impegnare le truppe di terra nelle zone in
guerra; l’opposizione in Europa e all’interno degli Stati Uniti al progetto
di difesa antimissilistica propugnata dal Pentagono; la nuova rivalità tra
Europa e Stati Uniti nelle questioni della difesa; e in senso più generale
l’opposizione che si è sviluppata in relazione alla crisi economica mondiale,
i crolli borsistici e le crisi monetarie; tutto questo traccia un limite a
qualunque tentativo di ricolonizzazione mondiale della vecchia e della nuova
periferia delle metropoli capitalistiche nel quadro dei rapporti politici
esistenti. Lo prova l’incapacità dell’imperialismo di mettere in piedi un
protettorato in Kosovo.
Non
esiste qualcosa come un fronte unico controrivoluzionario mondiale. La stessa
cosa vale per le fantasie geopolitiche di un tentativo di conquista l’Asia
centrale da parte dell’imperialismo yankee o di circondare con un anello
politico militare la Russia e la Cina; e anche per la favola di creare una Nato
per la quale le funzioni delle antiche legioni romane sarebbero effettuate nel
prossimo futuro da eserciti nazionali provvisti di armamenti standardizzati e
interconnessi da un centro operativo basato sui satelliti di comunicazione.
L’imperialismo mondiale non ha una capacità di iniziativa maggiore di quella
a cui lo obbliga lo sviluppo della crisi mondiale, lo condiziona il livello
della lotta di classe e dell’organizzazione delle masse e gli permette la
crisi di direzione della classe operaia internazionale.
La
guerra dei Balcani è stata, pure, un terreno di delimitazione politica
essenziale nel campo della sinistra e implica offre conclusioni della massima
importanza per la lotta per la Quarta Internazionale. Mentre alcuni, come il
Segretariato unificato (SU), si sono posizionati durante la guerra nel campo del
pacifismo imperialista (rivendicando una “soluzione politica” promossa
dall’Unione europea!), coloro che si battono per la rifondazione della
Internazionale operaia sono stati alla testa per l’espulsione
dell’imperialismo dai Balcani e per l’unità socialista dei suoi popoli.
Siamo stati l’unica corrente internazionale capace di produrre un
raggruppamento internazionalista e rivoluzionario: la Conferenza socialista
balcanica contro la Nato, che ha dato vita alla nascita del Centro Christian
Rakovsky di cui fanno parte partiti e organizzazioni di differenti Paesi
balcanici e della Russia. Questa conferenza ha votato un programma
rivoluzionario e internazionalista contro il dissanguamento dei Balcani: fuori
la Nato, per il rovesciamento rivoluzionario delle camarille restaurazionistiche,
autodeterminazione dei popoli, per la Federazione socialista dei Balcani.
Russia:
l’impasse della restaurazione capitalistica
In
questa tappa della crisi mondiale l’imperialismo si avvale dei servizi delle
burocrazie riconvertite al capitalismo per procedere nella restaurazione
capitalistica negli ex Stati operai in dissoluzione e nelle varie crisi
internazionali. La Nato ha sostenuto il regime di Eltsin che si è unito al
fronte imperialista per ottenere la capitolazione di Milosevic; ha del pari
appoggiato Putin nello strangolamento delle aspirazioni nazionali cecene, dal
momento che il regime restaurazionistico ha dimostrato la sua vocazione
normalizzatrice nella convulsa regione del Caucaso.
La
guerra di Cecenia mette in evidenze le tendenze alla disgregazione dello Stato
russo, la qual cosa altro non è che una delle espressioni dell’impantanamento
del processo di restaurazione capitalistica in Russia nel suo insieme. Il regime
restaurazionistico, ora Putin come in precedenza Eltsin, è stato incapace di
rimpiazzare la centralizzazione burocratico-militare della “periferia” russa
propria dello stalinismo con l’attrazione del “progresso” che, si
supponeva, sarebbe arrivato con la restaurazione capitalistica. Al contrario, le
regioni pretendono di separarsi per non “affondare” esse stesse insieme con
la Russia. La Cecenia, come altre regioni, è rimasta unita alla Russia
volontariamente soltanto quando la Rivoluzione d’Ottobre – dopo aver rimosso
con metodi rivoluzionari la centralizzazione burocratico-militare zarista –
offrì ai popoli del Caucaso una
associazione libera e democratica e la prospettiva dello sviluppo culturale e
sociale nel quadro di una economia pianificata.
La
restaurazione capitalistica non può offrire né l’una né l’altra cosa. Per
questo Putin lancia una guerra di oppressione nazionale contro la nazione cecena
con l’appoggio non solo dell’oligarchia russa ma anche del capitale
finanziario internazionale. Questo spiega il rifinanziamento del debito russo da
parte del Club di Londra, che ha significato per l’oligarchia russa il condono
da parte delle principali banche occidentali di debiti per decine di miliardi di
dollari. E per questo, inoltre, è stato firmato un accordo di principio per la
firma di un “patto di stabilità” nel Caucaso sotto l’egida dell’Ocse
che è una replica del “patto di stabilità” per i Balcani; vale a dire,
l’instaurazione dell’economia di mercato al costo che sarà necessario.
Le
aspirazioni nazionali dei popoli del Caucaso non avranno modo di realizzarsi se
non mediante una lotta comune contro gli imperialismi occidentali e contro la
burocrazia e l’oligarchia russe. Per il proletariato della Russia è
preferibile la sconfitta del suo nuovo regime sfruttatore per mano dei movimenti
realmente nazionali della “sua” periferia. Siamo contrari alla guerra di
oppressione nazionale di Putin contro la nazione cecena. Senza la vittoria del
proletariato contro la burocrazia restaurazionista e l’instaurazione della
dittatura del proletariato non ci sarà libertà per la Cecenia o per qualsiasi
altra nazione oppressa della ex Unione sovietica.
La
crisi dell’agosto 1998 ha indicato di nuovo i limiti e le enormi convulsioni
nazionali e sociali della penetrazione capitalistica in Russia. Ha prodotto una
crisi nel sistema bancario mondiale, come hanno messo in evidenza il fallimento
del fondo Ltcm e le frodi finanziarie scoperte nella Republic Bank di New York,
nella New York Bank e nelle maggiori banche svizzere. Le relazioni fra
l’oligarchia russa e la borghesia mondiale ha conosciuto un momento di crisi
dal quale si cerca di uscire allargando i confini della restaurazione
capitalistica e passando alla privatizzazione dell’immenso territorio russo.
La nuova tappa della restaurazione, che avrà luogo contemporaneamente a una
nuova crisi finanziaria internazionale, minaccia di creare in Russia una
convulsione millenaria.
La
natura sociale della Russia
Il
destino delle trasformazioni sociali inaugurate dalla Rivoluzione d’Ottobre
del 1917 non è ancora stato definitivamente deciso. La burocrazia ha distrutto
lo Stato operaio ma è lungi dall’aver conseguito la restaurazione del
capitalismo. Lo Stato, come fattore coercitivo, viene utilizzato dalla
burocrazia per proteggere un insieme di relazioni sociali che mirano a
ristabilire il capitalismo. Ancor prima delle privatizzazioni lo Stato russo
aveva cessato di essere uno Stato operaio perché, sotto il comando della
camarilla restaurazionista, la proprietà statale aveva perso ogni carattere
sociale per convertirsi in una fonte di accumulazione privata, anche se non
ancora capitalistica, propedeutica dell’accumulazione capitalistica, a
beneficio della burocrazia. E’ precisamente questo ciò che succede oggi in
Cina.
La
borghesia mondiale e la burocrazia restaurazionista sono lontane dall’aver
imposto in Russia una società capitalistica. La burocrazia si è appropriata
delle imprese ma non è stata in grado di avviare un processo di accumulazione e
di riproduzione, la qual cosa suppone un insieme di relazioni sociali
strutturate in termini mercantili. Le imprese private difettano di mercati
esteri e anche la vendita delle materie prime all’estero ha ancora caratteri
precari. La Russia difetta di un sistema bancario e di una moneta credibili, di
un sistema legale e di un regime fiscale adeguati. In Russia non esiste ancora
un vero mercato del lavoro, per cui il lavoro astratto non costituisce la media
del valore della ricchezza sociale. La burocrazia ha restaurato la proprietà
privata ma non ancora le relazioni sociali proprie dei regimi fondati sulla
proprietà privata.
La
classe operaia costituisce una parte della classe operaia mondiale. L’attuale
generazione operaia non ha conosciuto la vittoria bolscevica né la
controrivoluzione stalinista; non è neppure passata attraverso l’esperienza
della guerra contro il nazismo. Tuttavia, per fare fronte alla lotta più
elementare per le sue rivendicazioni urgenti, la classe operaia russa si vede
obbligata a recuperare la coscienza della Rivoluzione d’Ottobre, che è la
questione storica irrisolta della Russia. Per questo riappaiono, dopo
settant’anni, Trotsky e Stalin come figure della discussione politica
quotidiana. Putin elogiando Stalin nel promuovere la centralizzazione
burocratica dello Stato, ha introdotto un fattore di chiarificazione politica
rispetto al periodo di Eltsin nel quale i restaurazionisti apparivano come la
“sinistra”. Questa è la manifestazione, ancora dal punto di vista
soggettivo, della coscienza delle masse, che il destino delle trasformazioni
sociali inaugurate dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 non sono state ancora
seppellite.
Il
destino finale delle trasformazione inaugurate dalla Rivoluzione d’Ottobre sarà
oggetto tuttavia di una gigantesca lotta di classe, anche internazionale. Come
spiegava Trotsky nella Rivoluzione tradita la Rivoluzione d’Ottobre
continua a vivere nella crisi mortale del capitalismo.
Noi
ci proponiamo di unire alla prospettiva della lotta per rifondare la Quarta
Internazionale quei gruppi militanti che lottano contro la restaurazione
capitalistica in tutta l’Europa orientale.
Lo
stesso vale per la Cina. Il suo ingresso nell'Organizzazione mondiale del
commercio (Omc) significa l’impegno della burocrazia a chiudere e a
privatizzare (cosa già in corso) migliaia di imprese e miniere “obsolete” e
ad aprire l’economia cinese a una penetrazione senza precedenti del capitale
finanziario. Per l'imperialismo, la massiccia entrata di capitali in Cina
dovrebbe servire a monopolizzare interi settori industriali. L’ingresso della
Cina nella Omc significa l’inizio di una tendenza a trasformarsi in una
semicolonia e a soffrire una disintegrazione simile a quella che sta provocando
la penetrazione del capitalismo internazionale in Russia.
Il
processo di restaurazione capitalistica in Cina ha approfondito su scala senza
precedenti tutte le ineguaglianze (sociali, regionali, fra la campagna e la città,
di genere), creando acute tensioni sociali. Con la chiusura e la privatizzazione
delle imprese statali, stabilite in accordo con gli Stati Uniti, saranno
licenziati milioni di operai, che si aggiungeranno alla massa di cento milioni
di disoccupati rurali. Questo ha già cominciato a provocare scioperi,
manifestazioni, cortei di strada e occupazioni di fabbrica su una scala mai
vista al mondo. Lo borghesia mondiale mostra una viva preoccupazione per lo
sviluppo degli avvenimenti in Cina.
La
crisi capitalistica mondiale, con i metodi che le sono propri, ha allargato lo
spazio storico della rivoluzione socialista mondiale ad una scala che non ha
precedenti.
Centrosinistra
e fronte popolare
L’ascesa
di governi di fronte popolare di centrosinistra non solo accompagna
l’emergenza di grandi lotte di massa (e anche di situazioni rivoluzionarie) in
America latina in Asia e in Africa. E’ anche un fenomeno generalizzato in
Europa, culla dell'imperialismo, e potrebbe esserlo entro breve anche in
Giappone. Questo significa che il ricorso al fronte popolare, nella forma di
“centrosinistra” o di “sinistra unita”, che fu a suo tempo la risorsa
principale della controrivoluzione in Spagna, in Francia (1936) e in Cile
(1970-73), viene usato anche adesso anche se in uno stadio iniziale di
polarizzazione politica e di sviluppo politico delle masse, come una sorta di
“fronte popolare preventivo”. Si tratta di un indicatore certo
dell’avanzare della crisi e del timore dell'imperialismo di fronte alle sue
potenziali conseguenze rivoluzionarie.
Il
rapido fallimento politico della piccola borghesia democratizzante e
“progressista” e dei suoi alleati “di sinistra” al potere, può aprire
una alternativa rivoluzionaria se è sfruttata al fine che la classe operaia
arrivi alle conclusioni cruciali: la necessità del partito di classe, del
governo operaio e contadino, dell’unità internazionale del proletariato. La
condizione per questa accelerazione è l’esistenza di un’avanguardia
rivoluzionaria, quartinternazionalista, organizzata in partito di classe, ed è
per questo che occorre procedere il più rapidamente possibile verso la Quarta
Internazionale.
L’affermazione
che centrosinistra e fronti popolari sono solo l’anticamera del ritorno delle
destre denota una concezione contemplativa, parolaia e disfattista. Si può
aprire il cammino verso al rivoluzione a condizione che esista una avanguardia
rivoluzionaria capace di agire. I partiti che assicurano che il centrosinistra,
con la sua politica, prepara il ritorno della destra hanno una concezione
lineare della crisi politica e lasciano aperta l’unica conclusione che la sola
via d’uscita è che i governi di centrosinistra si correggano. Questo è ciò
che propongono, nelle parole e nei fatti, il Pcf e la Lcr, e in generale il
Segretariato unificato e tutti gli stalinisti riconvertiti.
Le
organizzazioni che lottano per la rifondazione della Quarta Internazionale
chiamano Lutte Ouvriére a rompere con l’atteggiamento di passività sul piano
internazionale e a intervenire decisamente con forza nel processo di discussione
e di organizzazione per rifondare la Quarta Internazionale.
Movimentismo
controrivoluzionario o partiti rivoluzionari e Quarta Internazionale
Alla
vigilia di nuove e maggiori convulsioni economiche e politiche a livello
Internazionale, l’imperialismo non può contare neppure lontanamente
sull’aiuto di burocrazie operaie o di sinistra capaci della forza e
dell’autorità del passato. La socialdemocrazia è un’ombra pallidissima di
quello che fu; lo stalinismo è un cadavere mal sepolto; i nazionalismi di vario
segno si sono convertiti in bande di predoni. Per questo motivo l’imperialismo
dedica sforzi giganteschi per prevenire ogni polarizzazione politica. Mentre si
vede obbligato a preparare la guerra o a lasciare che la repressione faccia il
suo lavoro sporco di pulizia, mette in campo una politica dalla faccia
democratica che bene si adatta alla situazione internazionale che si accompagna
alla dissoluzione dell’Urss e al fatto che lo stesso imperialismo ha
accumulato una ricchezza monetaria senza precedenti storici. Questa politica è
anche quella più adatta al completo controllo dei mezzi di comunicazione, delle
diverse chiese e sette e alla assenza di una qualsiasi direzione rivoluzionaria
del proletariato. Quest'ultimo fattore è ciò che consente all’imperialismo
di temporeggiare anche in presenza di movimenti di guerriglia molto sviluppati.
Nessun movimento autenticamente rivoluzionario può ignorare l’importanza che
ha la risorsa democratica come strumento di contenimento, controllo e
dispersione del movimento di massa da parte dell’imperialismo. E’ necessario aiutare i lavoratori a superare questo
ostacolo nel corso della loro esperienza quotidiana, seguendo risolutamente la
regola che la storia può saltare le tappe ma il partito rivoluzionario non può
saltare le tappe dell’evoluzione della coscienza delle masse sfruttate.
Il
ricorso alla “democrazia” e l’acuta differenziazione sociale fra una parte
della piccola borghesia, da un lato, e le masse disperate, dall’altro,
costituiscono l’ambito nel quale è cresciuto il movimentismo di sinistra che
si alimenta dello stalinismo, del nazionalismo, in parte della socialdemocrazia
e per la parte maggiore di intellettualismo accademico. Il movimentismo
sintetizza tutte le tare controrivoluzionarie che si sono annidate in passato
nel movimento operaio; ad esempio la concezione secondo cui il movimento pratico
è tutto e l’obiettivo strategico nulla; o quella secondo cui la lotta fra
partiti e tendenze deve lasciare il posto a un pluralismo reciprocamente
complice (che si oppone al confronto politico preferendogli il metodo del
consociativismo); oppure una terza concezione secondo cui la volontà popolare
è il 51% dei voti, non il proletariato che trascina nella lotta gli strati
intermedi; o una quarta, contrapposta alla dittatura del proletariato, che
afferma tutto dentro la democrazia, nulla fuori di essa; infine, il movimentismo
si dichiara a favore di una organizzazione larga senza confini, e dunque contro
una organizzazione centralizzata in funzione della lotta. Da quando Engels
avvertiva che la democrazia pura sarebbe stata l’ultimo bastione della
controrivoluzione, passando attraverso il fronte popolare, il movimentismo è il
programma che si contrappone all’indipendenza di classe, alla costruzione di
una direzione politica della classe operaia, vale a dire è il programma che si
oppone alla rivoluzione socialista e a una soluzione socialista alla crisi
mortale del capitalismo.
In
America latina il movimentismo si manifesta nel Forum di San Paolo che mantiene
molti legami con l’imperialismo. Pochi anni fa ha riunito in Messico Lula,
Chacho Alvarez, Cuanhtémoc Cardénas e diversi ex guerriglieri sotto l’egida
del messicano Jorge Castaneda ma fondamentalmente per ispirazione del Partito
democratico statunitense. I principali partiti del Forum sostengono i governi di
turno nelle varie aree, si tratti dell’uruguaiano Batlle, del brasiliano
Cardoso o del destro nicaraguense Aleman. In Brasile, la direzione ufficiale del
Partito dei lavoratori (PT) si è opposta alla occupazione di case da parte del
Movimento dei lavoratori senza terra (Mst). In Argentina Alvarez e gran parte di
coloro che stavano nel comitato centrale del Partito comunista fino alla
fondazione del Frepaso, si sono uniti al governo repressivo e pro imperialista
di Alianza. Il Forum di San Paolo unisce con un cordone ombelicale il
Segretariato unificato della Quarta Internazionale e l’imperialismo; cosa che
oggi si manifesta senza pudore con la partecipazione del Segretariato unificato
al governo del Rio Grande del Sud in Brasile. La sezione ufficiale del Forum in
Argentina è Izquierda Unida a cui partecipa anche il “trotskista” Mst.
L’importanza
che diamo al Forum di San Paolo dipende dal fatto che in America latina si
avverte maggiormente la vicinanza di convulsioni rivoluzionarie. Per questo esso
è servito come laboratorio delle tendenze politiche sia del Forum stesso sia
delle diverse forze politiche che ne fanno parte.
Diversi
settori della sinistra europea hanno avuto modo di praticare uno pseudo
internazionalismo attraverso l’adesione al movimento Attac che, con il
pretesto della “lotta alla globalizzazione”, propone una soluzione alla
crisi nel quadro del capitalismo imperialista (l’applicazione della Tobin tax).
Non poteva esser altrimenti, visto che l’origine di Attac si deve ad alcuni
settori dell’imperialismo europeo e dei suoi tradizionali portavoce, incluse
pubblicazioni che hanno aperto generosamente le loro pagine a una “sinistra
rivoluzionaria” che precedentemente rifiutava.
I
limiti politici della grande mobilitazione di Seattle si devono all’influenza
politica di questi settori. Il preteso “libero commercio e la Wto” sono una
finzione, perché il trattato della Organizzazione mondiale del commercio ha ben
poco di libero e ha sottomesso il commercio mondiale a una regolamentazione
inedita in passato che riflette gli interessi del monopolio imperialista (la sua
sistematica violazione è, d’altra parte, un’espressione della lotta
interimperialistica e della crisi mondiale). Combattere il “commercio” non
porta da alcuna parte; è anche reazionario.
Il potere del capitale si concentra nello Stato, includendo nello Stato
le relazioni internazionali fra Stati per una mutua assicurazione contro la
rivoluzione sociale. La lotta contro gli Stati che organizzano gli attacchi
contro i lavoratori e contro le nazioni oppresse è l’unica base possibile per
un vero internazionalismo, che deve cominciare con il combattere il nemico nel
proprio paese. In definitiva, è una politica di pressione e di “riforma”
della borghesia. Con la prospettiva opposta, cioè con una prospettiva operaia
indipendente, chiamiamo a realizzare una campagna negli Stati Uniti che culmini
in una conferenza in una importante città nordamericana.
Il
movimentismo è realmente l’ultima risorsa della controrivoluzione per
combattere la formazione di partiti rivoluzionari, ossia per combattere la piena
formazione storica della classe operaia. Quando falliscono gli argini dello
Stato borghese, esso resta un’ultima variante per la dispersione
dell’energia della classe operaia: manca di programma, manca di politica,
manca di organizzazione e di direzione. Il movimentismo non esita a trasformarsi
in una organizzazione verticale quando si tratta di contrastare una direzione
rivoluzionaria che ha l’appoggio popolare (è quello che è accaduto con il
movimentismo nazionalista in America latina dagli anni trenta in poi), anche se
è più probabile che esso si disintegri per le conseguenze delle sue
contraddizioni, della crisi politica e, certamente,
dell’avanzamento del socialismo rivoluzionario. Fra il movimentismo e il
partito, oscillano in modo centrista coloro che proclamano la necessità di
costruire il partito rivoluzionario e la Quarta Internazionale ma non vedono la
necessità di concretizzare questo proposito.
Per
una aggregazione politica rivoluzionaria
Il
cosiddetto Segretariato unificato è riuscito a realizzare una sintesi di tutte
le politiche anti-rivoluzionarie esistenti nella sinistra, e lo ha fatto in nome
della Quarta Internazionale. La Quarta Internazionale deve essere rifondata
anche per mettere fine a questa finzione politica.
Dopo
il ripudio della dittatura del proletariato in nome della “democrazia” e la
dissoluzione delle sue principali sezioni in schieramenti di fronte popolare, il
SU è passato a far parte del fronte teorico e pratico internazionale del
movimentismo, promosso in alternativa alla costruzione del partito e,
logicamente, come alternativa all’Internazionale; il SU non è un partito, è
un blocco di arrivisti che si dedicano a fare l’entrismo in tutti i
movimentismi esistenti.
Un
recente fronte del SU, in Portogallo, la coalizione “Politica XXI”,
rivendica “storicamente” al “già morto” socialismo di aver contribuito
a “umanizzare” il capitalismo e, per questo, di averlo reso sostenibile.
Nella rivendicazione del “pluralismo democratico” contro
l’“autoritarismo di sinistra” già era contenuto il principio della
dissoluzione del partito nel movimentismo, che si basa sul più antidemocratico
principio secondo cui le divergenze politiche non si devono esplicitare e
discutere ma nascondere in funzione della “pluralità delle opinioni”. Il
movimentismo rappresenta un blocco allo sviluppo della coscienza politica dei
lavoratori.
La
rivendicazione esplicita del capitalismo e il movimentismo vanno insieme, ma il
secondo è uno strumento del primo. In Brasile, la partecipazione con ruolo
dirigente del SU nel governo del Rio Grande del Sud e nella amministrazione di
Porto Allegre (capitale dello Stato). In SU non solo pratica una politica
capitalistica (rispettando e aumentando i sussidi al grande capitale varati dal
governo precedente, distruggendo la previdenza sociale con una politica peggiore
di quella del governo nazionale, di destra, di Fernando Henrique Cardoso) ma è
addirittura un fattore di trascinamento a destra del governo del PT. Il SU ha
messo mano a tutti gli strumenti politici e repressivi dello Stato per
combattere e sconfiggere un poderoso sciopero degli insegnanti e dei maestri del
Rio Grande del Sud. E’ strano che la ripartizione burocratica delle briciole
del “bilancio partecipato”, teorizzata principalmente dal SU, sia una
politica ufficialmente raccomandata dalla Banca mondiale?
Il
SU è andato molto avanti sulla via dei propositi anti-rivoluzionari. La sua
sezione francese, la Lega comunista rivoluzionaria, si prepara a cambiare il
nome di “comunista” e a ripudiare Lenin, Trotsky e la Rivoluzione
d’Ottobre (identificati come precursori dello stalinismo). Si tratta del punto
di approdo logico di un’ampia degenerazione politica.
Non
si tratta di esempi isolati ma di aspetti centrali dio una politica
internazionale che offre il singolare pericolo di praticare una politica di
salvataggio capitalistico in nome dell’“internazionalismo”. Il SU non solo
ha appoggiato ma ha addirittura teorizzato sul “patto di stabilità” imposto
dall’imperialismo alla Iugoslavia e ai Balcani e lo ha fatto da mezzi di
stampa prestigiosi del grande capitale. Lo stesso è accaduto con il suo
appoggio all’intervento “umanitario” dell’imperialismo, attraverso l’Onu,
a Timor est.
Per
i militanti rivoluzionari e combattivi del SU non rimane altra via d’uscita
che la denuncia di questa politica e la rottura, nella prospettiva di unire gli
sforzi nella lotta per la rifondazione della Quarta Internazionale, impedendo
che la storica bandiera di Leone Trotsky sia usata come ariete per una politica
antioperaia.
Una
campagna per la rifondazione della Quarta Internazionale
La
riunione internazionale di Buenos Aires riafferma il suo giudizio circa il
carattere storico della presente
crisi capitalistica e l’attualità del compito della rifondazione della Quarta
Internazionale per superare la crisi di direzione del proletariato
internazionale. Riaffermiamo le dichiarazioni dei precedenti quattro incontri e
i quattro punti programmatici della dichiarazione di Genova del 1997 e ribadiamo
la sua validità nella pratica della nostra lotta.
Riteniamo
necessario far fare senza indugi un passo avanti deciso nella campagna mondiale
per la rifondazione della Quarta Internazionale che consiste in una azione
pratica e organizzata: in un piano di azione. Questa campagna deve approfondire
il metodo politico stabilito nell’incontro di Buenos Aires: tavole rotonde,
agitazione e iniziative politiche di massa. Deve servire per attrarre nuove
organizzazioni alla lotta per la
rifondazione e per sviluppare tra i lavoratori e le masse oppresse dei paesi in
cui militiamo la consapevolezza della necessità di una Internazionale operaia e
rivoluzionaria.
Per
questo promuoviamo un coordinamento più stretto e organizzato
dei partiti e delle tendenze aderenti alla Dichiarazione di Genova.
Il
progresso dell’impegno per la rifondazione della Quarta Internazionale esige
dai suoi partecipanti la massima chiarezza politica e organizzativa. Questo
significa che mettiamo la parola d’ordine della rifondazione della Quarta
Internazionale e le attività relative alle campagne decise al centro
dell’attività politica dei partiti che la sostengono. Per questo ci
impegniamo a promuovere sulla stampa regolare delle nostre organizzazioni una
campagna sistematica per la rifondazione della Quarta Internazionale. Per questo
integriamo un quinto punto ai quattro della dichiarazione costitutiva di Genova:
che tutti i membri del movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale
si impegnano a pubblicare organi di stampa regolari, in cui si farà campagna
sistematica per la rifondazione della Quarta Internazionale.
Con
questi impegni politici e organizzativi chiamiamo a preparare una conferenza
internazionale per delegati eletti dalla base da ciascuno dei partiti e delle
organizzazioni partecipanti, che serva per elaborare in modo definitivo il
programma e i metodi di organizzazione e di intervento nella lotta di classe
internazionale dei nostri partiti, come un vero partito mondiale, come una vera
Internazionale, come la Quarta Internazionale.
Buenos
Aires, 31 maggio 2000
Partido
Obrero (Argentina) • Partido de los Trabajadores (Uruguay) • Oposición
Trotskista (Bolivia) • Partido da Causa Operaria (Brasile) • Comité
Constructor del Partido Obrero (Cile) • Colectivo “En defensa del
marxismo” (Spagna) • Partito rivoluzionario dei lavoratori (Grecia) • Lega
rivoluzionaria dei lavoratori (Turchia)
Rifondare
la Quarta Internazionale
Documentato
presentato dall’Opposizione trotskista internazionale all’incontro di Buenos
Aires (29 maggio – 1 giugno 2000)
1
- La situazione mondiale è caratterizzata dalla crisi e dall’instabilità del
dominio capitalista. I capitalisti attaccano i lavoratori per mantenere i loro
profitti, e i lavoratori resistono. Economicamente la crisi capitalista si può
osservare nel massiccio eccesso di capacità e nella sovraccumulazione di
capitale su scala planetaria; nella crescente ineguaglianza del benessere e del
tenore di vita; nello sviluppo della speculazione e del carattere parassitario
del capitale finanziario ad un livello mai visto dagli anni Venti; nella
conseguente crisi finanziaria che ha sconvolto l’Asia, la Russia e il Brasile
nel 1997-98; nell’incapacità del capitalismo di offrire una prospettiva di
sviluppo all’Africa, e nel timore dei capitalisti di un crollo nei paesi
capitalisti avanzati dopo i profitti e le crescenti speculazioni degli anni
Novanta.
Politicamente
la tendenza delle masse alla resistenza è evidenziata da una serie di
esplosioni nel mondo intero, tra cui le insurrezioni in Albania, in Indonesia,
in Ecuador e in Colombia; gli scioperi studenteschi in Messico e il legame tra
gli studenti e i sindacati negli Stati Uniti contro l’Omc; il ritiro forzato
di Israele dal Libano e la debolezza dei governi in molti paesi.
2
- Questa instabilità costituisce l’espressione del crollo di tutti gli
elementi dell’equilibrio capitalistico del dopoguerra. Negli anni Cinquanta e
Sessanta l’economia capitalistica mondiale è cresciuta in modo relativamente
rapido nel contesto rappresentato dal “compromesso dello stato sociale” nei
paesi capitalistici avanzati, dal predominio degli Stati Uniti sui paesi
imperialisti, dalla decolonizzazione e dal neocolonialismo, e dal sostegno
reciproco, nella pratica, tra lo stalinismo e l’imperialismo.
Con
la fine degli anni Sessanta il capitalismo mondiale è entrato in un periodo di
crisi, dato che l’equilibrio precedente ha lasciato il posto nei paesi
capitalistici avanzati all’intensificazione della lotta di classe, alle
rivalità interimperialistiche, a un’intensificazione della pressione
imperialista e della resistenza nelle semicolonie, e ai conflitti tra regimi
stalinisti e imperialismo in Vietnam e Afghanistan e la campagna guerrafondaia
di Carter e di Reagan.
3
- All’inizio degli anni Settanta la classe operaia si trovava
sull’offensiva, visto che i capitalisti si trovavano costretti a fare
concessioni agli operai e ai giovani nei paesi imperialistici, e alle lotte di
liberazione nazionale e ai movimenti nazionalisti borghesi nelle semicolonie, ed
erano stati sconfitti in Vietnam. In assenza di una direzione rivoluzionaria
coerente, tuttavia, le lotte operaie hanno ottenuto vittorie importanti ma poi
si sono fermate, lasciando ai capitalisti il tempo per riorganizzare le forze e
lanciare la controffensiva. Negli anni Ottanta la classe operaia ha subito degli
arretramenti nella maggior parte dei paesi; nel 1991 l’Unione Sovietica è
diventata vittima delle sue contraddizioni interne e delle pressioni
imperialiste ed è crollata. I capitalisti hanno sperato di imporre un “nuovo
ordine mondiale” neoliberale fondato su uno sfrenato sfruttamento
capitalistico, mascherato da democrazia e rafforzato da interventi militari
“umanitari”.
4
- Nonostante i propri successi, i capitalisti non sono stati capaci di stabilire
un nuovo equilibrio né sul piano economico né su quello politico.
Alcuni
osservatori, anche di sinistra, vedono la possibilità di una nuova espansione
economica a lungo termine sospinta dalle conquiste tecnologiche nei settori dei
computer, delle telecomunicazioni e delle biotecnologie, l’espansione globale
del commercio e degli investimenti, l’aumento senza precedenti del tasso di
sfruttamento e l’apertura dell’ex Unione Sovietica, dell’Europa dell’Est
e della Cina alla penetrazione imperialista. Ma si tratta di una possibilità
illusoria.
Un
massiccio eccesso di capacità produttiva, le rivalità interimperialistiche e
la resistenza dei lavoratori impediscono ai capitalisti di trarre vantaggio
dalle loro possibilità tecnologiche. I capitalisti non possono garantire quelle
concessioni che sarebbero necessarie per assicurare la pace sociale e permettere
il funzionamento della democrazia o delle dittature. Il nuovo ordine mondiale ha
fatto fallimento.
5
- A cominciare da metà degli anni Novanta i lavoratori hanno cominciato a
opporre resistenza all’ordine neoliberale. Le lotte sociali e di classe sono
diventate più frequenti e l’avanguardia ampia della classe operaia ha
cominciato a riprendersi dallo shock e dalla confusione causati dalle sconfitte
degli anni Ottanta e Novanta, in primo luogo dal crollo dell’Unione Sovietica,
e sta cercando le ragioni delle sconfitte e i modi per riuscire a superarli. Se
lo stalinismo, la socialdemocrazia, il mero sindacalismo e il nazionalismo
piccolo-borghese sono discreditati, elementi dell’avanguardia hanno cominciato
a rivolgersi ad alternative più radicali, tra cui al trotskismo.
6
- Lo sviluppo della lotta di classe è ancora molto diseguale e non ha raggiunto
un livello tale da minacciare il dominio capitalistco su scala mondiale. Per ora
i capitalisti sono in grado di perpetrare i loro attacchi alla classe operaia
mediante manovre all’interno di uno spettro politico ristretto tra il
centro-destra e il centro-sinistra, senza dover ricorrere a fronti popolari come
quelli degli anni Trenta, alle dittature militari o al fascismo. Ma
l’incapacità dei capitalisti di rendere stabile il loro sistema e la
resistenza proletaria mostrano che la prospettiva rivoluzionaria resta valida.
7
- La soluzione proletaria alla crisi capitalista è la rivoluzione mondiale. Gli
apparati stalinisti e socialdemocratici non condurranno la lotta per il potere
operaio, dato che i loro interessi materiali li legano all’ordine borghese. Né
lo faranno i gruppi dell’ex estrema sinistra – alcuni dei quali dicono
ancora oggi di essere trotskisti – che si sono adattati alla società borghese
in nome di una democrazia radicale o sociale, e non vedono la necessità del
potere operaio come precondizione per uscire dall’impasse del
capitalismo.
8
- Gli strumenti necessari alla
classe operaia per conquistare il potere sono i partiti rivoluzionari e
un’Internazionale rivoluzionaria. La ragione per cui le esplosioni degli anni
passati sono state tutte contenute risiede nel fatto che non sono state dirette
da partiti rivoluzionari e quindi sono sfociate in collaborazioni di fronte
popolare o di tipo nazionalista con la borghesia locale e, in molti casi, con
l’imperialismo. Il compito dei marxisti rivoluzionari consiste nel costruire
una direzione in grado di intervenire negli sviluppi rivoluzionari della lotta
di classe e dirigere la classe operaia alla conquista del potere.
9
- Il partito rivoluzionario deve basarsi sull’unico programma genuinamente
rivoluzionario, il programma della Quarta Internazionale. Nessuna delle
organizzazioni internazionali esistenti è la Quarta Internazionale. Sono tutte
minuscole e quasi tutte soffrono di deviazioni centriste, di un tipo o
dell’altro, anche se non si sono rappacificate con l’ordine capitalistico.
Il
Segretariato unificato, in particolare, si è sempre più allontanato dal
trotskismo, pur continuando a proclamare di essere la Quarta Internazionale,
creando così un ostacolo a coloro i quali vogliono costruire una Quarta
Internazionale genuinamente rivoluzionaria.
Oggi
i rivoluzionari si trovano dispersi sia nelle varie organizzazioni trotskiste
sia in organizzazioni non trotskiste e nell’avanguardia non organizzata. Un
compito chiave dei trotskisti conseguenti è unire questi rivoluzionari in una
Quarta Internazionale con egemonia di massa, smascherando le direzioni centriste
nella lotta di classe e sconfiggendole politicamente.
10
- I firmatari della dichiarazione di Genova hanno lavorato insieme per oltre tre
anni per rifondare la Quarta Internazionale. Abbiamo fatto qualche progresso da
quando il Partito operaio rivoluzionario di Grecia ha aderito alla nostra lotta
nel 1997, tra cui il più importante è stato l’adesione della Lega marxista
operaia di Turchia. Ma siamo ancora lontani dall’aver raggiunto lo scopo.
Abbiamo bisogno di coordinare e consolidare il nostro lavoro internazionale e i
nostri sforzi in modo da attrarre altre forze alla lotta per rifondare la Quarta
Internazionale.
A
questo scopo organizzeremo una conferenza di delegati provenienti da tutte le
organizzazioni che cercano di rifondare la Quarta Internazionale come necessaria
risposta alla crisi capitalistica e alla aspirazione dei lavoratori a lottare
per una soluzione alternativa. Anche se non siamo in grado di attrarre forze
sufficienti per un’effettiva rifondazione della Quarta Internazionale, questa
conferenza aiuterà la costruzione di un Movimento per la Quarta Internazionale
e costituirà un passo in avanti nella soluzione della crisi di direzione
proletaria.
Buenos
Aires, 2 giugno 2000
Opposizione
trotskista internazionale, Associazione marxista rivoluzionaria “Proposta”
(Italia), Trotskist League (Stati Uniti)