I CONFERENZA SOCIALISTA SUI BALCANI E IL MEDIO ORIENTE 

 

 Comunicato finale della Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato

La Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato, tenutasi ad Atene, in Grecia, il 22 e 23 gennaio 2000, e conclusasi con una grande manifestazione pubblica al Politecnico di Atene il 24 gennaio, costituisce un importante passo in avanti dell’internazionalismo proletario e del fronte di classe contro l’imperialismo e l’aggressione della Nato.

La conferenza è nata su iniziativa del Partito operaio rivoluzionario di Grecia (Eek) e della Lega operaia marxista di Turchia. Hanno partecipato delegati di 19 organizzazioni e tendenze proletarie e di sinistra, provenienti da otto paesi differenti:

- dalla Turchia, la Lega marxista operaia;

- dalla Jugoslavia, un membro dell’Unione dei giornalisti jugoslavi;

- dalla Romania, la Resistenza comunista, l’Associazione rumena antifascista e il Partito socialista del lavoro (Psm, uno dei tre Partiti comunisti del paese);

- dall’Albania, l’Unione dei lavoratori albanesi;

- dalla Grecia, l’Eek, la Corrente della nuova sinistra (Nar), la Gioventù di liberazione comunista, il Raggruppamento della sinistra (Aristeri Anasyntaxi), il Gruppo sociale di sinistra, l’Akos (Organizzazione comunista autonoma della città di Serres) [tutti questi gruppi provengono da scissioni del Partito comunista], l’Okde-Ergatikì Pali (Organizzazione dei comunisti internazionalisti greci-Lotta operaia, un gruppo simpatizzante del Segretariato unificato della Quarta Internazionale), Ergatikì Exousia (Potere operaio, un gruppo vicino alla Lit, Lige internacionalista de los traballadores);

- dalla Russia, il Partito russo dei comunisti - Organizzazione della regione di Leningrado, l’Unione degli internazionalisti di sinistra, l’Associazione internazionale degli studenti per la democrazia e il socialismo;

- dal Kurdistan, il Partito della liberazione del Kurdistan;

- dall’Argentina, il Partito operaio (Partido obrero).

Inoltre la Conferenza socialista dei Balcani ha ricevuto messaggi di solidarietà e saluti dall’Associazione marxista rivoluzionaria Proposta (animatrice dell’ala sinistra del Partito della rifondazione comunista), dal Partito dei lavoratori uruguaiano (Pt), da Osvaldo Coggiola, Presidente dell’Unione dei professori dell’Università di San Paolo, in Brasile, e membro del Comitato nazionale del Partido obrero d’Argentina, da un rappresentante dei lavoratori bulgari immigrati in Grecia, dall’Unione per l’emancipazione degli sfruttati della Romania, dal Segretario generale del Partito russo dei comunisti-Organizzazione della regione di Leningrado, E. A. Kozlov.

Per due giorni si è sviluppata una discussione molto ricca e intensa, con la partecipazione attiva dei delegati della maggior parte delle organizzazioni, che hanno contribuito ad approfondire la comprensione comune dei compiti storici che si trova di fronte il proletariato nei Balcani e a livello internazionale. Infine la stragrande maggioranza ha votato per la costituzione di un Comitato internazionale dei lavoratori contro la Nato, allo scopo di coordinare le campagne internazionali contro gli interventi imperialisti, e la fondazione del Centro socialista dei Balcani Christian Rakovsky, per promuovere in comune le attività internazionaliste nell’area, conferenze, seminari, riunioni, ecc., produrre pubblicazioni, un sito web con notizie e analisi sugli sviluppi nell’area e a livello internazionale, un bollettino speciale, ecc. Nessuno ha votato contro queste proposte; soltanto alcuni gruppi hanno detto di dover consultare le loro rispettive organizzazioni prima di dare una risposta. E’ già stato formato un comitato del Centro Christian Rakovsky.

La Conferenza ha inoltre adottato delle risoluzioni che condannano il previsto rilascio del macellaio Pinochet e in difesa della lotta di liberazione kurda, per il diritto di autodeterminazione e per la liberazione di Ocalan.

E’ stato deciso di tenere una seconda Conferenza socialista dei Balcani alla fine dell’anno o all’inizio del prossimo, per controllare il lavoro fatto e svilupparlo. Tutti i partecipanti sono stati invitati alla Conferenza internazionale della primavera del 2000 a Buenos Aires, in Argentina, per discutere la necessità di un’Internazionale operaia rivoluzionaria, promossa dall’Iniziativa internazionale per rifondazione immediata della Quarta Internazionale.

Il 24 gennaio al Politecnico di Atene si è svolta una manifestazione con 250 partecipanti per presentare i risultati della conferenza. Il 24 gennaio ricorre l’anniversario della morte di Lenin, la data delle celebrazioni delle “tre L” (Lenin, Luxemburg e Liebknecht) nel periodo rivoluzionario dell’Internazionale comunista. Si è trattato di una vera festa internazionalista, nella quale si sono trovati insieme serbi e albanesi, turchi e greci, turchi e curdi, internazionalisti dalle zone più lontane, da Leningrado a Buenos Aires, in una straordinaria atmosfera di solidarietà e fratellanza rivoluzionaria, a parlare della lotta comune per sconfiggere l’imperialismo, rovesciare il capitalismo mondiale e costruire una società senza classi, il comunismo.


Risoluzione della Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato

 

Unità socialista dei Balcani: la sola risposta all’aggressione imperialista e alla barbarie capitalista.

La guerra della Nato contro la Jugoslavia, nel 1999 in Kosovo, segna un punto di svolta non solo nei Balcani ma a livello internazionale. E’ la prima guerra nel centro d’Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Inoltre è la prima messa in pratica delle nuove concezioni strategiche adottate ufficialmente dalla Nato, insieme con i suoi barbari bombardamenti, di affermare la dominazione imperialista sotto l’egemonia Usa nel mondo del dopo guerra fredda. In questo senso è la prima guerra del ventunesimo secolo. I popoli balcanici sono stati i primi a pagare in uno scontro dal quale, in definitiva, dipende il destino dell’umanità intera nel nuovo secolo.

L’aggressione della Nato ha causato nella regione una vera catastrofe umanitaria, nel nome dei diritti umani. Anche se le bombe non sono riuscite a distruggere il potenziale militare della Jugoslavia, le infrastrutture e, prima di tutto, la popolazione civile del paese, hanno ricevuto dei colpi devastanti. Non solo il popolo serbo, ma gli stessi kosovari, i cui diritti umani sono stati usati fraudolentemente come pretesto, hanno pagato un prezzo enorme in sangue e distruzioni in seguito alle operazioni di guerra della Nato. Anche i confinanti paesi balcanici stano sanguinando per le conseguenze della guerra. In particolare la Romania e la Bulgaria stanno subendo gli effetti collaterali dell’embargo contro la Jugoslavia, della distruzione dei ponti e delle infrastrutture per via dei bombardamenti e della distruzione del traffico sul Danubio. Così questi enormi danni economici collaterali si assommano al disastro sociale prodotto dall’introduzione del libero mercato, il processo di restaurazione del capitalismo e le misure draconiane imposte dal Fmi.

Gli albanesi kosovari non hanno ottenuto la loro autodeterminazione nazionale promessa dall’imperialismo Usa e Nato e dai loro tirapiedi dell’Uck (Kla). Il Kosovo, dopo la Bosnia, l’Albania e l’ex repubblica jugoslava della Macedonia, è stato trasformato in un protettorato militare occupato dall’imperialismo ed è diventato il luogo di un’altra pulizia etnica, questa volta contro i Serbi e i Rom.

Dopo il cessate il fuoco firmato nel giugno del 1999, la guerra continua con altri mezzi. L’imperialismo sta aizzando la separazione del Montenegro da ciò che resta della Federazione jugoslava e oltre, ossia la separazione della Voivodina e del Sangiaccato, cioè la completa frammentazione della Serbia. Gli imperialisti americani ed europei stanno sostenendo apertamente e senza vergogna una falsa opposizione in Serbia, con l’intento dichiarato di sostituire il regime di Milosevic con qualche Quisling balcanico.

Il fallimento delle mobilitazioni della falsa opposizione in Serbia ha dimostrato che le masse popolari non dimenticano né perdonano l’aggressione della Nato. D’altra parte, la visita di Clinton nei Balcani, qualche mese dopo la guerra nel Kosovo, è stata salutata con dimostrazioni antimperialiste di massa senza precedenti in Grecia e, ad altri livelli, in Turchia e perfino in Bulgaria. E’ chiaro che la resistenza contro l’intervento imperialista nei Balcani non si è spenta nel giugno scorso col cessate il fuoco firmato dalla Nato e dalle autorità jugoslave. Le battaglie decisive sono di fronte a noi, e non alle nostre spalle. La preparazione e l’organizzazione politica, la strategia e le tattiche, le iniziative coscienti e una direzione decisiva sono le questioni chiave.

Gli imperialisti stanno già facendo i loro preparativi e stanno intraprendendo i passi necessari per i loro piani strategici.

Il cosiddetto Patto di stabilità per la sottomissione economica dei Balcani annunciato dall’Unione europea e da Clinton; la visita del Presidente statunitense nell’area allo scopo di promuovere la riorganizzazione del sistema di controllo imperialista; i nuovi scontri violenti nel Caucaso, la guerra in Cecenia e la sua connessione alla crisi balcanica, sottolineata dallo stesso Clinton; il summit dell’Ocse ad Istanbul e i suoi piani di sicurezza per i Balcani, l’ex Unione sovietica e l’Asia centrale; l’accordo per l’oleodotto Baku-Ceyan per strappare il petrolio dell’Asia centrale al controllo russo; il vertice dell’Unione europea a Helsinki e la sua decisione di estensione ad Est: tutti questi elementi mostrano chiaramente che la guerra nel Kosovo non è stato un conflitto militare isolato, ma il primo atto di un nuovo dramma storico.

La globalizzazione e la crisi del capitalismo

La guerra del Kosovo in Occidente è stata presentata come la prima dell’era della globalizzazione. Clinton stesso, in un discorso propagandistico durante i bombardamenti, ha cercato di giustificare l’intervento imperialista in Jugoslavia, dicendo che la globalizzazione stabilisce la supremazia dei cosiddetti valori universali sulla sovranità nazionale. Ma naturalmente questo universalismo predominante non esclude gli interessi nazionali imperialisti, lo serve nelle nuove condizioni. Un teorico della globalizzazione capitalista e dell’imperialismo Usa, Thomas Friedman, ha scritto all’inizio della guerra, appoggiando i bombardamenti, nel New York Times Magazine del 28 marzo 1999: “Il sostegno alla globalizzazione è il nostro interesse nazionale predominante. La globalizzazione sono gli Stati uniti. Essa richiede una struttura geopolitica stabile, che semplicemente non può essere mantenuta senza l’attivo coinvolgimento degli Stati uniti”.

Né sono scomparsi gli interessi degli imperialisti europei. L’integrazione dell’Unione europea e l’introduzione dell’euro sono l’espressione non dell’eliminazione, ma della riorganizzazione degli interessi capitalisti nazionali di fronte alla sfida della globalizzazione capitalista e delle pressioni americane. Non c’è nulla di progressivo nel difendere la costruzione di una fortezza Europa da parte del capitale monopolistico. La classe operaia europea, i dieci milioni di disoccupati e socialmente esclusi già stanno pagando un enorme prezzo sociale. Né i popoli balcanici potranno avere un futuro nell’Unione europea imperialista, che è direttamente responsabile e coinvolta nella tragedia della Jugoslavia, dal suo smembramento e le guerre di Genscher in Slavonia, Bosnia e Krajina, fino alla guerra nel Kosovo. Il cosiddetto Patto di stabilità annunciato a Colonia e Sarajevo, dopo i bombardamenti, è sia un accordo tra gli interessi imperialisti europei e americani, in conflitto tra di loro, di schiavizzare economicamente la regione balcanica, sia una frode; nessun reale aiuto giungerà dall’Occidente ai popoli balcanici.

La globalizzazione fornisce un nuovo campo mondiale per gli antagonismi nazionali imperialisti in lotta per il controllo sull’economia mondiale. L’imperialismo Usa è senza dubbio il centro del capitalismo mondiale più potente dal punto di vista militare, politico ed economico. Ma questo significa anche che il suo equilibrio interno è basato su un equilibrio mondiale, che ancora non esiste. La crisi e il declino storico del capitalismo, così come le nuove condizioni dopo il collasso dell’Unione sovietica, causano la necessità, per l’imperialismo Usa, di nuove relazioni con l’Europa e la sua integrazione economica.

Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere per la sicurezza del Presidente americano e artefice della recente estensione della Nato fino ai confini della Russia, ha insistito che il nuovo ordine mondiale dipenderà da chi controllerà l’Eurasia, lo spazio nel quale sono concentrate le maggiori risorse dell’economia mondiale, e come una forza non eurasiatica, gli Stati uniti, potranno assumerne il controllo.

Lo stesso spirito è espresso nella nuova concezione strategica adottata dalla Nato e inizialmente praticata nei Balcani.

A dieci anni dal crollo del muro di Berlino, il collasso del Socialismo “reale” e l’implosione dell’Unione sovietica, l’ordine internazionale del dopoguerra, disegnato con gli accordi di Jalta e Potsdam, è in rovine e non è stato ancora rimpiazzato con nessun uovo ordine mondiale. L’altro pilastro dell’equilibrio mondiale del dopoguerra e dell’espansione del capitalismo, l’edificio keynesiano degli accordi di Bretton Woods, basato sulla convertibilità dell’oro con il dollaro, è già collassato all’inizio degli anni Settanta con la trasformazione di un boom prolungato senza precedenti in una crisi di sovrapproduzione di capitali, anch’esso senza precedenti, non ancora risolta. La deregulation e la globalizzazione dei mercati finanziari dalla fine degli anni Settanta, inizio Ottanta, accompagnata dalla frenesia neoliberista antikeynesiana, costituisce un tentativo di trovare una via d’uscita esattamente dalla crisi di sovrapproduzione di capitale e le sue implicazioni esplosive e rivoluzionarie, manifestatesi internazionalmente nel periodo 1968-75.

L’euforia tra i capitalisti, dieci anni fa, che il collasso dell’Unione sovietica rappresenta la vittoria finale e completa del capitalismo nell’era della globalizzazione si è, dalla metà degli anni Novanta, dissolta. Il capitale globalizzato non ha riempito in maniera pacifica e rapida il vuoto lasciato dai collassi nell’Est. Al contrario, questo vuoto, particolarmente nell’ex Unione sovietica, è diventato, come ha detto George Soros, una specie di buco nero che minaccia di risucchiare lo stesso Occidente capitalista.

D’altra parte, la globalizzazione del capitale, che è soprattutto la globalizzazione del capitale finanziario, ha manifestato che le sue contraddizioni sono esacerbate, che esprimono il sintomo del suo esaurimento: il crollo del 1997, centrato nella regione del Pacifico, è una pietra miliare storica. Rappresenta non solo la fine della leggenda delle Tigri asiatiche, ma che le tensioni all’interno della struttura finanziaria globale hanno raggiunto un punto esplosivo, la sua estrema fragilità, la vulnerabilità dei centri metropolitani del capitale finanziario, prima di tutto negli Stati uniti d’America, il centro odierno del sistema capitalista mondiale. Il collasso del Long Term Capital Managment, il più grande fondo d’investimento ad alto rischio di Wall Street e del mondo intero, in seguito allo shock mondiale del crollo del 1997, così come le misure di emergenza, prese dall’amministrazione Usa e dalla comunità finanziaria mondiale per evitare la catastrofe, dimostrano la sua vulnerabilità.

In definitiva, la guerra della Nato nei Balcani, diretta dagli Usa, non è la manifestazione di un avanzamento della globalizzazione capitalista, come è stato presentato da alcuni analisti di destra e di sinistra, ma la manifestazione violenta dell’esplosione delle sue contraddizioni.

Un risultato devastante della stessa tempesta finanziaria internazionale è stato il crollo della Russia nel 1998. I più autorevoli rappresentanti del capitalismo occidentale dovevano ammettere pubblicamente che la tanto pubblicizzata transizione al mercato nella terra della Rivoluzione socialista d’Ottobre, dopo un decennio di sforzi sostenuti, di prestiti e misure imposte da parte del Fmi, dopo le terapie d’urto e i programmi di privatizzazioni, dopo il saccheggio della proprietà pubblica e la tragedia per milioni di persone, è fallita. Il disastroso processo delle restaurazione capitalista è a un’impasse.

I settori del capitalismo occidentale più aggressivi e coscienti sono giunti alla conclusione che la sola strada al riassorbimento nel mercato capitalista mondiale delle vaste aree dal quale il capitalismo era stato espropriato nel passato, dall’Europa centrale ai Balcani all’ex Unione sovietica alla Cina, passa attraverso la loro colonizzazione. La sola forma praticabile dal capitalismo in queste aree può essere di tipo semicoloniale, con una borghesia compardora parassitaria che governa i loro paesi, ridotti a fonti di materie prime e manodopera a basso costo, per conto dei centri imperialisti.

Non si può trattare dello stesso processo delle precedenti epoche del capitalismo o degli inizi dell’imperialismo, quando le formazioni sociali precapitaliste e storicamente arretrate vennero integrate nella sfera di sfruttamento dalle aree capitaliste metropoli occidentali. Adesso sono le formazioni economiche e sociali post-capitaliste, e non precapitaliste, che devono essere integrate da un sistema capitalista mondiale nella sua fase storica di declino. I passi necessari nella strada verso la restaurazione capitalista sono la disintegrazione delle entità multinazionali, la formazione di nuovi staterelli fantasma legati ai centri occidentali del capitalismo, l’istituzione di protettorati e avamposti militari, il rafforzamento di una macchina militare della Nato ristrutturata per l’intervento, il controllo e la dominazione imperialista.

Per trovare una scappatoia alla sua crisi mondiale e al collasso dell’intero ordine internazionale del dopoguerra, il capitalismo ha bisogno di ristabilire, su nuove basi, il nuovo equilibrio mondiale, il tristemente famoso Nuovo ordine mondiale. Significa prima di tutto la riconquista di quello che i briganti occidentali chiamano il “Selvaggio est”. Non è per caso che i documenti di Rambouillet, l’anticamera diplomatica dell’aggressione alla Jugoslavia, parlano della necessità di impiantare in quest’area il libero mercato. Di nuovo Thomas Friedman, nell’articolo citato sopra, parla delle ragioni vere della guerra del Kosovo: “La mano nascosta del mercato non funzoineà senza il braccio nascosto. Non possono diffondersi i Mc Donald senza McDonnell Douglas, il progettista dell’F-15. E il braccio nascosto che conserva il mondo per le tecnologie di Silicon Valley si chiama esercito, aviazione, marina e marines degli Stati uniti d’America.

I Balcani occupano una posizione nevralgica e strategica nel ventre molle della cintura che circonda l’ex Unione sovietica e nell’incrocio delle vie di transito del petrolio proveniente dal Caucaso e dal Medio oriente con destinazione Europa occidentale. Quindi l’istituzione di un controllo saldo e di una forte presenza militare in questa regione è stato ed è vitale per gli interessi dell’imperialismo europeo e americano. La strada verso Mosca passa per Belgrado. Quindi il rifiuto della Jugoslavia ad abdicare alla sua sovranità nazionale, e piegarsi all’ultimatum di Rambouillet secondo atto, è diventato il casus belli. Dal punto di vista delle necessità imperialiste di un Nuovo ordine mondiale, la Jugoslavia, in quanto centro di resistenza, doveva essere polverizzata, i Balcani colonizzati e la Russia balcanizzata.

La guerra nel Caucaso

L’aggressione contro la Jugoslavia non è stato che l’inizio. L’attacco calcolato contro l’ambasciata cinese a Belgrado, la nuova guerra fredda contro la Cina popolare, l’estensione della Nato all’Est e le continue esercitazioni militari ai confini della Russia e la guerra in Caucaso, sono momenti legati dello stesso processo.

Senza dubbio la nomenklatura restaurazionista al Cremino, sotto la direzione di Eltsin e poi di Putin, è colpevole dei crimini di massa e degli attacchi barbari contro la popolazione in Cecenia, così come per le forze separatiste e mafiose alimentate dalla restaurazione capitalista e lo scioglimento dell’Unione sovietica. I diritti nazionali e l’autodeterminazione dei ceceni e degli altri popoli caucasici devono essere rispettati e ristabiliti.

Ma solo chi è cieco politicamente o i reazionari possono ignorare il ruolo centrale giocato nel Caucaso dall’imperialismo, le compagnie petrolifere e il suo braccio militare, la Nato nel suo nuovo ruolo globale.

Di nuovo l’imperialismo, come nel caso dei Balcani, usa i problemi nazionali per i suoi obiettivi. Appena dopo il cessate il fuoco nei Balcani è stata creata una provocazione nel Caucaso dall’intrusione in Daghestan e in Inguscezia di un gruppo di ribelli ceceni che improvvisamente si dichiarano islamici, senza alcun sostegno nella popolazione locale. La provocazione è stata accompagnata dagli attentati terroristici ai danni di alcuni edifici nei quartieri operai di Mosca, fornendo ai governanti del Cremlino l’opportunità di un sostegno di massa alla loro offensiva in Cecenia.

Le milizie cecene ricevono il diretto appoggio dei regimi filo-occidentali in Georgia e Azerbaigian, che stanno apertamente chiedendo l’ammissione alla Nato, così come della Turchia e dell’Arabia Saudita, che si muovono, la prima in nome del nazionalismo turanico, la seconda in nome dell’Islam, ma in realtà per conto degli imperialisti Usa e Nato. D’altra parte, i movimenti separatisti in Abkazia, Avaria e nell’Ossezia meridionale, così come l’Armenia, sostengono la Russia. In definitiva si tratta di una guerra per procura tra la Russia e l’Occidente per il controllo del petrolio e delle altre risorse caucasiche, del mar Caspio e dell’Asia centrale. Ma non si tratta solo di questo: si tratta anche di una guerra sul futuro delle terre dell’ex Unione sovietica, che rende necessario, per l’imperialismo, neutralizzare e balcanizzare la Russia, in modo da impedire qualsiasi rinascita rivoluzionaria di una nuova Federazione socialista sovietica. Per la stessa ragione le potenze imperialiste sostengono e promuovono il cosiddetto gruppo Guuam delle ex repubbliche sovietiche, un’alleanza economica tra Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbaigian e Moldavia, che adesso sta assumendo il carattere di una cooperazione per la sicurezza con una forza armata comune per difendere il nuovo oleodotto Baku-Supsa.

Gli sforzi imperialisti e dei loro procuratori locali devono essere sconfitti dall’azione delle masse popolari, non dalla mafia dei Berezovski al Cremlino, che giocano la carta del nazionalismo grande russo. Le burocrazie restauratrici ex sovietiche, e ora apertamente anti-sovietiche, non devono ricevere nessun sostegno. Non solo a causa dei loro metodi barbari di distruzione di massa usati in Cecenia, il brutale rigetto dei diritti nazionali delle popolazioni locali, il loro sciovinismo grande russo e il razzismo anti-ceceno; questa elite burocratica è responsabile, in primo luogo, della disintegrazione dell’Unione sovietica e di tutte le tragiche conseguenze sofferte dalla popolo sovietico multinazionale, dato che la svolta al mercato e il processo di restaurazione capitalista è stato inaugurato dalla stessa nomenklatura dominante. La cricca del Cremlino sotto Putin ora cerca di consolidare il suo potere con la guerra in Cecenia, un potere restaurazionista filocapitalista che, per la sua natura, non può fermare ma farà avanzare il processo di frammentazione dell’ex Unione sovietica e di colonizzazione e balcanizzazione della stessa Russia. Solo la sconfitta della controrivoluzione restaurazionista, ad opera delle masse lavoratrici, l’istituzione di un genuino potere operaio sovietico e di un’economia democraticamente pianificata, la restituzione di un’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche rinnovata con il pieno rispetto del diritto di autodeterminazione nazionale per tutte le nazionalità, può sconfiggere la minaccia di balcanizzazione della Russia e garantire gli stessi diritti nazionali del popolo ceceno.  

La Grecia e la Turchia

Le guerre intrecciate nei Balcani e nel Caucaso costituiscono le prime in una serie di guerre di ricolonizzazione dei paesi che appartenevano a quello che si chiamava il campo socialista. La Nato e in particolare i suoi due stati membri nell’area, la Turchia e la Grecia, devono giocare un nuovo ruolo. La direzione americana dell’alleanza imperialista lo ha detto chiaramente. Ci sarà una divisione del lavoro. La Grecia, in quanto già membro dell’Unione europea e potenza economica nei Balcani, come ha detto Clinton nella sua visita nell’area, dovrà promuovere la transizione al mercato, in altre parole la restaurazione capitalista, nella penisola, il suo assorbimento nel mercato capitalista mondiale in posizione subordinata alle richieste delle metropoli capitaliste. D’altra parte la Turchia, come ha detto Holbruck, giocherà dopo la guerra fredda lo stesso ruolo giocato dalla Germania occidentale nel periodo della guerra fredda, sulla linea del fronte con la Russia, in particolare in Caucaso e nell’Asia centrale. L’asse turco-israeliano inoltre sarà vitale per il controllo dell’ancora instabile Medio oriente. Ambedue i paesi, la Grecia e la Turchia, dovranno riorganizzare le loro forze militari e materiali in questo contesto, nel quadro di una Nato ristrutturata che funziona come agenzia globale dell’intervento imperialista e della controrivoluzione.

A questo riorentamento delle potenze regionali servono due precondizioni.

La lotta di liberazione nazionale kurda, che si svolge nell’aria nevralgica tra il Caucaso e il Medio oriente, un’area di transito dell’oleodotto Baku-Ceian, deve essere fermata da ogni costo. Il tradimento operato ai danni del leader del Pkk Ocalan da parte dei governi di centro-sinistra in Grecia e nell’Unione europea, che l’hanno consegnato alle autorità turche, serve a questo scopo. Il Pkk ha già dichiarato di voler fermare la lotta armata e cercare una soluzione pacifica di compromesso all’interno dei confini dello Stato turco.

Qualsiasi alternativa rivoluzionaria senza compromessi in Kurdistan deve scontrarsi non solo con la repressione turca ma con l’imperialismo della Nato e le necessità della globalizzazione capitalista. In tal senso necessita di una prospettiva socialista mondiale anticapitalista e antimperialista, dal punto di vista della classe operaia rivoluzionaria. La questione kurda, legata storicamente con l’epoca del colonialismo e della decadenza imperialista del capitalismo, è adesso più che mai una questione internazionale sia per la rivoluzione che per la controrivoluzione.              

Gli antagonismi regionali tra la Grecia e la Turchia, che spesso sono giunti al punto di scatenare una guerra aperta sulla questione dell’Egeo e di Cipro, devono essere subordinati agli interessi globali della Nato, chiaramente espressi nelle sue nuove concezioni strategiche. La diplomazia segreta, insieme con le riunioni tra rappresentanti greci e turchi, sotto l’egida dell’imperialismo, la visita di Clinton in Grecia e in Turchia e, infine, il vertice dell’Unione europea ad Helsinki, hanno operato allo scopo di far scendere le tensioni e avanzare un compromesso su Cipro e l’Egeo, subordinato agli interessi dell’imperialismo della Nato. La propaganda ufficiale presenta queste misure come dei passi in avanti verso la pace tra i due paesi e la stabilità nell’intera regione. E’ una cinica menzogna. E’ un fatto che l’imperialismo manipola gli antagonismi tra le classi dominanti in Grecia e in Turchia, che si contendono l’egemonia nella regione per i suoi scopi. Non li elimina ma li trasferisce in un’arena più grande sotto il suo controllo. Le prospettive di pace non aumentano visto che la Nato può coinvolgere i due paesi in una guerra nella regione. Nel futuro, in una congiuntura mutata, gli stessi meccanismi di controllo che oggi servono a contenere il conflitto greco-turco potranno acutizzarlo. Le crisi periodiche e il contenimento attraverso l’intervento imperialista esterno sono parti dello stesso meccanismo di controllo che manipola gli interessi confliggenti delle borghesie locali. Una guerra sarebbe reazionaria da ambo i contendenti, e dovrebbe essere trasformata da parte delle masse oppresse in una rivoluzione contro i loro oppressori.

Per sua stessa natura il controllo imperialista non potrà essere spezzato senza una lotta comune dei due popoli uniti contro l’oppressore imperialista e contro le sue agenzie locali, le borghesie turca e greca. Per trionfare, la lotta antimperialista deve porsi degli obiettivi anticapitalisti al di là e al di qua dell’Egeo, e per il trionfo della rivoluzione socialista bisogna lottare non solo contro la classe dominante locale e lo sfruttamento capitalista, ma anche contro l’imperialismo, le sue macchinazioni, le sue manipolazioni e la sua oppressione. Il riavvicinamento dei regimi borghesi greco e turco, sponsorizzato dall’imperialismo americano ed europeo, deve essere contrastato su queste basi internazionaliste, senza concessioni ai guerrafondai greci e turchi. Siamo per il riavvicinamento dei due popoli oppressi e sfruttati contro il riavvicinamento dei loro oppressori, stranieri e locali. In Turchia i rivoluzionari devono particolarmente prestare attenzione e solidarietà alla lotta nazionale di liberazione kurda.

La divisione di Cipro, l’occupazione della sua pare settentrionale da parte delle truppe turche, l’esistenza di basi imperialiste e di truppe straniere sull’isola così come qualsiasi pseudo-soluzione sostenuta dalla Nato, sono tutti elementi da contrastare e contro cui lottare. Non si può accettare nessuna formula di spartizione, aperta o mascherata, sotto il nome di una federazione o confederazione di due staterelli fantasma. E’ necessaria la lotta comune degli operai e contadini ciprioti, greci e turchi, sostenuta da tutte le forze rivoluzionarie popolari a livello regionale e internazionalmente, per l’emancipazione nazionale e l’unificazione di Cipro su una base socialista in una Federazione socialista più ampia, che includa i popoli balcanici liberi ed uguali.

La classe operaia in Grecia e Turchia, e soprattutto la sua avanguardia marxista rivoluzionaria, deve prestare attenzione e contrastare il particolare ruolo predatorio giocato dalle loro classi dominanti e dall’esercito contro gli altri popoli nei Balcani e nel Caucaso. Le truppe greche e turche stanno partecipando all’occupazione delle truppe Nato in Kosovo e in Bosnia. Queste truppe devono essere immediatamente ritirate. Né un dollaro né un soldato per l’oppressione imperialista dei popoli balcanici.

La questione balcanica

La storia, e in primo luogo nei Balcani, dimostra che nessun popolo può essere libero se opprime il popolo di un’altra nazione o di un’altra nazionalità. L’ascesa e l’espansione mondiale del capitalismo in epoca moderna ha disintegrato gli arcaici imperi multinazionali austroungarico e ottomano, dando via a quella che è nota come questione balcanica. Ci sono due aspetti intrecciati di questo problema storico tuttora irrisolto: la questione delle relazioni tra una moltitudine di nazioni e minoranze nazionali che vivono accanto in questa penisola ricca di tradizioni culturali e risorse, e la questione dell’ingerenza continua in questa regione strategica degli interessi contrastanti delle grandi potenze d’Europa e d’America, che manipolano i nazionalismi locali,m alimentano gli odi e le divisioni nazionali, e condannano i popoli balcanici alla distruzione reciproca e all’impotenza, alla regressione storica. I popoli balcanici si possono emancipare dalle tragedie ricorrenti della loro storia e dagli interventi distruttivi delle grandi potenze capitaliste solo se lottano insieme per unire la penisola in una entità politica ed economica unica, una federazione balcanica basata sul libero sviluppo delle sue parti costituenti.

E’ questo il progetto rivoluzionario per il quale si sono battuti in un’epoca precedente il giacobino Rigas Ferraios, in seguito Marx ed Engels e nella nostra epoca i rivoluzionari socialisti e comunisti delle varie Internazionali operaie.

La questione chiave è stata ed è tuttora: quale forza sociale, con quale programma, strategia e organizzazione, potrà superare le divisioni locali nazionaliste e unire i Balcani sulla strada della loro emancipazione nazionale e sociale dalle grandi potenze capitaliste mondiali?

Le classi dirigenti locali, la borghesia e le elites militari burocratiche hanno condotto i Balcani, per oltre un secolo ora, solo a guerre, alla distruzione reciproca e alla sottomissione alle potenze imperialiste. Il compito storico della soluzione della questione balcanica ricade sulle spalle della classe operaia balcanica. In altre parole solo una rivoluzione socialista nei Balcani potrà aprire la strada che conduce fuori dal caos sanguinario della regione.

Questa necessità storica è stata provata dall’esperienza tragica ed epica della Resistenza antifascista di massa diretta dai comunisti nella seconda guerra mondiale: per la sua dinamica si stava sviluppando in una rivoluzione socialista balcanica, costituita dalle rivoluzioni dei partigiani jugoslavi, albanesi e greci, che avrebbe condotto alla formazione di una federazione dei popoli balcanici su basi socialiste. Ma questo processo rivoluzionario è abortito ed è stato sacrificato sull’altare degli accordi internazionali tra gli Alleati e il Cremlino a Jalta e Potsdam alla fine della guerra. La divisione dell’Europa passava attraverso la divisione dei Balcani nel dopoguerra e nel periodo della guerra fredda. In questo modo la questione balcanica non è stata risolta, ma è rimasta sospesa in un periodo di equilibrio mondiale precario. Quando questo equilibrio è collassato la questione balcanica è esplosa di nuovo, come l’eruzione di un vulcano, prima di tutto nella multinazionale Jugoslavia, il microcosmo dei Balcani sospeso tra Oriente e Occidente durante la guerra fredda.

Già l’eccessivo indebitamento della Jugoslavia nei confronti delle banche internazionali e le misure draconiane imposte dal Fmi avevano alimentato le forze centrifughe. La svolta verso la restaurazione capitalista e l’integrazione nel mercato capitalista europeo e mondiale da parte delle burocrazie nazionali, allo scopo di salvaguardare i propri interessi e privilegi, ha assunto la forma della rinascita del vecchio nazionalismo. I fantasmi del passato e i miti nazionalisti hanno temporaneamente colmato il vuoto lasciato dall’abbandono di ogni riferimento, seppure formale, al socialismo, già discreditato dalla burocrazia al potere. Se la rivoluzione socialista e le trasformazioni sociali che ne sono seguite, in Jugoslavia e negli altri paesi balcanici, con tutte le distorsioni burocratiche e gli impedimenti, avevano innalzato le popolazioni a un certo livello di coesistenza e di progresso storico, la controrivoluzione sociale sotto forma di un processo di restaurazione capitalista, provoca il regresso alla barbarie e minaccia di escludere le popolazioni balcaniche da qualsiasi progresso storico, a ridurli a quelli che Hegel ed Engels chiamavano “popoli senza storia”.

Tutte le burocrazie e le cricche nazionaliste nella regione hanno seguito delle politiche criminali e hanno enormi responsabilità. Ma questo non può nascondere la responsabilità principale che hanno le potenze imperialiste dell’Europa e dell’America con tutte le loro istituzioni militari e finanziarie (Nato, Fmi, la Banca mondiale, l’Ueo, ecc.) per la tragedia dei Balcani.

Inizialmente è stata la Germania ad avocare la secessione della Slovenia e della Croazia e lo smembramento della Jugoslavia. Il trattato di Maastricht per l’integrazione economica europea è stata la risposta delle potenze capitaliste dell’Europa occidentale alla caduta del muro di Berlino, la riunificazione della Germania, il collasso del Patto di Varsavia e del socialismo reale: la Germania ha imposto le sue condizioni per la disintegrazione della Federazione jugoslava e l’estensione della sua zona d’influenza in una risorta area mitteleuropea, in cambio di un accordo economico per un’Unione europea favorevole alla Francia e all’Inghilterra. Più tardi, gli Stati uniti, che inizialmente erano orientati all’integrità della Jugoslavia per una transizione controllata al mercato capitalista, hanno cambiato la loro posizione, sono intervenuti per la secessione della Bosnia, hanno sfruttato l’impasse dell’azione (e dell’inazione) europea e con un giro di bombardamenti Nato hanno imposto i famigerati accordi di Dayton. Lo stadio ulteriore della tragedia è stata la guerra della Nato, diretta dagli Usa, in Kosovo.

Ora, dopo dieci anni di guerre, disastri, pulizie etniche e deportazioni di massa della popolazione dalle loro terre, è più che urgente trarre le lezioni amare, organizzare la resistenza popolare di massa e la controffensiva contro i perpetratori di questi crimini ancora impuniti contro i popoli balcanici. Le popolazioni stesse, con la classe operaia balcanica in prima linea, devono prendere il destino nelle loro mani e lottare.

 

Contro l’imperialismo in tutte le sue forme nazionali, americane ed europee, e le sue istituzioni internazionali, in primo luogo la Nato e il Fmi. Non si può nutrire alcuna illusione sul ruolo imperialista dell’Unione europea, la Corte internazionale dell’Aia o l’Onu. Anche se è vero che l’imperialismo americano ha trattato le Nazioni unite, nel caso della guerra del Kosovo, con lo stesso disprezzo con cui le forze dell’Asse nel passato, l’Italia fascista e la Germania nazista, avevano trattato l’altro covo di briganti, la Lega delle nazioni, non significa che l’Onu non sia più uno strumento nelle mani dell’imperialismo, anche se ora in una posizione subordinata alla Nato. Durante gli accordi internazionali seguenti alla seconda guerra mondiale l’Onu ha giocato il suo ruolo reazionario per conto dell’imperialismo in Corea, nel Congo, a Cipro, ecc. Ora il suo ruolo è secondario proprio perché non esistono più l’equilibrio e la stabilità internazionali del dopoguerra.

 

Contro il capitalismo e la restaurazione capitalista. La transizione al mercato è stato un disastro sociale e una catastrofe nazionale. La sola via d’uscita consiste nell’emancipazione delle masse lavoratrici che lottano per costruire il Socialismo internazionale sotto il controllo delle masse, senza nomenclature privilegiate e deformazioni burocratiche.

 

Contro il nazionalismo reazionario, gli odi etnci e religiosi, il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo. Il nazionalismo nei Balcani, in tutte le sue forme, ha dato prova non solo di essere criminale e disastroso per le altre nazionalità, ma anche il più grande ostacolo per l’emancipazione della propria nazione e uno strumento effettivo nelle mani dei briganti imperialisti. Le rovine sociali e la devastazione economica prodotta dalla guerra e dalla restaurazione capitalista hanno creato enormi ondate di spostamenti di popolazione e milioni di profughi per ragioni economiche nei Balcani. La xenofobia e il razzismo contro le vittime da parte delle popolazioni locali, che sotto altri aspetti costituiscono delle vittime, è uno strumento di oppressione e di controllo di massa da parte della classe dominante. La ricomposizione della classe operaia balcanica in una soggettività emancipante ed emancipata può avvenire solo mediante la sua trasformazione in una classe generale rivoluzionaria in lotta per la liberazione di tutti gli oppressi e gli sfruttati da tutte le forme di sfruttamento, oppressione ed umiliazione dell’uomo sull’uomo.

Tutti questi punti possono essere sintetizzati in uno slogan strategico: unirsi e lottare per la federazione socialista dei Balcani!

La sinistra e il fronte unico

Questa lotta necessita di un vero fronte unico, contro la Nato e le sue agenzie locali, della classe operaia a livello regionale e internazionale e un raggruppamento dell’avanguardia operaia su una base militante internazionalista.

La guerra del Kosovo ha tracciato una linea di demarcazione all’interno della stessa sinistra internazionale. Sotto ogni aspetto non si è trattato solo di una guerra della Nato, ma di una guerra del centro-sinistra contro la Jugoslavia e i popoli balcanici per conto dell’imperialismo. Senza il sostegno della socialdemocrazia europea e di un certo numero di ex partiti comunisti che partecipano alle coalizioni governative di centro-sinistra, senza il sostegno del New Labour Party di Tony Blair e il coinvolgimento dei governi di Schroeder, D’Alema, Jospin e Simitis, l’imperialismo Usa e la Nato non avrebbero potuto portare la guerra nel centro dell’Europa. Il centro-sinistra democratico e i suoi sostenitori, in primo luogo gli intellettuali di sinistra post-moderni in Europa hanno alimentato la confusione e cercato di conciliare le popolazioni europee con la loro demagogia sui diritti umani e la demonizzazione dei Serbi. In questa operazione filoimperialista di disinformazione è stata coinvolta una parte significativa dell’intero spettro della nuova e della vecchia sinistra, tra cui la cosiddetta estrema sinistra: lo stalinista Cossutta e l’ex trotskista Vanessa Redgrave, l’ex maoista André Glucksman e l’ex anarchico Cohn Bendit. Altri hanno scelto di restare neutrali tra i macellai e le loro vittime, l’aggressore imperialista e una nazione balcanica oppressa, mantenendo un’equidistanza tra la Nato e Slobodan Milosevic (come avevano fato in passato, nella guerra del Golfo, in nome dei crimini di Saddam Hussein). Altri, pur dichiarandosi di estrema sinistra (come nel caso del cosiddetto Segretariato Unificato) hanno diffuso delle illusioni pericolose sostenendo, come alternativa ai bombardamenti della Nato, l’intervento delle nazioni Unite, dell’Unione europea e della Corte internazionale dell’Aia. Tutto il disorientamento, la confusione, il pessimismo e la capitolazione alla democrazia borghese prodotte dall’impatto del collasso dell’Unione sovietica è stato mobilitato dalla parte dell’aggressione imperialista. La demarcazione politica decisiva e l’opposizione a tutte queste forme di capitolazione all’imperialismo e di collaborazione di classe, così come a ogni forma di sciovinismo e esclusivismo religioso o nazionale è una precondizione necessaria per il raggruppamento degli antimperialisti e internazionalisti socialisti di avanguardia più combattivi in un Fronte comune delle masse sfruttate contro la Nato, per mobilitarle dal Danubio alla Sava al Volga allo Yang tze e organizzare la resistenza e la controffensiva contro le guerre di ricolonizzazione condotte dall’imperialismo mondiale. A questo Fronte unico devono partecipare le organizzazioni della classe operaia, dei giovani, delle donne, delle vittime di guerra e dei pensionati, i partiti di sinistra, i gruppi culturali, così come combattenti indipendenti della lotta di classe o personalità delle scienze e dell’arte, che provengono da diverse tradizioni politiche e sensibilità nella sinistra, senza esclusioni. Devono essere organizzate le campagne comuni a livello regionale e internazionale, sue questioni tattiche o di lungo termine. Secondo noi un programma di lotta deve includere i seguenti obiettivi politici: fuori la Nato dai Balcani! I Balcani per le popolazioni balcaniche! Via le basi Nato. Fuori le truppe imperialiste dai territori balcanici! Ritiro delle truppe greche e turche dalla Bosnia, dal Kosovo, dalla Repubblica federale della Jugoslavia, dalla Macedonia e dall’Albania. Porre fine all’embargo contro la Jugoslavia. Sciogliere la Nato! Abbasso la campagna della Nato di colonizzazione dei Balcani, dell’Europa orientale, dell’ex Unione sovietica e della Cina!

Abbasso la restaurazione capitalista. Tutto il potere ai consigli (soviet) di operai e sfruttati! Per la rinazionalizzazione sotto il controllo operaio dei settori strategici dell’economia e per un piano elaborato democraticamente per far fronte urgentemente ai bisogni delle masse diseredate e aprire di nuovo la strada verso il socialismo, senza privilegi, caste o distorsioni burocratici.

Abbasso tutti i governi capitalisti della regione. Per governi operai e contadini basati sui consigli, su un programma socialista per risolvere la crisi sociale ed economica!

Abbasso il razzismo, lo sciovinismo, la xenofobia e l’antisemitismo! Per la solidarietà e la fratellanza dei popoli! Per l’autodeterminazione dei popoli balcanici! Per la loro unione volontaria in una Federazione socialista di nazioni e nazionalità libere e uguali!

No alla sottomissione al Patto di stabilità e all’Unione europea imperialista. Per l’integrazione di una Federazione socialista dei Balcani negli Stati uniti socialisti d’Europa!

Questo programma potrà trovare il sostegno degli elementi d’avanguardia e più combattivi nella classe operaia e negli altri settori popolari oppressi, radicalizzati dalla barbarie causata dalla globalizzazione capitalista e dal suo esercito e la sua polizia globale, la Nato. Da tutti i continenti provengono segnali si una nuova radicalizzazione: dalle epiche lotte per la terra in tutta l’America latina agli scioperi operai in Corea e in Asia, dall’acutizzazione dei conflitti di classe in Germania che hanno obbligato Schroeder alla ritirata alle battaglie di Seattle, nello stesso ventre americano del capitalismo mondiale, contro la globalizzazione capitalista. La crisi nei Balcani è parte di questa crisi e di questa lotta mondiali. Insieme con i nostri fratelli e sorelle di classe in tutto il mondo possiamo aprire un varco nel sanguinario ciclo vizioso del caos balcanico.

Proposta per un internazionalismo militante

Per mettere in pratica il fronte unico contro la Nato proponiamo la formazione di un Comitato operaio internazionale contro la Nato, che assuma iniziative in questa direzione. Oltre a questo ampio quadro non esclusivo, d’azione comune, proponiamo l’istituzione di un Centro socialista dei Balcani per coordinare le attività, le campagne, i seminari, le pubblicazioni, uno speciale sito web dedicato agli avvenimenti nella regione, ecc. Proponiamo di dare a questo centro il nome di Chrisian Rakovsky, il grande rivoluzionario internazionalista bulgaro, leader bolscevico che ha giocato un ruolo dirigente e d’avanguardia, nei primi decenni del ventesimo secolo, nella costruzione di partiti rivoluzionari in ogni paese balcanico e nella lotta per l’obiettivo storico di una Federazione socialista dei Balcani.

Il comitato organizzativo della conferenza balcanica ad Atene, nel gennaio del 2000, e i partiti che ne hanno assunto l’iniziativa, l’Eek greco e la Lega marxista operaia della Turchia, ritengono fermamente che la questione balcanica non è una questione regionale ma una questione mondiale. Per questa ragione abbiamo invitato i marxisti rivoluzionari da altri paesi, al di là della regione balcanica. Il futuro del socialismo nel ventunesimo secolo dipenderà dalla formazione tempestiva di un’Internazionale rivoluzionaria autentica, proletaria, basata sulle lezioni vitali dell’esperienza storica passata, prima di tutto sulla Rivoluzione socialista d’Ottobre.

E’ in questo spirito che proponiamo ai partecipanti alla Conferenza balcanica di Atene di partecipare anche alla Conferenza internazionale per un’Internazionale operaia rivoluzionaria che avrà luogo, alla fine dell’aprile 2000, a Buenos Aires, in Argentina.

Siamo convinti che solo una nuova Intenazionale marxista rivoluzionaria proletaria autentica potrà sconfiggere la minacciata barbarie generata dal declino e dalla crisi del capitalismo mondiale e condurre le masse degli sfruttati alla vittoria del socialismo mondiale e del comunismo.

La prima Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato.

 

Atene, 23 gennaio 2000


Perché al centro è stato dato il nome di Christian Rakovsky?

 

La vita e la lotta del grande internazionalista e marxista rivoluzionario bulgaro Christian Rakovsky racchiudono tutti i principi e la visione storica che il nostro Centro vuole rispettare.

Krastyu (Christian) Georgievic Rakovsky nacque il 1 agosto 1873 a Gradets, vicino Kotel, un piccolo paese di montagna nella Bulgaria centrale. Giovanissimo aderì al movimento marxista rivoluzionario bulgaro, ma molto presto cominciò a sviluppare un’attività internazionale e internazionalista in Europa, nei Balcani e in Russia. Aderì alla sinistra Tesniaki (ristretta) del Partito socialista bulgaro (che avrebbe poi dato vita al Partito comunista bulgaro), fondò il settimanale marxista Romania Muncitoare (Romania operaia) che giocò un ruolo dirigente nel movimento operaio rumeno, fornì una formazione politica alla flotta della corazzata Potemkin che partecipò alla rivolta durante la sua permanenza a Costanza. Contribuì alla formazione dei partiti socialisti nell’area balcanica, con la prospettiva di una federazione socialista dei Balcani. Organizzò la Conferenza di Bucarest nel 1914, nella quale venne fondata la Federazione socialdemocratica rivoluzionaria del lavoro dei Balcani con la partecipazione di partiti rumeni, bulgari, serbi e greci. Fu anche tra gli organizzatori della famosa conferenza di Zimmerwald nel 1916 contro la bancarotta socialsciovinista della Seconda Internazionale.

Di ritorno in Romania fu imprigionato e infine liberato dai soldati russi rivoluzionari. Aderì alla Rivoluzione d’ottobre e fece parte del Comitato centrale del Partito bolscevico a partire dal 1919. Divenne presidente del governo operaio e contadino provvisorio in Ucraina e, dopo la liberazione di Kharkov, presidente del Sovnarkom della Repubblica sovietica ucraina. Fu un grande teorico marxista sulla questione nazionale e si scontrò con Stalin su questa questione fin dall’inizio. Negli anni Venti divenne il più conosciuto diplomatico bolscevico. Politicamente vicino a Trotsky e suo amico personale gli fu accanto come dirigente dell’Opposizione di sinistra contro l’ascesa della burocrazia e dello stalinismo. Proprio all’involuzione burocratica delle strutture politiche uscite dalla rivoluzione dedicò nel 1927 (?) un breve ma penetrante scritto: I pericoli professionali del potere. Perseguitato dallo stalinismo, abbandonò la lotta nel 1934, ma fu trascinato negli infami processi di Mosca nel 1938, fatto oggetto di mostruose calunnie insieme con gli altri dirigenti bolscevichi della Rivoluzione. Fu imprigionato e, il 22 giugno del 1941, il giorno dopo l’invasione dell’Urss da parte di Hitler, fu ucciso su ordine di Stalin.

Il suo contributo incomparabile alla rivoluzione socialista nei Balcani e a livello internazionale rimane una fonte d’ispirazione per tutti gli internazionalisti rivoluzionari. Il nome di Christian Rakovsky è la bandiera rossa del nostro Centro socialista dei Balcani.