I CONFERENZA SOCIALISTA SUI BALCANI E IL MEDIO ORIENTE
Comunicato
finale della Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato
La
Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato, tenutasi ad Atene, in Grecia,
il 22 e 23 gennaio 2000, e conclusasi con una grande manifestazione pubblica al
Politecnico di Atene il 24 gennaio, costituisce un importante passo in avanti
dell’internazionalismo proletario e del fronte di classe contro
l’imperialismo e l’aggressione della Nato.
La
conferenza è nata su iniziativa del Partito operaio rivoluzionario di Grecia (Eek)
e della Lega operaia marxista di Turchia. Hanno partecipato delegati di 19
organizzazioni e tendenze proletarie e di sinistra, provenienti da otto paesi
differenti:
-
dalla Turchia, la Lega marxista operaia;
-
dalla Jugoslavia, un membro dell’Unione dei giornalisti jugoslavi;
-
dalla Romania, la Resistenza comunista, l’Associazione rumena antifascista e
il Partito socialista del lavoro (Psm, uno dei tre Partiti comunisti del paese);
-
dall’Albania, l’Unione dei lavoratori albanesi;
-
dalla Grecia, l’Eek, la Corrente della nuova sinistra (Nar), la Gioventù di
liberazione comunista, il Raggruppamento della sinistra (Aristeri Anasyntaxi),
il Gruppo sociale di sinistra, l’Akos (Organizzazione comunista autonoma della
città di Serres) [tutti questi gruppi provengono da scissioni del Partito
comunista], l’Okde-Ergatikì Pali (Organizzazione dei comunisti
internazionalisti greci-Lotta operaia, un gruppo simpatizzante del Segretariato
unificato della Quarta Internazionale), Ergatikì Exousia (Potere operaio, un
gruppo vicino alla Lit, Lige internacionalista de los traballadores);
-
dalla Russia, il Partito russo dei comunisti - Organizzazione della regione di
Leningrado, l’Unione degli internazionalisti di sinistra, l’Associazione
internazionale degli studenti per la democrazia e il socialismo;
-
dal Kurdistan, il Partito della liberazione del Kurdistan;
-
dall’Argentina, il Partito operaio (Partido obrero).
Inoltre
la Conferenza socialista dei Balcani ha ricevuto messaggi di solidarietà e
saluti dall’Associazione marxista rivoluzionaria Proposta (animatrice
dell’ala sinistra del Partito della rifondazione comunista), dal Partito dei
lavoratori uruguaiano (Pt), da Osvaldo Coggiola, Presidente dell’Unione dei
professori dell’Università di San Paolo, in Brasile, e membro del Comitato
nazionale del Partido obrero d’Argentina, da un rappresentante dei lavoratori
bulgari immigrati in Grecia, dall’Unione per l’emancipazione degli sfruttati
della Romania, dal Segretario generale del Partito russo dei
comunisti-Organizzazione della regione di Leningrado, E. A. Kozlov.
Per
due giorni si è sviluppata una discussione molto ricca e intensa, con la
partecipazione attiva dei delegati della maggior parte delle organizzazioni, che
hanno contribuito ad approfondire la comprensione comune dei compiti storici che
si trova di fronte il proletariato nei Balcani e a livello internazionale.
Infine la stragrande maggioranza ha votato per la costituzione di un Comitato
internazionale dei lavoratori contro la Nato, allo scopo di coordinare le
campagne internazionali contro gli interventi imperialisti, e la fondazione del
Centro socialista dei Balcani Christian Rakovsky, per promuovere in comune le
attività internazionaliste nell’area, conferenze, seminari, riunioni, ecc.,
produrre pubblicazioni, un sito web con notizie e analisi sugli sviluppi
nell’area e a livello internazionale, un bollettino speciale, ecc. Nessuno ha
votato contro queste proposte; soltanto alcuni gruppi hanno detto di dover
consultare le loro rispettive organizzazioni prima di dare una risposta. E’ già
stato formato un comitato del Centro Christian Rakovsky.
La
Conferenza ha inoltre adottato delle risoluzioni che condannano il previsto
rilascio del macellaio Pinochet e in difesa della lotta di liberazione kurda,
per il diritto di autodeterminazione e per la liberazione di Ocalan.
E’
stato deciso di tenere una seconda Conferenza socialista dei Balcani alla fine
dell’anno o all’inizio del prossimo, per controllare il lavoro fatto e
svilupparlo. Tutti i partecipanti sono stati invitati alla Conferenza
internazionale della primavera del 2000 a Buenos Aires, in Argentina, per
discutere la necessità di un’Internazionale operaia rivoluzionaria, promossa
dall’Iniziativa internazionale per rifondazione immediata della Quarta
Internazionale.
Il 24 gennaio al Politecnico di Atene si è svolta una manifestazione con 250 partecipanti per presentare i risultati della conferenza. Il 24 gennaio ricorre l’anniversario della morte di Lenin, la data delle celebrazioni delle “tre L” (Lenin, Luxemburg e Liebknecht) nel periodo rivoluzionario dell’Internazionale comunista. Si è trattato di una vera festa internazionalista, nella quale si sono trovati insieme serbi e albanesi, turchi e greci, turchi e curdi, internazionalisti dalle zone più lontane, da Leningrado a Buenos Aires, in una straordinaria atmosfera di solidarietà e fratellanza rivoluzionaria, a parlare della lotta comune per sconfiggere l’imperialismo, rovesciare il capitalismo mondiale e costruire una società senza classi, il comunismo.
Risoluzione
della Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato
Unità
socialista dei Balcani: la sola risposta all’aggressione imperialista e alla
barbarie capitalista.
La
guerra della Nato contro la Jugoslavia, nel 1999 in Kosovo, segna un punto di
svolta non solo nei Balcani ma a livello internazionale. E’ la prima guerra
nel centro d’Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Inoltre è la
prima messa in pratica delle nuove concezioni strategiche adottate ufficialmente
dalla Nato, insieme con i suoi barbari bombardamenti, di affermare la
dominazione imperialista sotto l’egemonia Usa nel mondo del dopo guerra
fredda. In questo senso è la prima guerra del ventunesimo secolo. I popoli
balcanici sono stati i primi a pagare in uno scontro dal quale, in definitiva,
dipende il destino dell’umanità intera nel nuovo secolo.
L’aggressione
della Nato ha causato nella regione una vera catastrofe umanitaria, nel nome dei
diritti umani. Anche se le bombe non sono riuscite a distruggere il potenziale
militare della Jugoslavia, le infrastrutture e, prima di tutto, la popolazione
civile del paese, hanno ricevuto dei colpi devastanti. Non solo il popolo serbo,
ma gli stessi kosovari, i cui diritti umani sono stati usati fraudolentemente
come pretesto, hanno pagato un prezzo enorme in sangue e distruzioni in seguito
alle operazioni di guerra della Nato. Anche i confinanti paesi balcanici stano
sanguinando per le conseguenze della guerra. In particolare la Romania e la
Bulgaria stanno subendo gli effetti collaterali dell’embargo contro la
Jugoslavia, della distruzione dei ponti e delle infrastrutture per via dei
bombardamenti e della distruzione del traffico sul Danubio. Così questi enormi
danni economici collaterali si assommano al disastro sociale prodotto
dall’introduzione del libero mercato, il processo di restaurazione del
capitalismo e le misure draconiane imposte dal Fmi.
Gli
albanesi kosovari non hanno ottenuto la loro autodeterminazione nazionale
promessa dall’imperialismo Usa e Nato e dai loro tirapiedi dell’Uck (Kla).
Il Kosovo, dopo la Bosnia, l’Albania e l’ex repubblica jugoslava della
Macedonia, è stato trasformato in un protettorato militare occupato
dall’imperialismo ed è diventato il luogo di un’altra pulizia etnica,
questa volta contro i Serbi e i Rom.
Dopo
il cessate il fuoco firmato nel giugno del 1999, la guerra continua con altri
mezzi. L’imperialismo sta aizzando la separazione del Montenegro da ciò che
resta della Federazione jugoslava e oltre, ossia la separazione della Voivodina
e del Sangiaccato, cioè la completa frammentazione della Serbia. Gli
imperialisti americani ed europei stanno sostenendo apertamente e senza vergogna
una falsa opposizione in Serbia, con l’intento dichiarato di sostituire il
regime di Milosevic con qualche Quisling balcanico.
Il
fallimento delle mobilitazioni della falsa opposizione in Serbia ha dimostrato
che le masse popolari non dimenticano né perdonano l’aggressione della Nato.
D’altra parte, la visita di Clinton nei Balcani, qualche mese dopo la guerra
nel Kosovo, è stata salutata con dimostrazioni antimperialiste di massa senza
precedenti in Grecia e, ad altri livelli, in Turchia e perfino in Bulgaria. E’
chiaro che la resistenza contro l’intervento imperialista nei Balcani non si
è spenta nel giugno scorso col cessate il fuoco firmato dalla Nato e dalle
autorità jugoslave. Le battaglie decisive sono di fronte a noi, e non alle
nostre spalle. La preparazione e l’organizzazione politica, la strategia e le
tattiche, le iniziative coscienti e una direzione decisiva sono le questioni
chiave.
Gli
imperialisti stanno già facendo i loro preparativi e stanno intraprendendo i
passi necessari per i loro piani strategici.
Il
cosiddetto Patto di stabilità per la sottomissione economica dei Balcani
annunciato dall’Unione europea e da Clinton; la visita del Presidente
statunitense nell’area allo scopo di promuovere la riorganizzazione del
sistema di controllo imperialista; i nuovi scontri violenti nel Caucaso, la
guerra in Cecenia e la sua connessione alla crisi balcanica, sottolineata dallo
stesso Clinton; il summit dell’Ocse ad Istanbul e i suoi piani di sicurezza
per i Balcani, l’ex Unione sovietica e l’Asia centrale; l’accordo per
l’oleodotto Baku-Ceyan per strappare il petrolio dell’Asia centrale al
controllo russo; il vertice dell’Unione europea a Helsinki e la sua decisione
di estensione ad Est: tutti questi elementi mostrano chiaramente che la guerra
nel Kosovo non è stato un conflitto militare isolato, ma il primo atto di un
nuovo dramma storico.
La
globalizzazione e la crisi del capitalismo
La
guerra del Kosovo in Occidente è stata presentata come la prima dell’era
della globalizzazione. Clinton stesso, in un discorso propagandistico durante i
bombardamenti, ha cercato di giustificare l’intervento imperialista in
Jugoslavia, dicendo che la globalizzazione stabilisce la supremazia dei
cosiddetti valori universali sulla sovranità nazionale. Ma naturalmente questo
universalismo predominante non esclude gli interessi nazionali imperialisti, lo
serve nelle nuove condizioni. Un teorico della globalizzazione capitalista e
dell’imperialismo Usa, Thomas Friedman, ha scritto all’inizio della guerra,
appoggiando i bombardamenti, nel New York Times
Magazine del 28 marzo 1999: “Il
sostegno alla globalizzazione è il nostro interesse nazionale predominante. La
globalizzazione sono gli Stati uniti. Essa richiede una struttura geopolitica
stabile, che semplicemente non può essere mantenuta senza l’attivo
coinvolgimento degli Stati uniti”.
Né
sono scomparsi gli interessi degli imperialisti europei. L’integrazione
dell’Unione europea e l’introduzione dell’euro sono l’espressione non
dell’eliminazione, ma della riorganizzazione degli interessi capitalisti
nazionali di fronte alla sfida della globalizzazione capitalista e delle
pressioni americane. Non c’è nulla di progressivo nel difendere la
costruzione di una fortezza Europa da parte del capitale monopolistico. La
classe operaia europea, i dieci milioni di disoccupati e socialmente esclusi già
stanno pagando un enorme prezzo sociale. Né i popoli balcanici potranno avere
un futuro nell’Unione europea imperialista, che è direttamente responsabile e
coinvolta nella tragedia della Jugoslavia, dal suo smembramento e le guerre di
Genscher in Slavonia, Bosnia e Krajina, fino alla guerra nel Kosovo. Il
cosiddetto Patto di stabilità annunciato a Colonia e Sarajevo, dopo i
bombardamenti, è sia un accordo tra gli interessi imperialisti europei e
americani, in conflitto tra di loro, di schiavizzare economicamente la regione
balcanica, sia una frode; nessun reale aiuto giungerà dall’Occidente ai
popoli balcanici.
La
globalizzazione fornisce un nuovo campo mondiale per gli antagonismi nazionali
imperialisti in lotta per il controllo sull’economia mondiale.
L’imperialismo Usa è senza dubbio il centro del capitalismo mondiale più
potente dal punto di vista militare, politico ed economico. Ma questo significa
anche che il suo equilibrio interno è basato su un equilibrio mondiale,
che ancora non esiste. La crisi e il declino storico del capitalismo, così come
le nuove condizioni dopo il collasso dell’Unione sovietica, causano la
necessità, per l’imperialismo Usa, di nuove relazioni con l’Europa e la sua
integrazione economica.
Zbigniew
Brzezinski, l’ex consigliere per la sicurezza del Presidente americano e
artefice della recente estensione della Nato fino ai confini della Russia, ha
insistito che il nuovo ordine mondiale dipenderà da chi controllerà l’Eurasia,
lo spazio nel quale sono concentrate le maggiori risorse dell’economia
mondiale, e come una forza non eurasiatica, gli Stati uniti, potranno assumerne
il controllo.
Lo
stesso spirito è espresso nella nuova concezione strategica adottata dalla Nato
e inizialmente praticata nei Balcani.
A
dieci anni dal crollo del muro di Berlino, il collasso del Socialismo
“reale” e l’implosione dell’Unione sovietica, l’ordine internazionale
del dopoguerra, disegnato con gli accordi di Jalta e Potsdam, è in rovine e non
è stato ancora rimpiazzato con nessun uovo ordine mondiale. L’altro pilastro
dell’equilibrio mondiale del dopoguerra e dell’espansione del capitalismo,
l’edificio keynesiano degli accordi di Bretton Woods, basato sulla
convertibilità dell’oro con il dollaro, è già collassato all’inizio degli
anni Settanta con la trasformazione di un boom prolungato senza precedenti in
una crisi di sovrapproduzione di capitali, anch’esso senza precedenti, non
ancora risolta. La deregulation e la globalizzazione dei mercati finanziari
dalla fine degli anni Settanta, inizio Ottanta, accompagnata dalla frenesia
neoliberista antikeynesiana, costituisce un tentativo di trovare una via
d’uscita esattamente dalla crisi di sovrapproduzione di capitale e le sue
implicazioni esplosive e rivoluzionarie, manifestatesi internazionalmente nel
periodo 1968-75.
L’euforia
tra i capitalisti, dieci anni fa, che il collasso dell’Unione sovietica
rappresenta la vittoria finale e completa del capitalismo nell’era della
globalizzazione si è, dalla metà degli anni Novanta, dissolta. Il capitale
globalizzato non ha riempito in maniera pacifica e rapida il vuoto
lasciato dai collassi nell’Est. Al contrario, questo vuoto, particolarmente
nell’ex Unione sovietica, è diventato, come ha detto George Soros, una specie
di buco nero che minaccia di risucchiare lo stesso Occidente capitalista.
D’altra
parte, la globalizzazione del capitale, che è soprattutto la globalizzazione
del capitale finanziario, ha manifestato che le sue contraddizioni sono
esacerbate, che esprimono il sintomo del suo esaurimento: il crollo del 1997,
centrato nella regione del Pacifico, è una pietra miliare storica.
Rappresenta non solo la fine della leggenda delle Tigri asiatiche, ma che le
tensioni all’interno della struttura finanziaria globale hanno raggiunto un
punto esplosivo, la sua estrema fragilità, la vulnerabilità dei centri
metropolitani del capitale finanziario, prima di tutto negli Stati uniti
d’America, il centro odierno del sistema capitalista mondiale. Il collasso del
Long Term Capital Managment, il più grande fondo d’investimento ad alto
rischio di Wall Street e del mondo intero, in seguito allo shock mondiale del
crollo del 1997, così come le misure di emergenza, prese dall’amministrazione
Usa e dalla comunità finanziaria mondiale per evitare la catastrofe, dimostrano
la sua vulnerabilità.
In
definitiva, la guerra della Nato nei Balcani, diretta dagli Usa, non è
la manifestazione di un avanzamento della globalizzazione capitalista, come è
stato presentato da alcuni analisti di destra e di sinistra, ma la
manifestazione violenta dell’esplosione delle sue contraddizioni.
Un
risultato devastante della stessa tempesta finanziaria internazionale è stato
il crollo della Russia nel 1998. I più autorevoli rappresentanti del
capitalismo occidentale dovevano ammettere pubblicamente che la tanto
pubblicizzata transizione al mercato nella terra della Rivoluzione
socialista d’Ottobre, dopo un decennio di sforzi sostenuti, di prestiti e
misure imposte da parte del Fmi, dopo le terapie d’urto e i programmi di
privatizzazioni, dopo il saccheggio della proprietà pubblica e la tragedia per
milioni di persone, è fallita. Il disastroso processo delle
restaurazione capitalista è a un’impasse.
I
settori del capitalismo occidentale più aggressivi e coscienti sono giunti alla
conclusione che la sola strada al riassorbimento nel mercato capitalista
mondiale delle vaste aree dal quale il capitalismo era stato espropriato nel
passato, dall’Europa centrale ai Balcani all’ex Unione sovietica alla Cina,
passa attraverso la loro colonizzazione. La sola forma praticabile dal
capitalismo in queste aree può essere di tipo semicoloniale, con una borghesia
compardora parassitaria che governa i loro paesi, ridotti a fonti di materie
prime e manodopera a basso costo, per conto dei centri imperialisti.
Non
si può trattare dello stesso processo delle precedenti epoche del capitalismo o
degli inizi dell’imperialismo, quando le formazioni sociali precapitaliste e
storicamente arretrate vennero integrate nella sfera di sfruttamento dalle aree
capitaliste metropoli occidentali. Adesso sono le formazioni economiche e
sociali post-capitaliste, e non precapitaliste, che devono essere integrate da
un sistema capitalista mondiale nella sua fase storica di declino. I passi
necessari nella strada verso la restaurazione capitalista sono la
disintegrazione delle entità multinazionali, la formazione di nuovi staterelli
fantasma legati ai centri occidentali del capitalismo, l’istituzione di
protettorati e avamposti militari, il rafforzamento di una macchina militare
della Nato ristrutturata per l’intervento, il controllo e la dominazione
imperialista.
Per
trovare una scappatoia alla sua crisi mondiale e al collasso dell’intero
ordine internazionale del dopoguerra, il capitalismo ha bisogno di ristabilire,
su nuove basi, il nuovo equilibrio mondiale, il tristemente famoso Nuovo ordine
mondiale. Significa prima di tutto la riconquista di quello che i briganti
occidentali chiamano il “Selvaggio est”. Non è per caso che i documenti di
Rambouillet, l’anticamera diplomatica dell’aggressione alla Jugoslavia,
parlano della necessità di impiantare in quest’area il libero mercato. Di
nuovo Thomas Friedman, nell’articolo citato sopra, parla delle ragioni vere
della guerra del Kosovo: “La mano nascosta del mercato non funzoineà senza il
braccio nascosto. Non possono diffondersi i Mc Donald senza McDonnell Douglas,
il progettista dell’F-15. E il braccio nascosto che conserva il mondo per le
tecnologie di Silicon Valley si chiama esercito, aviazione, marina e marines
degli Stati uniti d’America.
I Balcani occupano una posizione nevralgica e strategica nel ventre molle della cintura che circonda l’ex Unione sovietica e nell’incrocio delle vie di transito del petrolio proveniente dal Caucaso e dal Medio oriente con destinazione Europa occidentale. Quindi l’istituzione di un controllo saldo e di una forte presenza militare in questa regione è stato ed è vitale per gli interessi dell’imperialismo europeo e americano. La strada verso Mosca passa per Belgrado. Quindi il rifiuto della Jugoslavia ad abdicare alla sua sovranità nazionale, e piegarsi all’ultimatum di Rambouillet secondo atto, è diventato il casus belli. Dal punto di vista delle necessità imperialiste di un Nuovo ordine mondiale, la Jugoslavia, in quanto centro di resistenza, doveva essere polverizzata, i Balcani colonizzati e la Russia balcanizzata.
La
guerra nel Caucaso
L’aggressione
contro la Jugoslavia non è stato che l’inizio. L’attacco calcolato contro
l’ambasciata cinese a Belgrado, la nuova guerra fredda contro la Cina
popolare, l’estensione della Nato all’Est e le continue esercitazioni
militari ai confini della Russia e la guerra in Caucaso, sono momenti legati
dello stesso processo.
Senza
dubbio la nomenklatura restaurazionista al Cremino, sotto la direzione di Eltsin
e poi di Putin, è colpevole dei crimini di massa e degli attacchi barbari
contro la popolazione in Cecenia, così come per le forze separatiste e mafiose
alimentate dalla restaurazione capitalista e lo scioglimento dell’Unione
sovietica. I diritti nazionali e l’autodeterminazione dei ceceni e degli altri
popoli caucasici devono essere rispettati e ristabiliti.
Ma
solo chi è cieco politicamente o i reazionari possono ignorare il ruolo
centrale giocato nel Caucaso dall’imperialismo, le compagnie petrolifere e il
suo braccio militare, la Nato nel suo nuovo ruolo globale.
Di
nuovo l’imperialismo, come nel caso dei Balcani, usa i problemi nazionali per
i suoi obiettivi. Appena dopo il cessate il fuoco nei Balcani è stata creata
una provocazione nel Caucaso dall’intrusione in Daghestan e in Inguscezia di
un gruppo di ribelli ceceni che improvvisamente si dichiarano islamici, senza
alcun sostegno nella popolazione locale. La provocazione è stata accompagnata
dagli attentati terroristici ai danni di alcuni edifici nei quartieri operai di
Mosca, fornendo ai governanti del Cremlino l’opportunità di un sostegno di
massa alla loro offensiva in Cecenia.
Le
milizie cecene ricevono il diretto appoggio dei regimi filo-occidentali in
Georgia e Azerbaigian, che stanno apertamente chiedendo l’ammissione alla
Nato, così come della Turchia e dell’Arabia Saudita, che si muovono, la prima
in nome del nazionalismo turanico, la seconda in nome dell’Islam, ma in realtà
per conto degli imperialisti Usa e Nato. D’altra parte, i movimenti
separatisti in Abkazia, Avaria e nell’Ossezia meridionale, così come
l’Armenia, sostengono la Russia. In definitiva si tratta di una guerra per
procura tra la Russia e l’Occidente per il controllo del petrolio e delle
altre risorse caucasiche, del mar Caspio e dell’Asia centrale. Ma non si
tratta solo di questo: si tratta anche di una guerra sul futuro delle terre
dell’ex Unione sovietica, che rende necessario, per l’imperialismo,
neutralizzare e balcanizzare la Russia, in modo da impedire qualsiasi rinascita
rivoluzionaria di una nuova Federazione socialista sovietica. Per la stessa
ragione le potenze imperialiste sostengono e promuovono il cosiddetto gruppo
Guuam delle ex repubbliche sovietiche, un’alleanza economica tra Georgia,
Ucraina, Uzbekistan, Azerbaigian e Moldavia, che adesso sta assumendo il
carattere di una cooperazione per la sicurezza con una forza armata comune per
difendere il nuovo oleodotto Baku-Supsa.
Gli
sforzi imperialisti e dei loro procuratori locali devono essere sconfitti
dall’azione delle masse popolari, non dalla mafia dei Berezovski al Cremlino,
che giocano la carta del nazionalismo grande russo. Le burocrazie restauratrici
ex sovietiche, e ora apertamente anti-sovietiche, non devono ricevere nessun
sostegno. Non solo a causa dei loro metodi barbari di distruzione di massa usati
in Cecenia, il brutale rigetto dei diritti nazionali delle popolazioni locali,
il loro sciovinismo grande russo e il razzismo anti-ceceno; questa elite
burocratica è responsabile, in primo luogo, della disintegrazione dell’Unione
sovietica e di tutte le tragiche conseguenze sofferte dalla popolo sovietico
multinazionale, dato che la svolta al mercato e il processo di restaurazione
capitalista è stato inaugurato dalla stessa nomenklatura dominante. La cricca
del Cremlino sotto Putin ora cerca di consolidare il suo potere con la guerra in
Cecenia, un potere restaurazionista filocapitalista che, per la sua natura, non
può fermare ma farà avanzare il processo di frammentazione dell’ex Unione
sovietica e di colonizzazione e balcanizzazione della stessa Russia. Solo
la sconfitta della controrivoluzione restaurazionista, ad opera delle masse
lavoratrici, l’istituzione di un genuino potere operaio sovietico e di
un’economia democraticamente pianificata, la restituzione di un’Unione delle
repubbliche socialiste sovietiche rinnovata con il pieno rispetto del diritto di
autodeterminazione nazionale per tutte le nazionalità, può sconfiggere la
minaccia di balcanizzazione della Russia e garantire gli stessi diritti
nazionali del popolo ceceno.
La
Grecia e la Turchia
Le
guerre intrecciate nei Balcani e nel Caucaso costituiscono le prime in una serie
di guerre di ricolonizzazione dei paesi che appartenevano a quello che si
chiamava il campo socialista. La Nato e in particolare i suoi due stati membri
nell’area, la Turchia e la Grecia, devono giocare un nuovo ruolo. La direzione
americana dell’alleanza imperialista lo ha detto chiaramente. Ci sarà una
divisione del lavoro. La Grecia, in quanto già membro dell’Unione europea e
potenza economica nei Balcani, come ha detto Clinton nella sua visita
nell’area, dovrà promuovere la transizione al mercato, in altre parole la
restaurazione capitalista, nella penisola, il suo assorbimento nel mercato
capitalista mondiale in posizione subordinata alle richieste delle metropoli
capitaliste. D’altra parte la Turchia, come ha detto Holbruck, giocherà dopo
la guerra fredda lo stesso ruolo giocato dalla Germania occidentale nel periodo
della guerra fredda, sulla linea del fronte con la Russia, in particolare in
Caucaso e nell’Asia centrale. L’asse turco-israeliano inoltre sarà vitale
per il controllo dell’ancora instabile Medio oriente. Ambedue i paesi, la
Grecia e la Turchia, dovranno riorganizzare le loro forze militari e materiali
in questo contesto, nel quadro di una Nato ristrutturata che funziona come
agenzia globale dell’intervento imperialista e della controrivoluzione.
A
questo riorentamento delle potenze regionali servono due precondizioni.
La
lotta di liberazione nazionale kurda, che si svolge nell’aria
nevralgica tra il Caucaso e il Medio oriente, un’area di transito
dell’oleodotto Baku-Ceian, deve essere fermata da ogni costo. Il tradimento
operato ai danni del leader del Pkk Ocalan da parte dei governi di
centro-sinistra in Grecia e nell’Unione europea, che l’hanno consegnato alle
autorità turche, serve a questo scopo. Il Pkk ha già dichiarato di voler
fermare la lotta armata e cercare una soluzione pacifica di compromesso
all’interno dei confini dello Stato turco.
Qualsiasi
alternativa rivoluzionaria senza compromessi in Kurdistan deve scontrarsi non
solo con la repressione turca ma con l’imperialismo della Nato e le necessità
della globalizzazione capitalista. In tal senso necessita di una prospettiva
socialista mondiale anticapitalista e antimperialista, dal punto di vista della
classe operaia rivoluzionaria. La questione kurda, legata storicamente con
l’epoca del colonialismo e della decadenza imperialista del capitalismo, è
adesso più che mai una questione internazionale sia per la rivoluzione
che per la controrivoluzione.
Gli
antagonismi regionali tra la Grecia e la Turchia,
che spesso sono giunti al punto di scatenare una guerra aperta sulla questione
dell’Egeo e di Cipro, devono essere subordinati agli interessi globali della
Nato, chiaramente espressi nelle sue nuove concezioni strategiche. La diplomazia
segreta, insieme con le riunioni tra rappresentanti greci e turchi, sotto
l’egida dell’imperialismo, la visita di Clinton in Grecia e in Turchia e,
infine, il vertice dell’Unione europea ad Helsinki, hanno operato allo scopo
di far scendere le tensioni e avanzare un compromesso su Cipro e l’Egeo,
subordinato agli interessi dell’imperialismo della Nato. La propaganda
ufficiale presenta queste misure come dei passi in avanti verso la pace tra i
due paesi e la stabilità nell’intera regione. E’ una cinica menzogna. E’
un fatto che l’imperialismo manipola gli antagonismi tra le classi dominanti
in Grecia e in Turchia, che si contendono l’egemonia nella regione per i suoi
scopi. Non li elimina ma li trasferisce in un’arena più grande sotto il suo
controllo. Le prospettive di pace non aumentano visto che la Nato può
coinvolgere i due paesi in una guerra nella regione. Nel futuro, in una
congiuntura mutata, gli stessi meccanismi di controllo che oggi servono a
contenere il conflitto greco-turco potranno acutizzarlo. Le crisi periodiche e
il contenimento attraverso l’intervento imperialista esterno sono parti dello
stesso meccanismo di controllo che manipola gli interessi confliggenti delle
borghesie locali. Una guerra sarebbe reazionaria da ambo i contendenti, e
dovrebbe essere trasformata da parte delle masse oppresse in una rivoluzione
contro i loro oppressori.
Per
sua stessa natura il controllo imperialista non potrà essere spezzato senza una
lotta comune dei due popoli uniti contro l’oppressore imperialista e contro le
sue agenzie locali, le borghesie turca e greca. Per trionfare, la lotta
antimperialista deve porsi degli obiettivi anticapitalisti al di là e al di qua
dell’Egeo, e per il trionfo della rivoluzione socialista bisogna lottare non
solo contro la classe dominante locale e lo sfruttamento capitalista, ma anche
contro l’imperialismo, le sue macchinazioni, le sue manipolazioni e la sua
oppressione. Il riavvicinamento dei regimi borghesi greco e turco, sponsorizzato
dall’imperialismo americano ed europeo, deve essere contrastato su queste basi
internazionaliste, senza concessioni ai guerrafondai greci e turchi. Siamo per
il riavvicinamento dei due popoli oppressi e sfruttati contro il riavvicinamento
dei loro oppressori, stranieri e locali. In Turchia i rivoluzionari devono
particolarmente prestare attenzione e solidarietà alla lotta nazionale di
liberazione kurda.
La
divisione di Cipro, l’occupazione della sua pare settentrionale da
parte delle truppe turche, l’esistenza di basi imperialiste e di truppe
straniere sull’isola così come qualsiasi pseudo-soluzione sostenuta dalla
Nato, sono tutti elementi da contrastare e contro cui lottare. Non si può
accettare nessuna formula di spartizione, aperta o mascherata, sotto il nome di
una federazione o confederazione di due staterelli fantasma. E’ necessaria la
lotta comune degli operai e contadini ciprioti, greci e turchi, sostenuta da
tutte le forze rivoluzionarie popolari a livello regionale e internazionalmente,
per l’emancipazione nazionale e l’unificazione di Cipro su una base
socialista in una Federazione socialista più ampia, che includa i popoli
balcanici liberi ed uguali.
La
classe operaia in Grecia e Turchia, e soprattutto la sua avanguardia marxista
rivoluzionaria, deve prestare attenzione e contrastare il particolare ruolo
predatorio giocato dalle loro classi dominanti e dall’esercito contro gli
altri popoli nei Balcani e nel Caucaso. Le truppe greche e turche stanno
partecipando all’occupazione delle truppe Nato in Kosovo e in Bosnia. Queste
truppe devono essere immediatamente ritirate. Né un dollaro né un soldato per
l’oppressione imperialista dei popoli balcanici.
La
questione balcanica
La
storia, e in primo luogo nei Balcani, dimostra che nessun popolo può essere
libero se opprime il popolo di un’altra nazione o di un’altra nazionalità.
L’ascesa e l’espansione mondiale del capitalismo in epoca moderna ha
disintegrato gli arcaici imperi multinazionali austroungarico e ottomano, dando
via a quella che è nota come questione balcanica. Ci sono due aspetti
intrecciati di questo problema storico tuttora irrisolto: la questione delle
relazioni tra una moltitudine di nazioni e minoranze nazionali che vivono
accanto in questa penisola ricca di tradizioni culturali e risorse, e la
questione dell’ingerenza continua in questa regione strategica degli interessi
contrastanti delle grandi potenze d’Europa e d’America, che manipolano i
nazionalismi locali,m alimentano gli odi e le divisioni nazionali, e condannano
i popoli balcanici alla distruzione reciproca e all’impotenza, alla
regressione storica. I popoli balcanici si possono emancipare dalle tragedie
ricorrenti della loro storia e dagli interventi distruttivi delle grandi potenze
capitaliste solo se lottano insieme per unire la penisola in una entità
politica ed economica unica, una federazione balcanica basata sul libero
sviluppo delle sue parti costituenti.
E’
questo il progetto rivoluzionario per il quale si sono battuti in un’epoca
precedente il giacobino Rigas Ferraios, in seguito Marx ed Engels e nella nostra
epoca i rivoluzionari socialisti e comunisti delle varie Internazionali operaie.
La
questione chiave è stata ed è tuttora: quale forza sociale, con quale
programma, strategia e organizzazione, potrà superare le divisioni locali
nazionaliste e unire i Balcani sulla strada della loro emancipazione nazionale e
sociale dalle grandi potenze capitaliste mondiali?
Le
classi dirigenti locali, la borghesia e le elites militari burocratiche hanno
condotto i Balcani, per oltre un secolo ora, solo a guerre, alla distruzione
reciproca e alla sottomissione alle potenze imperialiste. Il compito storico
della soluzione della questione balcanica ricade sulle spalle della classe
operaia balcanica. In altre parole solo una rivoluzione socialista nei
Balcani potrà aprire la strada che conduce fuori dal caos sanguinario della
regione.
Questa
necessità storica è stata provata dall’esperienza tragica ed epica della
Resistenza antifascista di massa diretta dai comunisti nella seconda guerra
mondiale: per la sua dinamica si stava sviluppando in una rivoluzione socialista
balcanica, costituita dalle rivoluzioni dei partigiani jugoslavi, albanesi e
greci, che avrebbe condotto alla formazione di una federazione dei popoli
balcanici su basi socialiste. Ma questo processo rivoluzionario è abortito ed
è stato sacrificato sull’altare degli accordi internazionali tra gli Alleati
e il Cremlino a Jalta e Potsdam alla fine della guerra. La divisione
dell’Europa passava attraverso la divisione dei Balcani nel dopoguerra e nel
periodo della guerra fredda. In questo modo la questione balcanica non è stata
risolta, ma è rimasta sospesa in un periodo di equilibrio mondiale precario.
Quando questo equilibrio è collassato la questione balcanica è esplosa di
nuovo, come l’eruzione di un vulcano, prima di tutto nella multinazionale
Jugoslavia, il microcosmo dei Balcani sospeso tra Oriente e Occidente durante la
guerra fredda.
Già
l’eccessivo indebitamento della Jugoslavia nei confronti delle banche
internazionali e le misure draconiane imposte dal Fmi avevano alimentato le
forze centrifughe. La svolta verso la restaurazione capitalista e
l’integrazione nel mercato capitalista europeo e mondiale da parte delle
burocrazie nazionali, allo scopo di salvaguardare i propri interessi e
privilegi, ha assunto la forma della rinascita del vecchio nazionalismo. I
fantasmi del passato e i miti nazionalisti hanno temporaneamente colmato il
vuoto lasciato dall’abbandono di ogni riferimento, seppure formale, al
socialismo, già discreditato dalla burocrazia al potere. Se la rivoluzione
socialista e le trasformazioni sociali che ne sono seguite, in Jugoslavia e
negli altri paesi balcanici, con tutte le distorsioni burocratiche e gli
impedimenti, avevano innalzato le popolazioni a un certo livello di coesistenza
e di progresso storico, la controrivoluzione sociale sotto forma di un processo
di restaurazione capitalista, provoca il regresso alla barbarie e minaccia di
escludere le popolazioni balcaniche da qualsiasi progresso storico, a ridurli a
quelli che Hegel ed Engels chiamavano “popoli senza storia”.
Tutte
le burocrazie e le cricche nazionaliste nella regione hanno seguito delle
politiche criminali e hanno enormi responsabilità. Ma questo non può
nascondere la responsabilità principale che hanno le potenze
imperialiste dell’Europa e dell’America con tutte le loro istituzioni
militari e finanziarie (Nato, Fmi, la Banca mondiale, l’Ueo, ecc.) per la
tragedia dei Balcani.
Inizialmente
è stata la Germania ad avocare la secessione della Slovenia e della Croazia e
lo smembramento della Jugoslavia. Il trattato di Maastricht per l’integrazione
economica europea è stata la risposta delle potenze capitaliste dell’Europa
occidentale alla caduta del muro di Berlino, la riunificazione della Germania,
il collasso del Patto di Varsavia e del socialismo reale: la Germania ha imposto
le sue condizioni per la disintegrazione della Federazione jugoslava e
l’estensione della sua zona d’influenza in una risorta area mitteleuropea,
in cambio di un accordo economico per un’Unione europea favorevole alla
Francia e all’Inghilterra. Più tardi, gli Stati uniti, che inizialmente erano
orientati all’integrità della Jugoslavia per una transizione controllata al
mercato capitalista, hanno cambiato la loro posizione, sono intervenuti per la
secessione della Bosnia, hanno sfruttato l’impasse dell’azione (e
dell’inazione) europea e con un giro di bombardamenti Nato hanno imposto i
famigerati accordi di Dayton. Lo stadio ulteriore della tragedia è stata la
guerra della Nato, diretta dagli Usa, in Kosovo.
Ora,
dopo dieci anni di guerre, disastri, pulizie etniche e deportazioni di massa
della popolazione dalle loro terre, è più che urgente trarre le lezioni amare,
organizzare la resistenza popolare di massa e la controffensiva contro i
perpetratori di questi crimini ancora impuniti contro i popoli balcanici. Le
popolazioni stesse, con la classe operaia balcanica in prima linea, devono
prendere il destino nelle loro mani e lottare.
Contro
l’imperialismo in tutte le sue forme nazionali, americane ed europee, e le sue
istituzioni internazionali, in primo luogo la Nato e il Fmi.
Non si può nutrire alcuna illusione sul ruolo imperialista dell’Unione
europea, la Corte internazionale dell’Aia o l’Onu. Anche se è vero che
l’imperialismo americano ha trattato le Nazioni unite, nel caso della guerra
del Kosovo, con lo stesso disprezzo con cui le forze dell’Asse nel passato,
l’Italia fascista e la Germania nazista, avevano trattato l’altro covo di
briganti, la Lega delle nazioni, non significa che l’Onu non sia più uno
strumento nelle mani dell’imperialismo, anche se ora in una posizione
subordinata alla Nato. Durante gli accordi internazionali seguenti alla seconda
guerra mondiale l’Onu ha giocato il suo ruolo reazionario per conto
dell’imperialismo in Corea, nel Congo, a Cipro, ecc. Ora il suo ruolo è
secondario proprio perché non esistono più l’equilibrio e la stabilità
internazionali del dopoguerra.
Contro
il capitalismo e la restaurazione capitalista. La
transizione al mercato è stato un disastro sociale e una catastrofe nazionale.
La sola via d’uscita consiste nell’emancipazione delle masse lavoratrici che
lottano per costruire il Socialismo internazionale sotto il controllo delle
masse, senza nomenclature privilegiate e deformazioni burocratiche.
Contro
il nazionalismo reazionario, gli odi etnci e religiosi, il razzismo, la
xenofobia e l’antisemitismo.
Il nazionalismo nei Balcani, in tutte le sue forme, ha dato prova non solo di
essere criminale e disastroso per le altre nazionalità, ma anche il più grande
ostacolo per l’emancipazione della propria nazione e uno strumento effettivo
nelle mani dei briganti imperialisti. Le rovine sociali e la devastazione
economica prodotta dalla guerra e dalla restaurazione capitalista hanno creato
enormi ondate di spostamenti di popolazione e milioni di profughi per ragioni
economiche nei Balcani. La xenofobia e il razzismo contro le vittime da parte
delle popolazioni locali, che sotto altri aspetti costituiscono delle vittime,
è uno strumento di oppressione e di controllo di massa da parte della classe
dominante. La ricomposizione della classe operaia balcanica in una soggettività
emancipante ed emancipata può avvenire solo mediante la sua trasformazione in
una classe generale rivoluzionaria in lotta per la liberazione di tutti
gli oppressi e gli sfruttati da tutte le forme di sfruttamento, oppressione ed
umiliazione dell’uomo sull’uomo.
Tutti
questi punti possono essere sintetizzati in uno slogan strategico: unirsi e
lottare per la federazione socialista dei Balcani!
La
sinistra e il fronte unico
Questa
lotta necessita di un vero fronte unico, contro la Nato e le sue agenzie
locali, della classe operaia a livello regionale e internazionale e un
raggruppamento dell’avanguardia operaia su una base militante
internazionalista.
La
guerra del Kosovo ha tracciato una linea di demarcazione all’interno della
stessa sinistra internazionale. Sotto ogni aspetto non si è trattato solo di
una guerra della Nato, ma di una guerra del centro-sinistra contro la
Jugoslavia e i popoli balcanici per conto dell’imperialismo. Senza il sostegno
della socialdemocrazia europea e di un certo numero di ex partiti comunisti che
partecipano alle coalizioni governative di centro-sinistra, senza il sostegno
del New Labour Party di Tony Blair e il coinvolgimento dei governi di Schroeder,
D’Alema, Jospin e Simitis, l’imperialismo Usa e la Nato non avrebbero potuto
portare la guerra nel centro dell’Europa. Il centro-sinistra democratico e i
suoi sostenitori, in primo luogo gli intellettuali di sinistra post-moderni in
Europa hanno alimentato la confusione e cercato di conciliare le popolazioni
europee con la loro demagogia sui diritti umani e la demonizzazione dei Serbi.
In questa operazione filoimperialista di disinformazione è stata coinvolta una
parte significativa dell’intero spettro della nuova e della vecchia sinistra,
tra cui la cosiddetta estrema sinistra: lo stalinista Cossutta e l’ex
trotskista Vanessa Redgrave, l’ex maoista André Glucksman e l’ex anarchico
Cohn Bendit. Altri hanno scelto di restare neutrali tra i macellai e le loro
vittime, l’aggressore imperialista e una nazione balcanica oppressa,
mantenendo un’equidistanza tra la Nato e Slobodan Milosevic (come avevano fato
in passato, nella guerra del Golfo, in nome dei crimini di Saddam Hussein).
Altri, pur dichiarandosi di estrema sinistra (come nel caso del cosiddetto
Segretariato Unificato) hanno diffuso delle illusioni pericolose sostenendo,
come alternativa ai bombardamenti della Nato, l’intervento delle nazioni
Unite, dell’Unione europea e della Corte internazionale dell’Aia. Tutto il
disorientamento, la confusione, il pessimismo e la capitolazione alla democrazia
borghese prodotte dall’impatto del collasso dell’Unione sovietica è stato
mobilitato dalla parte dell’aggressione imperialista. La demarcazione politica
decisiva e l’opposizione a tutte queste forme di capitolazione
all’imperialismo e di collaborazione di classe, così come a ogni forma di
sciovinismo e esclusivismo religioso o nazionale è una precondizione necessaria
per il raggruppamento degli antimperialisti e internazionalisti socialisti di
avanguardia più combattivi in un Fronte comune delle masse sfruttate contro la
Nato, per mobilitarle dal Danubio alla Sava al Volga allo Yang tze e organizzare
la resistenza e la controffensiva contro le guerre di ricolonizzazione condotte
dall’imperialismo mondiale. A questo Fronte unico devono partecipare le
organizzazioni della classe operaia, dei giovani, delle donne, delle vittime di
guerra e dei pensionati, i partiti di sinistra, i gruppi culturali, così come
combattenti indipendenti della lotta di classe o personalità delle scienze e
dell’arte, che provengono da diverse tradizioni politiche e sensibilità nella
sinistra, senza esclusioni. Devono essere organizzate le campagne comuni a
livello regionale e internazionale, sue questioni tattiche o di lungo termine.
Secondo noi un programma di lotta deve includere i seguenti obiettivi
politici: fuori la Nato dai Balcani! I Balcani per le popolazioni balcaniche!
Via le basi Nato. Fuori le truppe imperialiste dai territori balcanici! Ritiro
delle truppe greche e turche dalla Bosnia, dal Kosovo, dalla Repubblica federale
della Jugoslavia, dalla Macedonia e dall’Albania. Porre fine all’embargo
contro la Jugoslavia. Sciogliere la Nato! Abbasso la campagna della Nato di
colonizzazione dei Balcani, dell’Europa orientale, dell’ex Unione sovietica
e della Cina!
Abbasso
la restaurazione capitalista. Tutto il potere ai consigli (soviet) di operai e
sfruttati! Per la rinazionalizzazione sotto il controllo operaio dei settori
strategici dell’economia e per un piano elaborato democraticamente per far
fronte urgentemente ai bisogni delle masse diseredate e aprire di nuovo la
strada verso il socialismo, senza privilegi, caste o distorsioni burocratici.
Abbasso
tutti i governi capitalisti della regione. Per governi operai e contadini basati
sui consigli, su un programma socialista per risolvere la crisi sociale ed
economica!
Abbasso
il razzismo, lo sciovinismo, la xenofobia e l’antisemitismo! Per la solidarietà
e la fratellanza dei popoli! Per l’autodeterminazione dei popoli balcanici!
Per la loro unione volontaria in una Federazione socialista di nazioni e
nazionalità libere e uguali!
No
alla sottomissione al Patto di stabilità e all’Unione europea imperialista.
Per l’integrazione di una Federazione socialista dei Balcani negli Stati uniti
socialisti d’Europa!
Questo
programma potrà trovare il sostegno degli elementi d’avanguardia e più
combattivi nella classe operaia e negli altri settori popolari oppressi,
radicalizzati dalla barbarie causata dalla globalizzazione capitalista e dal suo
esercito e la sua polizia globale, la Nato. Da tutti i continenti provengono
segnali si una nuova radicalizzazione: dalle epiche lotte per la terra in tutta
l’America latina agli scioperi operai in Corea e in Asia, dall’acutizzazione
dei conflitti di classe in Germania che hanno obbligato Schroeder alla ritirata
alle battaglie di Seattle, nello stesso ventre americano del capitalismo
mondiale, contro la globalizzazione capitalista. La crisi nei Balcani è parte
di questa crisi e di questa lotta mondiali. Insieme con i nostri fratelli e
sorelle di classe in tutto il mondo possiamo aprire un varco nel sanguinario
ciclo vizioso del caos balcanico.
Proposta
per un internazionalismo militante
Per
mettere in pratica il fronte unico contro la Nato proponiamo la formazione di un
Comitato operaio internazionale contro la Nato, che assuma iniziative in
questa direzione. Oltre a questo ampio quadro non esclusivo, d’azione comune,
proponiamo l’istituzione di un Centro socialista dei Balcani per
coordinare le attività, le campagne, i seminari, le pubblicazioni, uno speciale
sito web dedicato agli avvenimenti nella regione, ecc. Proponiamo di dare a
questo centro il nome di Chrisian Rakovsky, il grande rivoluzionario
internazionalista bulgaro, leader bolscevico che ha giocato un ruolo dirigente e
d’avanguardia, nei primi decenni del ventesimo secolo, nella costruzione di
partiti rivoluzionari in ogni paese balcanico e nella lotta per l’obiettivo
storico di una Federazione socialista dei Balcani.
Il
comitato organizzativo della conferenza balcanica ad Atene, nel gennaio del
2000, e i partiti che ne hanno assunto l’iniziativa, l’Eek greco e la Lega
marxista operaia della Turchia, ritengono fermamente che la questione balcanica
non è una questione regionale ma una questione mondiale. Per questa
ragione abbiamo invitato i marxisti rivoluzionari da altri paesi, al di là
della regione balcanica. Il futuro del socialismo nel ventunesimo secolo
dipenderà dalla formazione tempestiva di un’Internazionale rivoluzionaria
autentica, proletaria, basata sulle lezioni vitali dell’esperienza storica
passata, prima di tutto sulla Rivoluzione socialista d’Ottobre.
E’
in questo spirito che proponiamo ai partecipanti alla Conferenza balcanica di
Atene di partecipare anche alla Conferenza internazionale per
un’Internazionale operaia rivoluzionaria che avrà luogo, alla fine
dell’aprile 2000, a Buenos Aires, in Argentina.
Siamo
convinti che solo una nuova Intenazionale marxista rivoluzionaria proletaria
autentica potrà sconfiggere la minacciata barbarie generata dal declino e dalla
crisi del capitalismo mondiale e condurre le masse degli sfruttati alla vittoria
del socialismo mondiale e del comunismo.
La
prima Conferenza socialista dei Balcani contro la Nato.
Atene,
23 gennaio 2000
Perché
al centro è stato dato il nome di Christian Rakovsky?
La
vita e la lotta del grande internazionalista e marxista rivoluzionario bulgaro
Christian Rakovsky racchiudono tutti i principi e la visione storica che il
nostro Centro vuole rispettare.
Krastyu
(Christian) Georgievic Rakovsky nacque il 1 agosto 1873 a Gradets, vicino Kotel,
un piccolo paese di montagna nella Bulgaria centrale. Giovanissimo aderì al
movimento marxista rivoluzionario bulgaro, ma molto presto cominciò a
sviluppare un’attività internazionale e internazionalista in Europa, nei
Balcani e in Russia. Aderì alla sinistra Tesniaki (ristretta) del Partito
socialista bulgaro (che avrebbe poi dato vita al Partito comunista bulgaro),
fondò il settimanale marxista Romania Muncitoare (Romania operaia) che
giocò un ruolo dirigente nel movimento operaio rumeno, fornì una formazione
politica alla flotta della corazzata Potemkin che partecipò alla rivolta
durante la sua permanenza a Costanza. Contribuì alla formazione dei partiti
socialisti nell’area balcanica, con la prospettiva di una federazione
socialista dei Balcani. Organizzò la Conferenza di Bucarest nel 1914, nella
quale venne fondata la Federazione socialdemocratica rivoluzionaria del lavoro
dei Balcani con la partecipazione di partiti rumeni, bulgari, serbi e greci. Fu
anche tra gli organizzatori della famosa conferenza di Zimmerwald nel 1916
contro la bancarotta socialsciovinista della Seconda Internazionale.
Di
ritorno in Romania fu imprigionato e infine liberato dai soldati russi
rivoluzionari. Aderì alla Rivoluzione d’ottobre e fece parte del Comitato
centrale del Partito bolscevico a partire dal 1919. Divenne presidente del
governo operaio e contadino provvisorio in Ucraina e, dopo la liberazione di
Kharkov, presidente del Sovnarkom della Repubblica sovietica ucraina. Fu un
grande teorico marxista sulla questione nazionale e si scontrò con Stalin su
questa questione fin dall’inizio. Negli anni Venti divenne il più conosciuto
diplomatico bolscevico. Politicamente vicino a Trotsky e suo amico personale gli
fu accanto come dirigente dell’Opposizione di sinistra contro l’ascesa della
burocrazia e dello stalinismo. Proprio all’involuzione burocratica delle
strutture politiche uscite dalla rivoluzione dedicò nel 1927 (?) un breve ma
penetrante scritto: I pericoli professionali del potere. Perseguitato
dallo stalinismo, abbandonò la lotta nel 1934, ma fu trascinato negli infami
processi di Mosca nel 1938, fatto oggetto di mostruose calunnie insieme con gli
altri dirigenti bolscevichi della Rivoluzione. Fu imprigionato e, il 22 giugno
del 1941, il giorno dopo l’invasione dell’Urss da parte di Hitler, fu ucciso
su ordine di Stalin.
Il
suo contributo incomparabile alla rivoluzione socialista nei Balcani e a livello
internazionale rimane una fonte d’ispirazione per tutti gli internazionalisti
rivoluzionari. Il nome di Christian Rakovsky è la bandiera rossa del nostro
Centro socialista dei Balcani.